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28 Gennaio 2011 Aggiornato il 1 Agosto 2011 alle ore 09:14

QR | Gitanjali, una vipera con il cuore di zucchero a Parigi

Ogni tanto ne trovi una. Di cosa giusta, intendo. Come certi diamanti grezzi delle miniere del Transvaal ante litteram, che avvolti nel loro gusci di
QR | Gitanjali, una vipera con il cuore di zucchero a Parigi

Ogni tanto ne trovi una. Di cosa giusta, intendo. Come certi diamanti grezzi delle miniere del Transvaal ante litteram, che avvolti nel loro gusci di pietra grigina parlavano solo ai cercatori che sapevano cosa cercare. Poi c’era il momento magico e sospeso di tirar fuori dal suo sacco minerale ed ancestrale la pietra. E ad ogni barbaglio, a ogni scintillìo, l’allargarsi del sorriso. Una foodie appassionata di 23 anni, e già con un passato! (☺) è, ammettiamolo, una perla rara. Noi che cerchiamo cuochi nuovi ogni mattina, giovanotti e giovanotte capaci di sognare sapori facendoci sognare, ci scordiamo spesso (parlo della mia generazione di giornalisti enogastronomi, già parzialmente intaccata dallo smemo per overdose di foie gras) di portare a cena gente di due generazioni almeno after (qualcuno lo fa, ma poi finisce come finisce, giudici, casini, Casini, atti – giudiziari – di Fede, e si capisce che comunque è gente che mangia schifosamente male e pensa in modo un po’ schifoso tutto il tempo ad altro).

Gitanjali a mangiare ci va da sola. O col suo ragazzo. Parla, più o meno, sei lingue. Ora vive a Parigi, prima era a Roma, prima ancora a New York per via del lavoro di suo padre che insegna in un’Università letteratura americana, e ha fatto (leggi: scritto) delle cose anche per il cinema. Ma quel che conta per Gj foodaholic è essenzialmente la linea femminile della famiglia. Armena. E di un sangue che, quanto a rapporto col cibo, non mente.

Quando la mamma, al seguito di suo marito, è arrivata negli Usa non riusciva, letteralmente, a mangiare. L’80% di quello che le propinavano, dai caffè pasticceria con le paste pasticciose larghe un metro e lo sciroppo d’acero a litri alle chiese private del trash food la faceva: a) impazzire b) inorridire.

Allora, ha scritto alla mamma, e ha avviato il primo corso epistolare (no e.mail, sorry, for grandma…) di cucina armena profonda, insaccando tra l’altro carne di maiale speziata (la versione armena delle salsicce) ad asciugarsi in collant di seta, in mancanza di budello. E da lì ha iniziato a spaziare.

Da lì ha preso le mosse anche l’infanzia gastronomica di Gj. Che poi è diventata grandina, ed è approdata in Italia, dove ha scoperto un’altra fetta della grande torta del gusto. Tanto buona che lei, a un certo punto, aveva pensato di iscriversi alla scuola di Gualtiero nazionale, l’Alma. Ma non le bastavano i soldi (ci sono paesi, certo incivili ed infelici, manco a dirlo, dove, anche in famiglie che stanno benino i figli non nuotano nei dané a ufo, debbono amministrarsi, e non diventano consigliere regionale, manager e/o vice direttore di qualcosa solo perché figli, pure se non riescono a prendere il diploma neanche a calci; e non ereditano frequenze televisive, né le poltrone di papà; per dire, il figlio di Washington non era generale; la figlia di Clinton non fa politica; e con i Bush, l’eccezione alla regola, s’è visto com’è andata a finire…). E così Gj ha rinunciato ad Alma e ripiegato su altro.

Ora, a Parigi, lavora, mangia, e scrive. Il suo luogo nella rete è https://gitanjalisingh.blogspot.com/. Il suo blog si chiama “Saffron Diaries”, diari allo zafferano. Ha una grafica carina. E contenuti freschi. Non è aggiornato a getto continuo, ha ritmi da diario appunto, e non ha tutti i riferimenti e le stelle fisse che piacerebbero a noi (uno dei suoi è Bourdain, ad esempio, ma il diritto di essere romantici a age 23 è inalienabile quanto quello di nutrirsi). Avere dei quasi guru non la esime però, né le fa risparmiare, la consapevole presa di distanze, una volta che ha assaggiato. Nell’ultimo post fa con eleganza il mazzo a Les Cocottes di Christian Constant, pur raccomandato dal suo citato master. Una frase per tutte ci ha fatto sogghignare: <Anche David Leibovitz dice che questo è un magnifico ristorante. Beh. Io dico “meh”… Sì, il cibo era buono. Ma non “quel” buono>. Una viperetta… ma dal cuore di zucchero.

Mi è piaciuto pure il suo manifesto, semplice e pulito: <Come newcomer della Francia, della cucina francese, dello stile di vita francese, della cultura francese e della routine alla francese, mi piacerebbe condividere quel che andrò provando, e magari mettere su un filo di ciccia, felicemente, durante il processo>.

Gitanjali. Un occhio fresco e insieme già smagato sui cugini. Un occhio non italiano, quindi per noi dialettico. Un occhio non prevenuto, bilioso, dietrologico, concorrente. Può far piacere, no?

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