Starbucks apre in Italia e ora ci chiederemo qual è il bar migliore
A distanza di qualche giorno l’uno dall’altro mentre nell’italico stivale si assegnava il premio “Bar dell’Anno” 2016 – legato alla guida Bar d’Italia del Gambero Rosso – in terra d’Albione si celebrava la cerimonia di premiazione dei Restaurant and Bar Design Awards: 70 i paesi coinvolti in tutto il mondo, progetti avveniristici, luci, specchi, vetri, robe girevoli a decretare, in soldoni, il posto più figo dove bersi un caffè in Italia e nel mondo.
Dimenticandomi per qualche secondo di essere napoletana (ma Napoli Napoli?) proverò ad essere diciamo obbiettiva e guardare con geografico distacco a questa Pasqualina che si è portata a casa l’ambito riconoscimento. La Pasqualina si trova a Bergamo: alta o bassa non è dato sapere. E’ un localone, spazi ampi, scale, led, suggestioni chirurgiche a tratti. Ho dato un’occhiata a tripadvisor: più o meno tutti sono concordi sul fatto che il posto è bello assai, raffinato, ma si paga troppo.
Immagino che i criteri adottati per la valutazione incroceranno la bontà dei prodotti, l’originalità del design, la professionalità del personale e non so cos’altro, ma per me un posto bello bello, un bar bello bello nello specifico, quel luogo dove per definizione si incontrano pensieri, persone, odori, occhi, mani, quello spazio dove si consumano appuntamenti al buio, riunioni di lavoro, incontri clandestini, le luci a neon non le deve vedere neanche in cartolina. E neanche quei soffitti infiniti, né tantomeno scaloni pseudo-monumentali.
A me un bar così mi mette l’ansia.
E non meno me ne trasmette questo Dandelyan che ha vinto il Restaurant and Bar Design Awards: velluti, marmi come se piovesse, divani Chesterfield per sentirsi a casa (il Dandelyan si trova a Londra) e ancora i vecchi, cari, inaccettabili neon. Un’atmosfera meno ‘Piano -1: chirurgia’ e più ‘Spazio 1999’. Che dice tripadvisor? Più o meno uguale a Pasqualina: bello ma costa tanto. Vabbè però a Londra è caro tutto, non vale.
E mentre la piovosa Londra da un lato e la turrita Bergamo dall’altra si contendo clienti in una lotta ad alto tasso di caffeina, è di queste ore la notizia della probabile, imminente apertura di Starbucks in Italia. Le voci che si rincorrono parlano di un inaugurazione nella città di Milano, nei primi mesi del 2016. Tutto da confermare che è da molti anni che si bisbiglia di un prossimo scalo della sirena di Starbucks nel nostro paese, approdo sistematicamente rinviato. La notizia, laddove vera, costituirebbe, almeno per chi scrive una fonte inesauribile di gioia e papillifera eccitazione nonostante la di lei religione le impedisca di immaginare un caffè sopportabile superata Formia.
Che Starbucks non è un bar. E’ una filosofia di vita. E’ quel luogo dove anche un caffè annacquato diventa nettare degli dei, dove i muffin burrosi sono in realtà amici della linea, le insalate annerite un pranzo salutare, dove una persona sola, la testa nel tablet, i capelli arruffati e un pullover oversize non è sfigata, ma molto molto cool.
In attesa di capire se la notizia sia vera o meno, e studiare appositamente un week end milanese per affogare in un frappuccino bollente, continuo ad accarezzare con una fantasia probabilmente viziata da anni di serie televisive che raccontano un’idea di bar molto friendly, il sogno, almeno per qualche ora, di varcare la soglia di quello che è il bar più bello del mondo.
Naturalmente il Central Perk, e se ho bisogno di spiegare a chi legge di che si tratta, allora non andiamo d’accordo. Correte a comprarvi tutti i cofanetti di Friends (ma penso che le puntate ve le potete anche scaricare) e perdetevi nei velluti –e nelle termiti- di quel divano sfondato, nello sguardo idiota di Gunther, cullatevi sulle note –stonatissime- di ‘Gatto Rognoso’.
Central Perk è IL bar.
E’ il luogo della gioia, della complicità, dell’amicizia. Delle battute stupide, delle partite trasmesse in loop. Il luogo dove puoi essere solo e felice, dove le chiacchere sono talmente avvincenti da far raffreddare il caffè, dove c’è sempre una ragazza carina che entra e che tutti si girano a guardare, dove è facile attaccare bottone. Central Perk è talmente tento bar che hanno pensato di ricrearlo, vero, con Gunther che fa il caffè, perfino, ad incarnare quell’idea concentrata di barrio (anche se so che non è così mi diverte pensare che il termine bar derivi proprio da qui) in cui si riflette l’ identità propria di un luogo, in cui si avverte forte il senso dell’appartenenza comune, in cui si distinguono, si sovrappongono e si mescolano le voci di chi lo vive.
[Immagini: Facebook, The Guardian, Restaurant & BarDesign Awards]