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7 Febbraio 2013 Aggiornato il 2 Luglio 2014 alle ore 21:42

Guardare MasterChef e Carlo Cracco per superare l’esame del kitchen coordinator

Kitchen coordinator, questa professione non la conoscevate. E nemmeno io. Trattasi di figura in forza in molti ristoranti per gestire curriculum vitae e
Guardare MasterChef e Carlo Cracco per superare l’esame del kitchen coordinator

Kitchen coordinator, questa professione non la conoscevate. E nemmeno io. Trattasi di figura in forza in molti ristoranti per gestire curriculum vitae e stage. In pratica la porta per accedere alle cucine stellate e farsi le ossa. Lo leggo con apprensione sulle colonne di Repubblica. C’è anche al Noma. Ma il prototipo dell’abbattitore italiano di CV non può che essere lui: Carlo Cracco. Osservarlo con attenzione a MasterChef (come fa Imma Gargiulo) può fornire qualcuna delle armi per passare il primo esame, quello dell’anticucina.

  1. Sorriso. Indispensabile perché se non sarai dietro un vetro di una cucina a vista o al tavolo a destreggiarti tra cuccume bollenti e cuscinetti appoggia borsa della signora che lancia gridolini di meraviglia almeno davanti a una (tele)camera per uno show cooking dovrai metterti per uscire dall’anonimato.
  2. Lingua 1. Saperla usare correttamente nel senso grammaticale e di empatia. “Uscire” dalla cucina per salutare i commensali non può diventare il passaggio tra i tavoli stile saluto degli sposi al matrimonio. Al bando le espressioni confidenziali e quelle generiche. “Come è andata?” dovrebbe essere eliminato dal vocabolario fraseologico dello chef. E’ a metà strada tra la domanda che si fa all’uscita degli esami, l’invocazione accorata dei genitori al primo colloquio di lavoro, la telefonata tra adolescenti per sapere se sì, ce l’hai fatta con la tua aspirante dolce metà. “Ha notato come la nota acida ha dialogato con la freschezza del pollo del contadino di casa mia” potrebbe rivelare particolari sconosciuti sia al semplice appassionato che all’instagrammatore compulsivo. Senza sottrarsi al corretto desiderio di critica del cliente.
  3. Lingua 2. Tante dovrebbero essere quelle straniere conosciute dallo chef. L’inglese, che te lo dico a fare, e obbligatoria la seconda lingua del Paese che gastronomicamente interessa. Si è più credibili se si parla portoghese nel momento in cui si mette in carta la ricetta con gli ingredienti scovati nella foresta amazzonica? Probabilmente sì. Ciò non esime dallo scrivere e pronunciare correttamente “foie gras” anche se non si conosce la lingua d’Oltralpe. Nè al contempo nessuno chiederà di fare l’esame nella lingua di Redzepi solo perché avete messo le aringhe e le formiche in carta.
  4. Lingua 3. Essere madrelingua o perfetto conoscitore di una lingua orientale può aiutare molto in prospettiva. Gli aiuto chef giapponesi pullulano nelle cucine europee per la loro costanza e determinazione nell’apprendimento. Oltre ad essere da soli un elemento fusion, aprono la strada all’Est che è un mercato interessantissimo per lo show cooking più qualificato. Vogliamo dire che la seconda/terza lingua potrebbe essere giapponese o (visionari) cinese? E il russo?
  5. Fisico. Ci vuole il fisico per fare lo/la chef. Non solo per affrontare la fatica che una cucina impone con ritmi sostenuti, temperature non sempre in linea con il meteo del momento, spazi che spesso richiedono qualche contorsionismo. Qui parliamo di phisique du rôle in maniera estesa, quello che permette a Carlo Cracco di esibirsi in copertina di GQ con modella nuda e orata di ordinanza. Fisico asciutto o simpaticamente rotondo: vie di mezzo non sono ammesse. Lo chef affermato è chef star e cura ogni suo dettaglio. Dalla barba che lo distinguerà anche nella rapida inquadratura del servizio TV di colore alla giacca che avrà il taglio e il colore adatto alla sua figura. Nulla di impostato (orrore le divise in stile Star Trek e assimilabili) ma nemmeno di ovvio e scontato. Il nome deve essere ben visibile e potete permettervi di scrivere solo Carlo se di cognome fate Cracco, appunto. Tra il bianco e il nero sarebbe preferibile il bianco anche se non sfina. In ogni caso, una giacca immacolata e perfettamente stirata a portata di mano è sempre necessaria. Per non dare l’impressione che in cucina nemmeno ci siete stati potreste entrare in sala abbottonando l’ultimo bottone in alto per far capire che la state mettendo in quel momento. E non solo per andare in tv.
  6. Mani. Qual è la prima cosa che guardate di un uomo o di una donna in cucina? Ma che domanda, le mani. Che devono essere curate e, come ricordano su Repubblica, forti e delicate come un pianista per poter aprire correttamente i frutti di mare. Il dilemma è sulle scottature e i tagli: esibirle con malcelata nonchalance perché in cucina si lavora mica si fa manicure o nascondere le abrasioni con cerotti? La via di mezzo è presentarsi con i guanti in mano che rassicurano il cliente di non aver pasteggiato con un sottofondo ferroso (e lo chef di non aver alterato il piatto). La via migliore è averle come quelle del pianista.
  7. Classifiche. Al tempo del web e dell’impazzimento da TripAdvisor e dei blogger fotografi seriali occorre conoscere non solo per avere il proprio guru di riferimento. Comprendere chi si ha davanti può far scattare quell’empatia che è propria dei rapporti umani. Che non significa piaggeria, circonvenzione di incapace, desiderio di piantare la coltellata risolutiva ma semplicemente presentare al meglio se stessi e il proprio lavoro. Che ascriverei alla voce intrattenimento&divertimento piuttosto che a filosofia&medicina.
  8. Sì, chef. E’ l’espressione che non deve mancare mai. Chef vuol dire capo, sottinteso della brigata di cui si aspira a far parte o di cui già si fa parte. Ma non deve essere l’espressione di rassegnazione. Vuol dire aver capito cosa si sta facendo e soprattutto perché. Inutile ripetere automaticamente quel sì se non si ha davanti lo scenario conseguente all’affermazione. Il piatto potrebbe volare nel lavello nella peggiore delle ipotesi. Meglio allungarsi “Sì chef, ho capito che è molto importante e vorrei chiedere una delucidazione in più”. In tutti gli altri casi probabilmente siete Ilaria Bellantoni (ricordate Vito Frolla?)
  9. Corso professionale. Indispensabile se è vero che qualche anno fa per far risparmiare qualche miliardo di euro di ICI agli Italiani è stato deciso il taglio dell’istruzione: azzerando di fatto la possibilità di imparare bene l’inglese, il greco o il mestiere di cuoco. Mettere mano al portafoglio rinunciando alla motocicletta o investendo i risparmi di sotto commis per andare all’estero è una di quelle idee che nel CV provocheranno un percettibile movimento del capo del Kitchen coordinator. Sempre che non sia un fanatico degli Hells Angels.
  10. Vincere MasterChef. Molti bollano il talent show come la scorciatoia per diventare chef quando si è al massimo un semplice appassionato in grado di cucinare al di sopra della media dei propri colleghi anche se qualcuno è riuscito ad aprire un ristorante come Luisa Cuozzo. Intanto bisogna passare le forche caudine dei tre Kitchen coordinator più intransigenti di sempre. E mica faranno vincere il più simpatico o quello che cucina peggio come vorrebbe farci credere Maurizio Crozza in Bastard Chef?

Dieci punti non saranno sufficienti a superare l’esame del Kitchen coordinator. Ma sono pur sempre una buona base di partenza cui aggiungere qualche altra eventuale considerazione.

[Link: repubblica.it]

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