Napoli è fritta, la pizza che ha conciliato lusso e pop allo Yacht Club di Castellammare
Siamo un popolo di santi, navigatori, scienziati e pizzaioli. Ma anche friggitori.
Ti riconosci in queste parole solo se sulla rotta che da sud a nord, dal Vesuvio al Colosseo Quadrato la bussola ti riporta in un’altra dimensione e il portolano disegna un mondo che sembrerebbe impossibile a Castellammare di Stabia.
Lo Yacht Club è un’evenienza che squarcia una periferia ricca di una storia industriale che si è ormai persa nel tempo. Lo spazio è quello delle grandi imbarcazioni, ma non delle navi e dei cantieri. È il momento delle vacanze e delle barche cullate davanti a un parallelepipedo e a una piscina.
Un palco lussuoso su cui si muovono i protagonisti della felice stagione della pizza napoletana che in trasferta – ormai è assodato – si trasforma e torna all’antico, allo street food, al cibo di strada, ai bassi dei Quartieri Spagnoli e ai crocicchi dei Tribunali profumati di fritto.
Sono 16 i pizzaioli chiamati da Luciano Pignataro e Maurizio Cortese a conciliare l’impossibile e il fattibile, il pop e il mondo dorato, il de luxe e il grido di pancia.
Si friggono gli impasti ottenuti con le farine del Mulino Caputo, l’azienda più atavicamente napoletana in questo profluvio di tradizioni secolari che fa ponte tra un passato che ritorna prepotentemente alla ribalta e un futuro che studia con più attenzione maturazioni e lievitazioni.
Ve la racconto in un’altra maniera la missione – possibile – dei due mugnai Carmine e Antimo: mantenere intatta la tradizione che conosciamo, quella della farina 00 e delle evoluzioni degli ultimi 50-60 anni, e andare a pescare nel mazzo della storia le carte vincenti delle origini, della farina Tipo 1 che sta letteralmente facendo impazzire gli Americani e fa tracimare l’ondata della pizza oltre l’alveolo del Volturno che è linea simbolica tra sud e nord della pizza. E quindi del mondo.
La pizza fritta è l’essenza della capacità dei Napoletani di inventarsi, reinventarsi e stupire attraccando un #gommone (cioè una pizza alveolatissima) lì dove nessuno avrebbe scommesso.
Il popolo dei foconi, cioè del pentolone ripieno di olio messo a riscaldare alla giusta temperatura (e non chiedete un assioma inconfutabile perché le ragioni di un impasto vivo sono tante: non potrebbe assecondare la vostra voglia di buono senza sciogliersi nella giusta maniera) ha fatto corona intorno allo specchio d’acqua.
E ha regalato momenti di sublime commozione per questa riappacificazione dei due mondi, degli yacht e dei vicoli.
Una ri-splendente, e non solo di luna, Maria Cacialli ha messo in fila una serie di fritti che hanno incantato i miei commensali al tavolo, Filippo Cannata e Diego Granese – architetti che masticano di food e di vino da qualche dì – proponendo il mare e i crocché, il basic della merendina e dello sfizio.
Superlativa la montanara di Francesco Martucci aka I Masanielli che ha dimostrato di saper gonfiare gli impasti in molte condizioni e farine.
La genovese sulla pizza fritta l’avete mai assaggiata? Buona, di Luca Castellano, mi sembra di ricordare.
Me la sarei aspettata da Genovesi (Gaetano), che ha imboccato la strada della celebrità, ma lui ha scelto il mare.
Davide Civitiello ormai è una certezza anche quando mette le farciture delle pizze tonde nelle fritte.
Sorvolo sulla Masardona e sul battilocchio pocket. Troppe cose si sono scritte e non perché ora sono anche a Ibiza.
Il top del pop mi è sembrato l’impasto di Antonio Pepe dell’Antica pizzeria che è in piazza a Caiazzo.
Ma ho decisamente goduto anche con la pizza della Pizzeria del Popolo (tanto, nemmeno l’ho fotografata).
Un’altra granitica certezza è la capacità di Antonio e Gino Sorbillo di padroneggiare numeri impressionanti e standard elevati.
Mi è piaciuto l’integrale di Salvatore Impero che ha mostrato con orgoglio il suo impasto caffellatte.
Buoni, buonissimi i fritti di Guglielmo Vuolo.
Di Salvatore Di Matteo, invece, ho apprezzato una frittatina di maccheroni che è il biglietto indispensabile per ogni traversata in traghetto del Golfo di Napoli.
Sono come un paio di scarpe alla moda le montanarine con il riccio di Ciro Oliva. Belle e buone.
Dimentico sicuramente qualcuno (Pasqualino Rossi, Pietropaolo Capasso, Gianfranco Iervolino) da cui ho spiluccato dimenticando le foto perché l’olio alla fine si impossessa anche dell’obiettivo della macchina fotografica.
E pur riposta spunta Francesco Guida che fa una m****** di graffa di chiusura e finisce con il mandare in estasi tutti gli ospiti comprese le signore già spennellate di melanina estiva che un occhio alla linea lo danno.
C’era anche Pasquale Torrente da Cetara (o dalla Franciacorta) e la sommelier Anna Zanca che sempre più mi e ci coccola (in questo caso con i vini del Sannio) insieme alle sue colleghe.
Non so se lo Yacht Club ha previsto un focone per friggere, ma l’impossibile abbinamento tra pop e de luxe ha funzionato e potrebbe entrare nella dotazione di bordo.
Tutti fritti causa passione per la pizza.
[Immagini: Vincenzo Pagano, iPhone Vincenzo Pagano]