Milano. Ristorante giapponese Fukurou dall’autentico rapporto qualità prezzo
Fukurou. In molti a Milano – ma non ancora in troppi, differenza sostanziale – parlano di questo nuovo ristorante giapponese. Fukurou è nato sulle fondamenta dell’Asahi per volontà di Noriyuki Haga ex campione nipponico di Superbike, improvvisatosi ristoratore, e di un cuoco che di improvvisato non ha nulla, dopo anni di onorato servizio all’Osaka di Corso Garibaldi.
Aperto a metà febbraio, nella zona davvero poco modaiola appena dietro alla circonvallazione, tra le fermate di De Angeli e Gambara e proprio davanti al Pio Albergo Trivulzio, da subito si è affermato come uno dei ristoranti giapponesi più autentici di Milano (noi l’avevamo già segnalato qui).
I cavalli di battaglia nipponici, in effetti, ci sono tutti, mentre non campeggiano in menu i piatti più inflazionati dei soliti cino-giapponesi, su tutti gli uramaki.
Entrare in questo locale con l’idea di ordinare un bel piatto di tiger roll, insomma, è l’approccio sbagliato, foss’anche solo perché ne rimarrete delusi: non li hanno.
Il consiglio, piuttosto, è quello di non lasciarsi impaurire dal menu: la sera campeggia una lista nutrita di piatti che a noi occidentali potrebbero risultare sconosciuti, ma dopotutto, in questi casi, il bello è buttarsi.
Un atteggiamento che decidiamo di avere mentre, impegnati con il benvenuto della casa e un piattino di edamame, ci apprestiamo a ordinare.
Di lì a poco cominciano ad arrivare in tavola piatti che non sempre abbiamo avuto modo di gustare altrove. Iniziamo con il tako wasa, polipo marinato nel wasabi. Un piccolo antipasto che ci fa subito venire le lacrime agli occhi. Per bontà, ma anche perché il wasabi si fa sentire in tutto il suo inconfondibile aroma.
Anche il sesamo con cui è guarnito il piattino di pesce marinato e alghe non è un’apparizione fugace. L’impressione che abbiamo è che, rispetto ad altri ristoranti provati, ogni ingrediente sia perfettamente definibile. Insomma, siamo ben lontani dalla sensazione per cui non si capisce bene cosa stiamo mangiando.
Nonostante sia maggio inoltrato, complice il temporale estivo che è appena scrosciato fuori, non abbiamo nessuna intenzione di privarci dei piatti caldi.
Soprattutto se si tratta del ramen, che sta impazzando in altre zone della città, e di cui da Fukorou troviamo oltre che una lista infinita di variazioni sul genere (dal tonkotsu allo shio fino allo shōyu) anche una delle versioni più autentiche finora mai provate.
Ordiniamo un ramen miso, senza preoccuparci del fatto che il piatto sia uno dei più calorici al mondo e che la porzione che arriva sia servita in un piatto pressoché gigantesco. I presupposti per fare un bel pieno di energia, in effetti, ci sono tutti: le tagliatelle, il brodo tutt’altro che limpido, il mais, l’uovo, la carne di maiale, tutto si combina alla perfezione.
Ogni genere di piatto caldo tradizionale è in lista, ma decidiamo di non uscire senza prima aver provato i soba.
Dalla lunga lista scegliamo il tempura soba, che la coppia di giapponesi (la maggioranza degli avventori sembra avere origini nipponiche, e lo stesso va detto del personale) seduta vicino a noi sta gustando con particolare soddisfazione.
Li seguiamo a ruota, indecisi se dare la palma della zuppa del giorno a questa portata o al ramen. Per me, il ramen, rimane comunque uno dei piatti più buoni al mondo.
Arrivano in tavola i gyoza, la cartina di tornasole per ogni giapponese che si rispetti. La porzione è abbondante – l’immagine qui sopra corrisponde circa alla metà -, la pasta ha un’ottima consistenza e anche del ripieno rimaniamo soddisfatti.
Un’altra parte importante della carta è costituita dagli spiedini, che si possono richiedere sia nella versione fritta che in quella grigliata (in cucina campeggia la griglia su carbone). Semplicemente salati o ricoperti di salsa teriyaki, vengono proposti nelle versioni ‘vegetariane’ (ottimi quelli con cipolla o porro), ma declinati anche con carne e pesce.
Noi optiamo per le capesante grigliate con salsa teriyaki. Unica pecca: una porzione comprende un solo spiedino che, neanche dirlo, finisce troppo presto.
Siamo pur sempre italiani, e non concepiamo di lasciare il ristorante senza aver prima provato del buon pesce crudo. Ordiniamo un misto assortito di osomaki (già ricoperti di wasabi, come tradizione vorrebbe) e del sashimi. Il pesce è delicato, servito a temperatura giusta e le fette non sono sottili come altrove.
La porzione, però, pur costando 18 euro è costituita da sole nove fette, tre per ciascun tipo di pesce. Un prezzo molto più alto rispetto ai piatti caldi: gli antipasti si aggirano sui 6 euro mentre i ramen e i soba sui 10/12.
In totale, considerata anche l’ottima birra giapponese (Kirin) alla spina e un assaggio di dolce (tutti tradizionali, scordatevi insomma il tiramisù al te verde), il conto è sui 35 € a testa.
Un poco di più rispetto alla norma, anche considerata la zona, ma assolutamente in linea con la qualità offerta. Oltre alla cura nella scelta degli ingredienti e al pedigree di tutto rispetto del cuoco, il locale è stato appena ristrutturato ed è tra quei pochi dove è piacevole fermarsi un po’ di più a chiacchierare.
Il consiglio? Prenotare un tavolo rialzato diviso dagli altri da un séparé e sbizzarrirsi nelle ordinazioni. La prossima volta nessuno ci fermerà dal chiedere l’orata con la bottarga, il sukiyaki, gli onigiri o, perché no, la pancetta karaage.
O magari torneremo per pranzo quando, a prezzi più accessibili a fronte di un menu ridotto, si può optare per il yubako, una scatola laccata che contiene piccoli assaggi di sushi, riso al vapore e verdurine in salamoia.
Che dite, siete dei nostri?
Fukurou. Via Trivulzio, 16. Tel. +39 02 40 07 33 83