Massimo Bottura, ovvero la 50 Best Restaurants spiegata dal migliore chef d’Italia
Massimo Bottura, lo chef dell’Osteria Francescana non è tipo da facili entusiasmi, ma quando gli parlo per capire come abbia accolto il terzo posto nella classifica dei 50 migliori ristoranti del mondo, anche al telefono la sua voce ride.
“Mi chiedi se sono contento? Guarda allora ti racconto cosa è successo sul palco a Londra al momento della premiazione: mi si avvicina Daniel Humm, lo chef del Eleven Madison Park di New York, mi guarda negli occhi e dice: <Massimo, uno, due e tre – contando con le dita – è il secondo anno che sei tra i primi tre ristoranti del globo>, non è poca cosa”.
In effetti non è poca cosa se si considera che cucina italiana appare piuttosto sottostimata nella classifica dei 50, con Bottura sul podio e poi, molto indietro, Piazza Duomo a Alba al 39mo posto e Le Calandre di Rubano al 46mo.
Per Bottura, la motivazione dei giudici si condensa in due parole “tradizione e modernità”, in un Paese, dicono sempre i giudici, “dove si è molto permalosi con la gente che interferisce nel radicamento della tradizione culinaria”.
Poi però Bottura prova anche a contestualizzare l’importanza del premio.
“Arrivare primi, essere in classifica, vincere, è tutta una questione di influenza, di capacità di influire – e in questo anche la lingua inglese aiuta – . Perchè Noma è primo? Perchè in questo momento tutti stanno guardando la cucina del Nord come capacità di “foraging”, di andare a rovistare, a recuperare le vecchie tradizioni, gli usi culinari del territorio. Se vuoi tutto quello che noi italiani facciamo da sempre. Che cos’è la buona cucina italiana – dice ancora Bottura – se non anche la capacità di promuovere il nostro territori, nostri artigiani, i nostri allevatori, contadini, pescatori. Nel caso del Noma, come ripeto, il raccontarsi in inglese aiuta molto, è un ristorante che ha cominciato a creare una cucina dove non c’era niente, il New Nordic Food, e adesso Renè Redzepi vale il 10 per cento del Pil della Danimarca. Ora però tutta la brigata se ne va per tre mesi in giappone a cucinare, e il Noma chiude per una grande ristrutturazione”.
Parliamo del numero 2, il Cellar di Can Roca…
“Beh il Cellar io lo conosco da sedici anni, ci andavamo a magiare con Ferran Adrià quando io lavoravo al El Bulli, la domenica andavamo sempre lì e c’era anche Rene Redzepi, quindi potete immaginare quanto lo ami. E’ una famiglia straordinaria, tre fratelli Joan, Josep e Jordi, bravissimi, incredibili…loro rappresentano un po’ il fenomeno che è venuto prima del New Nordic Food, la scoperta della grande cucina spagnola”.
Bottura, chiedo, se tu mangiassi per la prima volta, da cliente, alla Francescana, poi come lo racconteresti il menù?
“Dipende cosa scelgo la “tradizione in evoluzione” vedo un territorio profondo ma visto da 10 chilometri di distanza, significa che mangio la tradizione ma rivisitata in chiave moderna, però quello che mastico è parmigiano reggiano, tagliatelle al ragù o del bollito misto che però non viene bollito. Se prendo il menu delle “sensazioni” ci trovo la compressione delle memorie e delle passioni delle chef, Bottura ama l’arte, la cucina e la musica e in ogni boccone io ce le ritrovo.
Bottura chiedo infine, ma gli Italiani amano la grande cucina gourmet o alla fine sono più contenti con le buone vecchie cose della nonna…?
Non finisco di parlare che Bottura, dall’altra parte del telefono, già ride: “Che grande domanda, questa è davvero la grande Domanda!. Gli italiani sono molto cresciuti, lo penso davvero. Grazie anche a cose come il Gambero Rosso eppoi anche grazie tutti questi programmi televisivi..”
Davvero?, chiedo, tutta quella cucina in tivvù aiuta la grande cucina?
“Sì, alla fine sì, perché avvicina i giovani alla cucina, c’è una leva di italiani 19-20 enni bravissimi in giro per i migliori ristoranti del mondo. E altri ne arrivano in continuazione: considerate anche il sacrificio e la passione, a quell’età invece di andarsene in giro con gli amici se ne stanno chiusi in cucina tutto il giorno e studiano tantissimo. Adesso si comincia con la televisione, poi si scopre che la grande cucina non è insulto e schiamazzo e si va avanti con impegno, amore: diventa una scelta di vita. Ero a Londra pochi giorni fa la bar dell’Hotel Connaught, premiato come uno dei migliori del mondo, è gestito da 4 giovani italiani, una cosa straordinaria”!
[Immagini: Gabriele Nastro, Dissapore, Timeout, 50 Best Restaurants]