Roma. Dal Talebano di Cheese and Cheers non solo per ceviche e vini
Non ce l’abbiamo a Roma una via Emilia da percorrere nella notte per approdare a un rifugio sicuro. Non ce l’abbiamo un muro di nebbia da tagliare e un nastro d’asfalto da consumare ascoltando le canzoni di Ligabue.
Eppure quante volte questo inverno, dopo un’altrettanto avventurosa ricerca di parcheggio sulle impervie alture di Monteverde, mi tornava in mente “Certe notti” del cantautore emiliano, mentre finalmente trovavo asilo e conforto al “Cheese and Cheers” dopo l’ultimo spettacolo al cinema, dopo un teatro o magari dopo una serata a casa, senza aver organizzato nulla, alle dieci e mezzo e con la voglia di uscire che ti prende così, senza un motivo vero.
E invece il motivo c’è: al Cheese and Cheers mi sento come a casa. Non vi aspettate una recensione professionale (anche se le sapessi fare) e distaccata, perché ormai sono diventato amico dei tre soci che gestiscono questo locale: Maurizio, detto “il Talebano“, Emanuela, che un’importante guida nazionale ha definito “Maghetta dei formaggi” e infine Alfonso che, sempre per colpa della stessa guida, tutti chiamiamo “il Serafico“.
Da un paio di anni a questa parte i tre hanno rilevato un pub di via Falconieri ribattezzandolo come bistrot. Non un semplice cambio di facciata, ma un nome che riflette un genere di ristorazione in cui anche la qualità del cibo è al centro dell’offerta.
Certo, si può anche venire solo per bere: troverete una piccola e significativa selezione di birre alla spina e una più ampia scelta di referenze in bottiglia (chiedete dettagli ad Alfonso, c’è una discreta rotazione di etichette, anche di piccoli produttori artigianali italiani).
Si possono prendere dei cocktail: dai classici, come un impeccabile Americano, alle creazioni della casa, come il “Macerata libre” (amaro Varnelli e Coca Cola). E soprattutto ci sono i whisky … e non i soliti nomi, ma decine di chicche scelte con amore e competenza dal Talebano: Caol Ila, Speyside e tanti altri. I whisky dominano sullo scaffale dietro al bancone, ma anche cognac, armagnac, calvados e rum fanno la loro parte, senza contare che un Palo Cortado o un Amontillado non sono tanto facili da trovare in città. E poi c’è sempre il formaggio giusto per abbinarli, o pane burro e alici con un whisky adeguato.
Ma se non siete qui solo per bere, dimenticate quei tristissimi taglieri che imperversano in tanti posti solo apparentemente simili. A parte che qui il pane è fatto in casa (e non mi pare un dettaglio da poco), il livello dei salumi e dei formaggi artigianali selezionati da Emanuela è all’altezza di un ristorante stellato, fidatevi.
Poi c’è la cucina. A cura del Talebano (anche se si favoleggia di un’impareggiabile carbonara di Alfonso, ma ancora non ho avuto modo di appurare se sia leggenda o realtà).
Leggenda e realtà che si confondono nella biografia del Talebano, da anni e in vari ruoli nel settore della ristorazione a Roma. Un uomo che sembrerebbe aver fatto tutto nella vita, dalle distillerie scozzesi alle contrade senesi, tranne forse la guardia svizzera (capace che avrebbe ucciso il Papa). Il soprannome gli è stato dato nella notte dei tempi e ormai se lo porta dietro, anche declinato in romanesco (a Talebba’). E gli sta molto bene, non solo per l’aspetto fisico, ma soprattutto per la sua intransigenza sulla qualità dei prodotti che offre: se una cosa non è all’altezza dei suoi standard, semplicemente non c’è.
Quindi pochi piatti in una carta che ovviamente cambia a seconda della stagione e delle disponibilità del mercato. Tra i classici del locale, quasi sempre presenti, troviamo “Il gatto a nove code“, variazione sul gattò di patate e un gustosissimo millefoglie di polenta con spigola. Ci potete anche abbinare dei vini, come faccio io, non solo birre. Emanuela, che è sommelier, dà ottimi consigli per scegliere la bottiglia giusta, o il calice, da una lista non lunga, ma tutt’altro che banale, che comprende anche ottime bollicine.
Un altro classico del locale è la frittata, a 5 euro il piatto low cost per antonomasia. Un frittatone di tre uova bello alto, soffice e croccante (viene ripassato un attimo nel forno caldissimo) che potete personalizzare come volete (la mia combinazione preferita è: cipolla, patate, guanciale e indivia). Per i più tradizionalisti non mancano quasi mai un’amatriciana e un’entrecote, e poi si va secondo l’estro del momento. Ho assaggiato per esempio un goulasch fenomenale e un delicatissimo salmone cotto nel burro.
E poi c’è la caccia. Quest’inverno, prenotandola con un certo anticipo, ci siamo goduti una lepre royale e, qualche mese dopo, uno splendido fagiano. Non ricordo bene come fosse preparato, ma era accompagnato da un riso agrodolce e un mix di spezie molto intrigante.
Più volte abbiamo assaggiato, una sera anche nei trapizzini di Stefano Callegari, il ceviche del Talebano, pesce crudo marinato con lime, cipolla e chili. Un tempo credevo che fosse una specialità esclusivamente peruviana, ma in realtà è comune ad altre nazioni dell’America Latina, tra cui Panama, di cui la mamma dello chef era originaria.
Il prossimo ceviche è previsto il 14 luglio. Ve lo racconteremo, e vedremo se il Talebano ci svelerà qualche segreto (oltre a quelli raccontati da Patricia).
Tante altre cose su questo bistrot potreste scoprirle venendoci. Per esempio la possibilità di fare bookcrossing, cioè lasciare lì un vostro libro e adottarne uno abbandonato da un altro avventore.
Pure questo succede al Cheese and Cheers, tutte le sere fino a notte fonda, tranne la domenica.
Cheese and Cheers – Bistrot. Via Paola Falconieri 47/b Roma. Tel. +39 06.9603 9525