Pizza. A Napoli sbagliano e una croce nera segnala la pizzeria. Vi sembra giusto?
Tommaso Esposito è un dotto appassionato di pizza napoletana. Da giornalista gira di continuo nelle pizzerie di Napoli e della Campania per informare i suoi lettori delle bontà che riserva il disco di pasta che fa impazzire il mondo intero.
E come ad ognuno può capitare, si è imbattuto in una pizza che gridava vendetta.
Capita. Tante volte, più di quanto si potrebbe immaginare. Perché la pizza è volubile come il tempo (metereologico) che condiziona maturazione e lievitazione dell’impasto. È un prodotto artigianale che non ammette repliche in una serata: se l’impasto è sbagliato tale resta per tutte le uscite dal forno.
Nessuna novità, direte voi. E invece questa volta, rompendo la prassi che accomuna un po’ tutti quelli che scrivono di cibo, di ristoranti e di pizzerie, è partita la recensione negativa.
Con una croce nera: forchetta e coltello incrociate su una pizza che sembra pane e pomodoro, come sottolinea un commentatore.
Ma chest è pizz? par o’ ppan cu a pummarol
Una foto che colleziona commenti neri come la croce.
La delusione per aver gettato una domenica soleggiata sul lungomare di Napoli è stata troppo grande.
Dove sta scritto che bisogna far finta di niente e non dire ai tanti appassionati che uno dei templi della pizza napoletana si è sbriciolato per una pizza che già in foto dichiara il suo non piacevole stato di salute?
Un attimo di riservatezza c’è ancora. Non viene menzionata la pizzeria. Ma dura poco.
Perché una commensale svela il nome: è Fresco la pizzeria in cui opera il Cavaliere Alfredo Forgione.
Per chi non segue il mondo della pizza napoletana potrebbe sembrare un passaggio negativo come tanti se ne leggono su TripAdvisor. Ma qui parliamo di uno dei “senatori” della pizza napoletana, di quella generazione di pizzaioli che comprende nomi pesanti come gli Starita, i Condurro, i Vuolo.
L’orologio del vogliamoci bene a ogni costo sembra aver messo indietro le lancette. Non se ne può più di scrivere solo quando una pizza è buona è il ragionamento che inizia a serpeggiare tra i commentatori che hanno blog, sono giornalisti e scrivono per siti.
La pizza non è buona nemmeno per chi ha preso tre spicchi del Gambero Rosso.
Il 70% della spesa per il mangiare nel fine settimana si consuma tra panini e pizze da incubo. Come la mettiamo? Domenica quando ho mangiato questa pizza ho realizzato che sul lungomare liberato anche una pizzeria descritta come eccellente (3 spicchi Gr etc etc) si adegua alla richiesta turistica tipo spaghetti alla bolognese. Come la mettiamo?
Non è possibile andare in pizzeria e non trovare il pizzaiolo che ormai è una star.
Personalmente aldilà del gusto , trovo irrispettoso fare magari tanti km per una pizza e non trovare mai il pizzaiolo all’azione.
Sono due delle notazioni che escono dai commenti allo stato di Facebook. Aver taciuto per troppo tempo e aver dato l’impressione che tutto sia livellato comunque a un’ipotetica sufficienza per tutte le pizzerie ha generato confusione. Paradossalmente rende difficile far capire che le pizzerie veramente buone a Napoli siano poche. Si finisce con il parlare delle stesse pizzerie e sembra che ci sia una regia occulta invece che una scelta ponderata.
In realtà, le altre zoppicano, arrancano, non rientrano nel concetto di eccellenza. E non basta utilizzare prodotti di qualità o dal nome roboante.
Tutti potremmo essere in grado di mettere macinato kobe piuttosto che fiordilatte dell’hymalaia (perché tra poco scopriremo anche quello), su un disco di pizza…
La difesa d’ufficio di un pizzaiolo verte sempre sugli stessi concetti: se la pizza è buona ditelo a tutti, se non è buona ditelo solo ai pizzaioli in privato. Tecnica che mette a repentaglio la credibilità secondo alcuni critici. Si finisce con il diventare complici del pizzaiolo che, tra l’altro, guarda con molta attenzione a quello che succede in sala. Nessuno mai si sognerebbe di cambiare impasto o fare una pizza diversa se il suo cassetto a fine giornata è pieno.
E poi, non mettere voti così che il mondo della pizza appaia dorato e avvolto in una melassa.
Però la misura è colma. La soluzione prospettata è assaggiare almeno due volte una pizza in una pizzeria per dare la prova d’appello e in caso di doppio esame negativo rendere pubblico il giudizio.
La mettiamo che da oggi si castiga chi non fa onore alla nostra Terra e tradizione. Mo basta. Mi rifiuto di diventare come i romani, fiorentini, veneziani e milanesi. Abbiamo un’identità e va difesa anche a costo di dire che la pizza di un lavoratore è pessima. Chi viene qui deve adeguarsi alla nostra tradizione. E il primo ristoratore che vedo che a fine pasto porta il cappuccino ai tedeschi (ed io sono padre di tre tedeschi) lo sego. Il caffè si il cappuccino no.
Una questione di difesa dell’identità di un prodotto spesso torturato da improbabili realizzazioni. E ovviamente la difesa deve partire dal luogo in cui tutto è nato, cioè Napoli.
Sembra quasi di ascoltare la famosa puntata di Report che ha gettato la pietra nello stagno. La pizza a Napoli come a Milano o a Venezia. Con le sue luci e le sue ombre.
Anche per la pizza “in brodo” che vedete in foto mi sono arrivati messaggi di richiesta di specifiche e inviti a degustare da parte di pizzaioli.
Mi fermo qui e chiedo a voi: è arrivato il momento di fare una fedele cronaca non solo dei locali che convincono ma anche di quelli che deludono? O è meglio continuare nella scelta a monte pubblicando solo quello che piace?