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Vino
11 Dicembre 2012 Aggiornato il 7 Aprile 2019 alle ore 11:16

Riesling. Mosella vs Alsazia, chi vince l’accoppiata con il tartufo al Palagio

Riesling di Mosella vs. Riesling d’Alsazia con tutta la corte degli altri vitigni compagni (la banda dei Pinot, il Gewurz, il Muscat). Il contesto? Un
Riesling. Mosella vs Alsazia, chi vince l’accoppiata con il tartufo al Palagio

Riesling di Mosella vs. Riesling d’Alsazia con tutta la corte degli altri vitigni compagni (la banda dei Pinot, il Gewurz, il Muscat). Il contesto? Un concerto di voci bianche, e un solista che più bianco, e insieme più dialettico, non si può: il tartufo. Esperimenti sofisticati di abbinamento. Nodo sciolto, alla fine? Neanche per idea. Se non con l‘eterno verdetto. Buono più buono, uguale buono. Ma resta importante l’occasione per dire di due case e due famiglie di vini (quelli targati Marcel Deiss da un lato, i Mosel di Heymann-Lowenstein Weingut dall’altro) che fanno entrambe della territorialità estrema la loro bandiera, ed entrambe declinano una forte scelta “intellettuale” (pur se schierata a spada tratta con la “naturalità” delle pratiche, fermentazione in primis, e dei risultati) alla base dei loro vini. Da Heimann-Lowenstein, per dire, si cita come mood ispiratore la poesia di Ingeborg Bachmann (“Così uno dovrebbe essere in grado di levare il sasso/ e di tenerlo nella speranza selvatica/ finché comincia a fiorire/ come la musica raccoglie una parola/ e la illumina con la forza del suono”). In casa Deiss si racconta invece che “come il panettiere instancabilmente lavora il proprio impasto, così noi ariamo i nostri terreni senza tregua, con una convinzione assoluta…”. Chiara l’antifona?

Metti, allora, una sera a cena al Four Seasons di Firenze, dove un signor chef, Vito Mollica, orchestra con classe – ormai acclarata – la scatola elegante, le nuances e i menu del suo “Palagio”. Con due ospiti d’onore “liquidi” (ed esotici, nel contesto toscano). Impegnati, sulla carta, a sfatare un luogo comune sul marriage ideale per i piatti alla trifola (qui un San Miniato profumato ed espressivo, provvisto dai master Savini); ma, in realtà, più che altro, a sfilare come grandi mannequin convinte di essere capaci di impreziosire qualsiasi modello, anche il più ardito, e in qualsiasi scenografia, anche la più estrema.

Estremo, certamente, è il listino d’incroci che il menu propone. Dopo l’aperitivo in parallelo (il Nature di Deiss 2009 “contro” lo Scheiferterrassen 2011, e tra un attimo vi raccontiamo com’è andata) per dirla alla Lorenzo da Ponte, “il catalogo è questo”: tutto, non dimenticatelo, al San Miniato bianco.

  1. Crudo di scampi e gamberi rossi, passata fredda di cardi
    Heymann-Lowenstein Von Blauen Schiefer 2010
  2. Vellutata di pollo razza bianca Valdarnese con uovo e crema di fegatini
    Deiss Schoffweg 1er Cru 2007
  3. Risotto al pecorino e miele, salsa di castagne leggermente affumicate
  4. Heymann-Lowenstein Ulhen Roth Lay 1. 2007
  5. Porchetta di coniglio grigio di Carmagnola, purea di topinambur
    Deiss Mambourg Grand Cru 2008
  6. Formaggi “I cru dell’abbondanza” di Roncofreddo
    Heymann-Lowenstein Auslese Goldskapel 2009
  7. Cilindro croccante al cioccolato bianco, gelato al torrone di “Canelin”
    Deiss Pinot Gris Selection des Grains Nobles 2005

E andiamo allora al dettaglio. Nella sempre eloquente scaramuccia dell’aperitivo (il momento più decontratto, più pop, meno formale, e anche per questo spesso più viscerale e immediato) il voto popolare (oltre agli addetti ai lavori c’erano i normali ospiti del ristorante) ha subito un destinatario chiaro. Il Mosella delle Terrazze d’Ardesia (Scheiferterrassen 2011), aereo e tenacissimo insieme (il minerale…), delicato e presente, le note varietali in evidenza, seduce con facilità pansessuale, da Nureyev, signore & signori; e becca il premio del pubblico, e 1 secchio grande come una bagnarola. Altra storia il Nature 2009 di Deiss, austero e ritegnoso quanto l’altro è immediato (e sì che la casa lo classifica “vino di frutta – vino dell’istante”), tenace e sodo al gusto, marcato dal Pinot Gris, pietra angolare ed evidente in un mix che include Gewurz, Riesling, Muscat e Pinot d‘Alsace. Ci guardiamo col sommelier, e insieme decidiamo che è un vino “gastronomico”. Con tre stuzzichi al tartufo, meglio se uno caldo, eccolo incolonnarsi in rotta. Secchio, no. Ma premio della critica, sì. E arrivederci fra un par d’anni

Si passa a tavola. E al primo modello che sfila, il Von Blauem Schiefer (Ardesia Blu) 2009, tocca in fondo un gioco di sponda abbastanza amichevole. Minimo tocco di legno, evidente nuance minerale, discreto alcol (12,5%), armonia e finezza di fruttato e spezie, il Riesling fa la sua con i crudi, i cardi e anche la trifola: che a sua volta supera l’ostacolo del piatto freddo (lei che ama una “dolce” spinta di temperatura ai suoi profumi) e trova la dolcezza dei crostacei con gusto rilassato. 3 scatti nitidi.

Vellutata, uovo, fegati. Qui il tartufo vive facile. E il bicchiere? Schoffweg è un 1er cru. E fa parte della categoria dei loro vini che i Deiss definiscono “di territorio-specchio del paesaggio” (gli altri, oltre al già citato “dell’istante”, sono i “figli del tempo-frutto della pazienza”: abbiatene pure voi che ci arriviamo nel finale). Il paesaggio è quello del “cammino delle capre” raccontato dal nome. Un suolo di calcare giallo, che all’uva (le uve anzi, come spesso da Deiss che al mantra del vitigno, si sa, dà poco spago: qui Riesling e Pinot, ma col Riesling che stavolta ha una forza quasi materica insieme alle sue sfumature abituali, e va oltre l’aroma, esplora la sostanza) danno serietà, e però anche un certo grasso. Risultato: il vino non “sposa” il piatto, lo integra nel proprio gusto, lo mastica e poi lo restituisce. Il tartufo è “dentro”. Riappare al prossimo shot. Vino bello; non facile. Direbbe un sardo: “vuole capito”. E il 2007 è giovane. 3 scatti, da solutori abili.

Il risotto tende al dolce, il fumé tende al fumé, il tartufo copula facile col riso, flirta con le castagne, e agli altri invitati al partouze dà meno confidenza. L’Ulhen Roth, vigneti di 50 anni, propensione ragionata a una diversa sfumatura di maturità (più avanzata) delle uve, è tanto, e tanto di più dei due fratelli di vitigno che lo hanno preceduto. Ma forse proprio per questo (sta bene con il morbido, sia chiaro) mi seduce un filo di meno del precedente. 3 scatti, ma a filo.

Il coniglio è il piatto più lineare. Sa di suo, il cuoco gli lascia libertà d’espressione. Il Mambourg “specchio del paesaggio” anche lui, è un Grand Cru però, dunque specchio da regine. E iridato. Nel magma ha tutti i Pinot (Bianco, Grigio, Nero, Meunier, Chardonnay e il paesano Beurot). L’esito, materico, prensile, è che in bicchiere nero, profumi a parte, si farebbe fatica a dirne la razza. Non a caso chi lo fa consiglia di caraffarlo un’ora prima del servizio… Rulla dunque sulla pista, decolla potente, e prende la bocca intera. Di nuovo rimbalza sul piatto, ci gioca a tennis, più che maritarlo. Ma sono bei dritti e belle volées. 3 scatti ½

Formaggi e Rottgen. Cioè Auslese. Strada spianata. Tartufo come Legion d’Onore sul petto di un decorato, preziosità ulteriore. Ed è buono, l’Auslese. Alterna toni chiari e dolci, di frutta anche delicata, a pennellate scure, caramèl al caffè, nocciola, marroni. La quota dolce ha un buon contraltare saporito, minerale. Il vino lo finisci alla grande. Auslese da secchio; un casino in tempi di austerità. Sui 3 scatti e ½, poco meno del tetto massimo della nostra scala a 4 scatti.

Infine, la conferma. I vini di Deiss non sono mai comprimari Non cantano mai all’unisono. Non fanno la seconda voce. Mottetti, antifone, stornelli anche a dispetto, quello sì: e se si canta in due, è come Lennon-McCartney, si va da pari dignità in su, sempre con una sottile sfumatura di rivalità. Torrone e cioccolato nel dolce, e il vino “sa” anche di cacao. Ma è la parte meno frivola del duo. Un Pinot Gris Selection des Grain Nobles insomma che durerà quanto la pietra (o, in proporzione e in scala, quanto la interminabile fermentazione che conduce al suo esito finale). È senza dubbio un gran vino. Ma che non si dà (stile di casa direi) ancora tutto. Al pranzo di Babette, diciamo, Babette avrebbe dovuto convincere anche lui a mollare al 100%, seducendolo coi sapori, come i convitati. È il filo che gli manca oggi, dico io, per la perfezione dei 4 scatti, la generosità della bellezza che si dà come premio a un corteggiamento comme il faut. Ma magari è questione di tempo. I Deiss lo danno con target 2035. Ce la metterò tutta per esserci. Giuro…

scatti di gusto
Scatti di Gusto di Vincenzo Pagano
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