Shoot the Chef. Sydney immortala il lato oscuro delle cucine
Il Crave Sydney International Food Festival è uno degli appuntamenti che ogni anno la città australiana dedica al cibo e all’arte. Un mese di eventi gastronomici in una città che si è candidata da tempo a meta globale del cibo, tra sessioni di star chef, picnic oceanici, dibattiti, manifestazioni gastronomiche locali, mercati del barbecue e dello street food e ondate di popolo per le strade del centro e della periferia di Sydney.
E un’interessante competizione fotografica, “Shoot the Chef“, aperta a fotografi professionisti e in formazione, per indagare i lati oscuri del lavoro di chef (quest’anno il vincitore del concorso professionisti è stato Christopher Ireland che si è aggiudicato il primo posto con una foto che ritrae l’italiana Luciana Sampogna, chef e insegnante di cucina, che posa con le tagliatelle tra i capelli, un’immagine ispirata a Lucrezia Borgia, il personaggio storico la cui lunga capigliatura bionda avrebbe dato l’idea, appunto, delle tagliatelle. E selezioniamo tra i finalisti anche la foto di Peter Collie che ritrae Christophe Dufau nel Sud della Francia).
Di foto, storia e identità della gastronomia australiana Franca Formenti ha parlato con Johanna Savill, direttore del Crave Sydney International Food Festival. (V.P.)
FF. Come è nata Shoot the Chef?
JS. Shoot the Chef esiste già da 11 o 12 anni e prima era inserito nel programma del festival “Good Food Month” che è terminato nel 2008 per trasformarsi nel “Sydney International Food Festival”. Ormai gli chef sono delle star, questo è sicuro, però il lavoro dello chef è anche sporco oltre che faticoso perché si deve stare in una cucina a tagliare cipolle, sbucciare mele e patate, cucinare. E questo, alla fine, è il vero lavoro dello chef. Chiaramente quando uno chef diventa una star non deve fare più i lavori umili però le cucine sono posti difficili ed è un mondo che può essere un inferno in un certo senso. Non è così glamour come molti pensano.
D’altra parte per creare sono indispensabili anche il talento artistico, la precisione, la pazienza di cui è carente la maggior parte degli chef. E’ necessario inoltre uno spirito creativo e questi due aspetti certe volte non vanno molto bene insieme. La parte manuale deve essere in simbiosi con la parte creativa e Shoot the Chef dovrebbe essere in grado di trasmettere sia l’arte che la tecnica ma anche la difficoltà di questo lavoro.
FF. ll mondo non sta vivendo un bel periodo e spesso gli chef si fanno portavoce di filosofie e etiche di consumo alternative come Kylie Kwong che ha scelto una cucina etica e sostenibile. Questo atteggiamento si sta diffondendo tra gli chef come è diventato evidente all’ultimo convegno a Lima.
JS. Molti lavorano sull’etica, sulla filosofia del consumo. Soprattutto nei paesi anglosassoni dove, diversamente che in Italia dove resiste la tradizione delle frattaglie, c’è un po’ la fissazione di consumare solo alcune parti della carne dell’animale per cui alcuni chef sostengono che l’animale si possa consumare tutto intero senza sprecare nulla.
Quanto all’Australia forse non c’è veramente una tradizione della cucina del contadino perché è un paese che ha solo 200 anni e la cultura indigena praticava il nomadismo e la caccia e poco la conservazione e faceva largo uso delle erbe come medicinali. In Australia gli chef sono molto coinvolti in dibattiti su questioni che riguardano la qualità degli alimenti, il modo in cui i prodotti della terra vengono coltivati e la provenienza della carne e della frutta. Siamo molto interessati a queste questioni perché non sappiamo che cosa accadrà in futuro se non corriamo ai ripari. E questo soprattutto in un paese colpito dalla siccità come il nostro e dove molte aziende agricole spariscono a causa della città che si allarga sempre di più. Ci sono fattorie che una volta si trovavano intorno alla città, proprio nelle zone più fertili, e che ormai spariscono a causa l’urbanizzazione che avanza. L’Australia ha una tradizione agricola che però con i cambiamenti climatici sta sparendo e gli chef, almeno i più bravi e noti, ne sono molto coscienti. Alcuni hanno lavorato anche con Greenpeace e hanno pubblicato una guida, “True Food Guide” che è un opuscolo dove sono segnati tutti i prodotti ogm e non igm in vendita al supermercato e molti chef hanno sostenuto l’iniziativa per il lancio della guida.
Per me è molto importante che durante il Festival ci siano dibattiti, oltre che cene, pranzi, arte e tecnica. E’ importante che ci sia il confronto, il dibattito e anche l’accesso alla tecnica e quindi le lezioni di cucina. E non solo nei quartieri benestanti di Sydney ma anche in quelli più lontani dal centro. Il Festival arriva anche nelle periferie. Ci sono lezioni di cucina anche nelle periferie, dove per 20 dollari mangi anche gratis.
(Intervista e foto a Johanna Savill di Franca Formenti)