Sacro e profano sul Pollino. Mangi e bevi per devozione!
Avete presente la notte della Taranta? Bene! Dimenticatevene!
Qui si incontrano ancora, riuniti insieme, tipi tradizionali, non contaminati dal modernismo e dall’emigrazione. I contadini vi si arrampicano, con tutta la famiglia, da trenta o quaranta paesetti di questa zona poco popolosa, alcuni con un percorso di due giorni perché maggiore è la distanza, maggiore è la divozione (Norman Douglas “Old Calabria” – 1907)
Dall’Imago Restaurant alla festa della Madonna del Pollino è un salto di qualche centinaio di anni, di qualche centinaio di chilometri e senza uso di sostanze stupefacenti. A volte penso che siamo così indietro che siamo avanti.
Se posso dirlo, godo di questi voli da un parte all’altra, anche se costretta a percorrere a passo d’uomo l’autostrada del Sole (perennemente in costruzione), mi godo il paesaggio e oramai con decennale rassegnazione penso “sempre meglio che stare in fila sul raccordo anulare.”
Ma andiamo alla nostra festa pagana: per tre giorni si mangia, si beve, si balla e si canta per divozione. Unica controindicazione non si dorme!
Con il mio amico fotografo Nicola (Caracciolo) decidiamo di fermarci a metà strada a 1300 m per fare un pic nic tra fiori di valeriana, maggiociondoli, ginestre, fiori. Pecore e mucche.
Godiamo di questo silenzio intervallato ogni tanto da qualche pecora che si avvicina curiosa, facciamo due chiacchiere con il pastore che vive tutto l’anno lì con il suo gregge e con la moglie che “è già ddhiuta alla Madonna”.
Arriviamo e troviamo un accampamento organizzatissimo di compaesani, la festa è cominciata già da un giorno, siamo ad un paio di tornanti sotto il Santuario. Ne ho sempre sentito parlare ma è la prima volta che sono qui. La provenienza degli abitanti dell’accampamento si riconosce per la pianta di peperoncini posizionata sul tavolo, trattasi di pipazzari (Castrovillaresi). Statene pur certi, non si mangerà nessun piatto senza ‘u cancariddu eccezion fatta per dolci e bocconotti.
Naturalmente, prima di montare la tenda, sono sottoposta in ordine di apparizione:
ad un piatto di ziti con il sugo di capretto cotto sul fuoco per ore
(un tempo il capretto si ammazzava sul luogo ma oggi le leggi lo vietano e quindi i miei compaesani, a testimonianza di aver rispettato la tradizione, si sono portati dietro la coda che è piantonata sull’albero che delimita la cucina).
Di seguito un super porzione di capretto al sugo, capretto arrostito, pollo ruspante (anch’esso sacrificato per la festa; si cuociono anche le zampe), salsiccia e soppressata piccante.
Pecorino comprato dal solito pastore lì vicino, pomodori Belmonte da 500 g l’uno, vino della casa (lacrima di Castrovillari) servito rigorosamente nel dodici al litro (tipico bicchiere del luogo), percoche di Cammarata con il vino, amaretti delle Vigne (pasta di mandorla), liquore di piretto (da limetta) e grande serenata con organetto.
A questa altitudine non si fa certo fatica a mangiare, la vera fatica risulta il ballo (almeno per la sottoscritta), anche perché una tarantella per essere quantomeno dignitosa deve durare almeno 25 minuti.
Pertanto mi dirigo verso i suonatori a braccio, vicino al Santuario, lì si digerisce ascoltando. Incontro un personaggio mitico di questa festa Antonio Serra grande cantore e suonatore, di cui Giovanna Marini andrebbe matta.
Il suo accompagnatore è un altro grande maestro di zampogna. Il canto si articola su scala non temperata, la sua provenienza è arcaica, l’esecuzione densa di microvarianti, al nostro orecchio appare “stonato” ma lì in mezzo ci sono qualche migliaio di anni di storia della musica perfettamente custoditi da Antonio “occhi ‘i vipera” (questo il suo soprannome). Ascoltatelo
Ti dirò, mi è venuta fame, gli odori che si incrociano provengono dalle pentole sul fuoco della legna, ogni paese porta la propria tradizione, la festa è calabro-lucana e ci sono anche i paesi di mare devoti della madonna si mangia anche il pesce, i profumi sono svariati.
Mi imbatto in una signora ultraottantenne di Chiaromonte (Potenza) che ogni anno prepara per l’occasione un pane di casa ripieno di salsiccia, ova e peperoni. Una meraviglia! Come aperitivo decisamente incisivo. Tiriamo giù un paio di bicchieri di Aglianico di casa e procediamo verso la nostra tendopoli.
“Questa sera stiamo leggeri”, abbiamo detto. Quindi uno spaghetto con una ventina di peperoncini di certo ci sta tutto, apriamo il prosciutto nostrano, una serie di pecorini, vino, amaro del Capo e di nuovo in moto.
La festa è calda, avvolgente, la tradizione è viva: i ragazzi giovani, giovanissimi, suonano organetti, surduline, zampogne, fiscaruli, nocche delle dita, tamburi a cornice, vengono da tanti paesi ognuno con le proprie canzoni e quando i paesi si incontrano fanno una sequenza insieme poi proseguono. Si fermano negli accampamenti a suonare, mangiare e bere.
Sono le due provo a svignarmela in tenda. Provo a dormire, questa musica ad un certo punto entrerà nei miei sogni. Ed è così sino alle 4 del mattino quando i miei vicini di Albidona arrivano al loro camion vestito da baracca per l’occasione, ma invece di dormire armeggiano e alla fine, innervosita da tanto frastuono esco per dir loro due parole e mi ritrovo sotto il naso un barbecue pieno di carne e delle facce stremate e sorridenti: “Favorite signori’, favorite” E’ così la festa! Bisogna rassegnarsi e condividere.
La mattina procede con il canto degli uccelli che non prevale sulla musica , non c’è stato un momento di silenzio i canti sono andati avanti tutta la notte, dopo un paio di ore di malumore (visto che non ho quasi chiuso occhio) mi accingo a risalire sino al Santuario tra poco partirà la processione, le donne distribuiscono pane fritto e vino ai passanti, la gente è felice. Un tempo si faceva “l’incanto”. Gli uomini facevano un offerta in denaro per comprarsi la Madonna e trasportarla. Oggi è illegale. Questo era il posto dove gli innamorati di paesi “Lontani tra di loro” si incontravano annualmente per poter fare la famosa passeggiata nei boschi, dove la natura impone il suo dominio e i sensi vengono scaldati dalla musica, dal vino e dalla danza. Praticamente un rave party approvato dai cattolici.
Dicevo, la Madonna del Pollino che si trova a metà strada tra San Severino Lucano (Potenza) e Castrovillari (Cosenza) deve benedire, per un errore geografico che ha diviso la montagna e il popolo calabro-lucano, prima il versante calabro, poi il versante lucano. Arrivati al termine della processione partono dei fuochi artificiali così rumorosi (devono sentirsi per tutti i 56 paesi e per i 196.473 ettari del parco) urlano evviva la Madonna del Pollino intonando la sua canzone che unisce tutti i cuori.
Torniamo all’accampamento sudati e provati è da questa mattina che si cucina noi ci siamo riservati un ultimo animale sacrificato con la caccia: un fagiano! I saluti, lo smontaggio tutto avviene con grande serenità tra un abbraccio e un altro ci siamo fatti un sacco di amici nuovi, prometto che l’anno prossimo canterò e ballerò oramai sono accreditata, alla tavola di sicuro.
Poi l’ultimo gesto da veri briganti, seppelliamo una bottiglia di vino nella terra con la promessa di rivederci qui l’anno prossimo, per la nostra festa, per la nostra Madonna.
Foto: Nicola Caracciolo (quelle belle)