Cheese 2011 | Non solo bufala e cheddar in plastica arancio
Come ogni due anni a Bra si ripete la magia targata Slow Food. La città si riempie di tende bianche a conetto, i 24.000 abitanti triplicano dalla sera alla mattina, appassionati e profani gironzolano sbocconcellando formaggio, tutti con il calice d’ordinanza al collo. All’aperto, nel centro di un bel paese langarolo e senza biglietto d’ingresso, Cheese è la più riuscita tra le manifestazioni della chiocciola.
A Cheese si gira per il bel mercato dei formaggi italiani, da nord a sud. Bravi, sempre eccellenti nella loro tradizione, i casari italiani. L’innovazione manca. Il formaggio è sublime ma a volte ripetitivo. C’è chi scambia l’innovazione per pazzia e allora eccoti pecorini e caciotte con cioccolato, pistacchi, pinoli… Si respira bisogno di novità a volte. Però poi i banchi della mozzarella di bufala e del parmigiano sono presi d’assedio tutto il giorno. E quindi, che tradizione sia, per la novità non bisogna fare altro che spostarsi nel mercato internazionale dei formaggi, dall’altro lato della strada.
Pretenziosi i nostri cugini d’Oltralpe, radicati nelle loro tradizioni, certamente non i più disposti al dialogo.
Bravi bravi bravi (con immenso stupore) i casari americani e inglesi. Il cheddar è sapido e burroso, color oro. Niente a che vedere con l’idea comune di formaggio prodotto industrialmente, con dosi massicce di coloranti.
Al Nord Italia, notevole, come al solito, Occelli. Merito, per dirne una, del suo celeberrimo Testun al Barolo, latte misto, stagionato almeno cinque mesi con vinacce di Barolo in Valcasotto. Struttura solida e compatta, sapore fresco di latte ma al tempo stesso intensamente caratterizzato dagli aromi dell’uva. Rimanendo in Piemonte, notevole anche la sola di Capra di Carletti. 100% latte di capra, stagionata in fossa. Intensa, pungente e muschiata, con un retrogusto leggermente amarognolo.
In Alto Adige si fanno valere i formaggi di Degust. Tra tutti, Luce. Un formaggio a latte crudo, di vacca, stagionato almeno cinque mesi nel carbone vegetale e rifinito con oro alimentare. Nato per essere abbinato al celebre vino Luce di Frescobaldi, è ricco, grazie all’affinatura in carbone, di note minerali, ideali per complementare il carattere del vino.
Impossibile non menzionare, per l’Emilia Romagna, il re dei formaggi italiani, il Parmigiano Reggiano. Non uno qualsiasi. Il Parmigiano Reggiano biologico da vacca bianca modenese del caseificio Santa Rita. Diverse stagionature, dai 16 ai 30 mesi, ma in bella mostra c’era anche una forma del 1994; ricco, sapido, mai troppo grasso o troppo pastoso.
Dalla Toscana i pecorini de Il Fiorino. Diverse stagionature, affinamenti più o meno fantasiosi. Ancora una volta, repetita juvant, tenersi alla larga dagli abbinamenti troppo audaci.
Nel basso Lazio, un meraviglioso produttore: l’azienda agricola Emme si distingue per i suoi formaggi 100% latte di bufala biologico. Due stagionati e un erborinato. Complessi, ricchi, erbacei gli stagionati. Sublime l’erborinato. Più ricco di un gorgonzola, con un’erborinatura intensa, dolce e muschiato.
La Puglia è la signora del caciocavallo podolico. Presidio Slow Food, 100% latte da vacche di razza podolica. Piccolissime produzioni, lavorazione artigianale, 11 mesi di stagionatura. Color oro, pasta compatta, leggero al palato, con note di latte fresco e burro.
La Sardegna si presenta a Bra con i suoi pecorini. In particolare, il presidio Slow Food, il fiore sardo dei pastori. Piccole produzioni da tutelare, piccoli numeri, per un formaggio sapido e dal gusto “semplice”, il classico del “pane e formaggio” di una volta. Inutile dire che nonostante la manifestazione fosse targata Slow Food, l’eguaglianza tra produttori non è stata proprio rispettata. I produttori del sud vengono sempre in secondo piano rispetto ai loro colleghi del nord. A questo però pone rimedio l’insindacabile giudizio degli affluenti a Slow Cheese. Alle dieci di sera, la fila è davanti allo stand dei cannoli siciliani. Il rescoconto per l’Italia è tuttavia triste. Il piccolo produttore non riesce a innalzarsi, spesso vince la quantità sulla qualità, lo standard è mediocre, l’eccellenza non sempre raggiunta.
All’estero la curiosità è per i formaggi portati da Neal’s Yard, fornitissima formaggeria gastrofighetta inglese. I loro formaggi provengono da piccole produzioni artigianali. Il Kirkham’s Lancashire lascia tutti a bocca aperta. Prodotto da Graham Kirkham con latte crudo di vacca, ha un color giallo intenso, la pasta si sbriciola in grossi granuli. Al palato è cremoso e piacevolmente lussurioso, con un gusto erbaceo deciso e avvolgente. Inutile dire che questi Inglesi si cimentano tanto, e bene, anche nei caprini, con un gradevolissimo intreccio tra tradizione e innovazione.
Ma la vera sorpresa e la vera innovazione la portano gli Americani. Anche qui piccole produzioni, attenzione al biologico, molto latte crudo. Cypress Grove Chevre importa dalla California un formaggio 100% capra. Latte crudo, maturato nella cenere, a pasta molle, con sezione simile a una robiola di roccaverano. Dolce, intenso con note amarognole e affumicate.
Un altro classico americano ci apre gli occhi e ci fa capire che il cheddar non è quello arancione del Big Mac. Uplands Cheese Co, dal Wisconsin, porta un Cheddar meraviglioso. Ricco, dolce, paglierino. Svizzeri e Francesi si lanciano poco nella novità. Tuttavia un piccolo caseificio di Belp in the Emmenthal, Jumi, prepara formaggi anticonvenzionali. Uno 100% latte crudo di vacca, poco stagionato, dolce e pastoso, è addizionato con semi di canapa, e poi, il loro fiore all’occhiello: il Belper Knolle, o tartufo dei poveri. Una pallina di latte crudo sempre di vacca, addizionato con aglio, sale e pepe. Asciugato all’aria si grattugia sulla pasta, sul riso o sulla polenta.
Impossibile descrivere ogni formaggio esposto, ma a questo punto, dopo l’esperienza Cheese 2011, è necessario porsi una domanda. La tradizione, innegabile punto di forza, può a volte rappresentare anche uno sbarramento?
(Francesca Guastella)
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