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8 Febbraio 2012 Aggiornato il 11 Febbraio 2012 alle ore 10:50

In pellegrinaggio da Ciccio Sultano, tavola assoluta di Sicilia

Ieri sull'aereo ho incrociato la mia vecchia vita, quella dedita alla musica. C'era Roberto Gatto che sbarcava a Catania. “Io per un live e tu?”. “Io a
In pellegrinaggio da Ciccio Sultano, tavola assoluta di Sicilia

Ieri sull’aereo ho incrociato la mia vecchia vita, quella dedita alla musica. C’era Roberto Gatto che sbarcava a Catania. “Io per un live e tu?”. “Io a Ragusa”, ho risposto. “Per lavoro?”. Penso: “Si” e sorrido. “Per lavoro”. E siccome nulla è per caso, da Ciccio Sultano il mio “lavoro” comincia con un sottofondo di Keith Jarrett.

Me ne dimentico quasi subito a dire il vero, perchè si impone alla mia attenzione un trittico armonico di: gambero bianco, zenzero candito e latte di mandorla, un cucchiaio di pesce spada affumicato con insalatina di melone giallo di Paceco e crema di pistacchio di Raffadali e il mini cannolo “volevo essere fritto” con ripieno di ricotta condita e senape, gambero rosso e caviale Asetra. Divertita dalle bollicine di Delamotte penso che sono anni luce che desideravo venire al Duomo da Ciccio Sultano.

Ciccio è un nome che mi ha fatto sempre simpatia perché mi ricorda anche Charlie Brown. Ciccio Brown Sultano suona molto bene e infatti entra della carta musica e zafferano con dentro… qualcosa di commovente.

Non ho fatto in tempo a memorizzarne il contenuto ma mi sono emozionata fino alle lacrime. (Beh, che c’è di strano? C’è chi lo fa con le canzonette…).

Me lo faccio spiegare di nuovo e poi di nuovo che lì dentro c’è guancia di cernia con foie gras e sciroppo di melograno incastonati tra due craker sottili allo zafferano.

Sto circumnavigando l’isola a cavallo di un cannuolo proprio come il gamberetto!! (Ciccio sei forte!)

Arriva la lumaca alla sciclitana (con mollica gratin), purea di patate cotte alla cenere, schiuma di latte e cicala di mare. “La lumaca ie’ morta”, specifica Ciccio. “Bene cosi non scappa”, rispondo deglutendola intera dopo averla fatta scivolare con nonchalance sulla lingua

L’ostrica e il suo mondo è una crema di verdure selvatiche con schiuma di latte di mandorla, lardo, ostrica e polvere di funghi di bosco e spezie. Le ostriche stanno nel loro habitat con il caldo verde delle spezie color alga che al colpo di cucchiaio invade il bianco tiepido di mandorla pizzuta e arriva alla fresca ostrica (Santo cielo Ciccio, ma come hai fatto a inventarti questa cosa così immensa?)

Arrivano gli spaghetti Sultano, mantecati con panna acida, cotenna di maialino nero dei Nebrodi, gambero con i suoi coralli su lenticchie nere di Leonforte con Frascati Superiore ’07 Casal Pilozzo (interessante e da riprovare questo Frascati!).

Ecco la triglia di razza: filetto di triglia, ali di razza, crema di coriandolo citrodoro e polvere di finocchio selvatico con succo di carote agrodolce; siamo in pole position e io tifo per la triglia (che vince!). Lascia la sua orma piacevole al palato dopo aver attraversato tutti gli strati a lei dedicati. Buono l’abbinamento con il Trebbiano “Veruzza” 2009 di Guccione affidato alla garbatezza di Valerio Capriotti (illuminato emigrante da Roma a Ragusa con moglie e figlio!)

Gli spaghetti con il succo di carote, in salsa Moresca Tarattatà (a base di bottarga), salsa di erbe limoncine e alici marinate. Il tarattatà siculo, onomatopea di “a la guerre comme a la guerre!”: 13 ingredienti da sfoderare all’occorrenza dove non manca la mandorla, alleata fedele  (“Ciccio mi arrendo! Hai vinto”).

Intermezzo di gelato tartufo nero siciliano col suo caviale.

Si fa un giro nell’entroterra: fusilli delle Madonie con agnello locale, verdure e Sp68 dellAzienda Arianna Occhipinti (da conoscere) con Frappato e Nero D’Avola (da riassaggiare), profumo intenso di miele di millefiori.

Ora il momento più chic del pranzo: un vino (per me scoperta entusiasmante): Versante Nord 2010 Etna rosso Pietradolce, buon cartone, violetta selvatica poi di Parma, glicine, poi fiori di zagara, carruba e zampino di Carlo Ferrini servito sul maialino nero dei Nebrodi in porchetta con sugo dello stesso, polvere di salvia e fiori di finocchio selvatico. Non si fa così però, sono una donna sola nel centro dell’isola e nessuno sa che io sono qui!!!

Tasso alcolico alticcio ma più che mai “sinsi arricriati” per usare un termine comune a calabresi e siciliani. A questo punto guardo Angelo Di Stefano, isolano e socio fondatore del Duomo e mi viene in mente Venerdì, il personaggio di Robinson Crusoe (Ciccio): i due mi conducono per mare e per terra a fare un bel giro dell’isola.

Nel frattempo un predessert con gelo di mandarino, ganache di cioccolato bianco, crema alla zucca con fave di cacao e maggiorana fresca per poi chiudere con lo spaziale (vi basta come aggettivo??) cannolo di ricotta vaccina con zuppa calda di fichi d’India e sorbetto di mandorla pizzuta.

Esco dopo 4 ore (circa). Ragusa Ibla in questa stagione è deserta. Il Duomo è un posto dove venire in pellegrinaggio a meditare sulla grandezza e la potenza che il cibo ha se si trova in mani sagge.

In sintesi: questa tavola è assoluto Sultano di assoluta Sicilia. Vorrei che ci fosse una tavola come questa in ogni regione d’Italia. Vorrei che dopo la bellezza della vista, ci fosse un profondità cosi profonda come questa, così profonda da lasciarne memoria nel tempo.

Ristorante Duomo. Via Capitano Bocchieri, 31. Ragusa Ibla. Tel. +39 0932 651265

 

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