Vino. Che sorpresa questo Nino Negri del 1969!
Strano il vino! Mutevole, sfaccettato, emozionante, barocco, ma soprattutto stupefacente. Vedete proprio nel mezzo del “cammin di nostra vita”, quando dopo millanta bottiglie e bicchieri, un poco di noia si affaccia e inizi a ripensare e porti delle domande… Beh, allora ecco che arriva spietato il colpo che non ti aspetti.
Me l’ha assestato, sornione, un amico. Con la sua solita aria incurante, seduti al più bel tavolo di legno della ristorazione italiana, davanti il camino scoppiettante e nell’aria confortante di questa tavola che sa lenire sempre i miei mali.
Fausto Fratti ci ha accolti in una serata brumosa al Povero Diavolo, con una bottiglia del 1969. Quando l’ho vista non ho potuto fare a meno di pensare tra me e me: “L’ennesimo cadavere”. Sapete, è un periodo che poco mi emozionano quelle note decotte di alcuni vini mummificati dal tempo. Le note di glutammato e minestrone, che entusiasmano alcuni appassionati di Madame Tussaud, mi stancano. Come disse un amico: “Bevo, mica faccio l’anatomo patologo!” Cerco vigoria, freschezza e irruenza nei vini, sempre più.
Temo che la ricerca della giovinezza sia un sintomo dell’età e del tempo che passa. Ma questo Nino Negri, Valtellina superiore riserva 1969, che vino! Fausto lo stappa e il tappo va in mille pezzi, io penso: “Namo bene”. Allora inizia ad armeggiare con una pinza per recuperare i pezzi di sughero. Con sufficienza gli dico: “Lascia stare, scaraffalo e filtralo, tanto mica ci stiamo a fare pugnette”. Tanto siamo in famiglia. Ma mentre inizia a scaraffarlo il baluginio della tinta brillante mi colpisce. Diamine, il colore è ancora vivo, persino brillante, non ha quel colore slabbrato e opaco di molti vini assai vecchi. Inizio a incuriosirmi e a temere gli effetti del decanter. Sapete, decantare un vino vecchio, che si tiene in piedi su un equilibrio assai fragile, non è una buona idea. Lo choc dell’ossigenazione improvvisa potrebbe essere eccessivo.
Lo verso nel bicchiere ed ecco la vera sorpresa. Il colore inizia ad avere un bel tono granata e un’unghia scarico, ma è ancora brillante e intenso. Al naso è ancora vivo, persino fruttato, un frutto delicato e elegante, poi le note minerali (silicio e polvere da sparo), le narici vengono avvolte da un piacevole tono fumé e subito il nerbo dell’acidità attiva la salivazione. Chiude su un intrigante aroma di datteri. In bocca è nervoso, ancora fresco, non enorme ma incredibilmente succoso, rinfrescato da una nota affumicata e scabra. Il frutto è ancora preciso e austero, come si confà ad un grande Nebbiolo, persino la rosa e il fiorito si insinuano sulla lingua.
La bottiglia va via con la velocità di un lampo, prima di farsi troppe domande. Funziona alla grande sulla cucina di Piergiorgio Parini, segno di un vino ancora fresco e godibile, che sa fare alla grande il suo lavoro. Non è un bicchiere da filosofia e saccenza, sul quale esercitare la solita litania dei ritrovamenti. Se poi penso che ha i miei anni… mi piacerebbe essere in forma come lui.
Diavolo di vino, sa sempre riprenderti e conquistarti….