Milano Fuorisalone. Il food design tra Enzo Mari e Carlo Cracco
Nella mia fine è il mio principio. Riprendo da un pomeriggio di sole nel cortile di Palazzo Clerici, ad ammirare gli effetti cromatici del peso del mio fondoschiena su una sedia intelligente, ben impressi nella mia memoria e appesi come monito alla parete della mia stanza. Con la pioggia scrosciante di queste primavere per niente gaie e dopo un anno vissuto pericolosamente, siamo di nuovo al Salone del Mobile e al suo parente scapestrato, il Fuorisalone.
La curiosità è diversa dagli anni precedenti, in bilico tra aspettative di fasti che ci confermino che il mondo non è poi tanto cambiato e austerity imposta e autoimposta. Come se non bastasse, si ha l’impressione che il Fuorisalone si stia trasformando nell’ennesimo evento food e, se l’anno scorso i barattoloni del Gran Ragù Star mi avevano destabilizzata, quest’anno il timore di incontrare Carlo Cracco e subirne la fissità dello sguardo mi ha annichilita.
Per cui, ho cominciato sul sicuro, dove avevo lasciato nel 2012: da Domus. A Casa degli Atellani, di fronte a Santa Maria delle Grazie, in una zona di Milano affascinante, che, nella quiete di una serata piovosa, riesce a ridurre al silenzio anche i più superficiali.
La dimora quattrocentesca è uno di quei gioielli meneghini di cui il Fuorisalone facilita la scoperta (o la riscoperta), in una città che, troppo spesso e senza cognizione di causa, viene definita artisticamente povera; qui, Leonardo ha messo piede e l’architetto milanese Piero Portaluppi le mani.
Domus, invece, ci ha messo le foto, allestendo la mostra “Analog Blast. Design through the lens by Ramak Fazel”, un omaggio ai grandi protagonisti del design italiano e internazionale. In quelle stanze dove si aggirò il talento di Leonardo, gli scatti di Ramak Fazel ci ricordano che il genio è umano: considerazione per nulla scontata a cui consegue, evidentemente, che il non saperlo utilizzare può essere definito bestiale, soprattutto in momenti in cui la necessità dovrebbe aguzzarlo.
A rafforzare quanto sopra, la presenza di Enzo Mari, che è tuttora considerato la coscienza dei designer (come lo definì Alessandro Mendini): incredibile ottantenne che si porta dietro, oltre al bastone, un’aurea di grandezza percepibile alla prima occhiata. La Casa degli Atellani, sebbene possa vantare una storia che risale a Ludovico il Moro, è estremamente accogliente, smorza la tipica frenesia da Fuorisalone e induce a soffermarsi nei vari ambienti, tra la boiserie della biblioteca e il giardino all’italiana, romantico nell’uggia della sera.
Anche il cibo servito ha contribuito a generare un clima conviviale: pane e salame, le ormai imprescindibili polpette al limone e orecchiette con il sugo. Una scelta particolare, ma coerente con la ricerca di concretezza che Domus aveva già trasmesso lo scorso anno.
Un’esperienza, questa prima, che potrebbe contribuire a dare nuova linfa al Fuorisalone, riportandolo alla dimensione di dialogo con il pubblico, in termini non solo commerciali ma anche pedagogici (come direbbe Mari rivolgendosi al consumatore, “il nostro scopo è fare di te un partner”); e, magari, far cessare la pioggia. Perché, citando la canzone partenopea, arte senza cuore, primavera senza sole. Credo possa valere anche per il design.
[Paola Caravaggio. Immagini: Stefania Cappellini]