Bric e bag-in-box. Il vino sfuso in Sicilia diventa pop
Le cifre del mercato del nostro vino, in casa e fuori, chi è interessato le conosce a memoria. Ma magari non ha colto (non tutti) il fatto che mentre in casa i bilanci si salvano in parte con il crescere del vino più su, quello a denominazione, fuori l’aumento di export riguarda anzitutto il vino sfuso, il vino da tavola et similia. Il quale non è, per lo più vestito di gala, in vetro e tappo buono. Ma abita bric e bag-in-box cartonosi. Orridi, dirà il gatrofighetto. Forse. Ma indispensabili anche alla sua sopravvivenza come specie, visto che senza queste revenues pur umili, oggi il mondo del vino italiano starebbe lì a estirpare viti a velocità e in volume infinitamente superiore di quanto già, in parte, non stia facendo per limitare un po’ la produzione e salvare i prezzi delle uve.
Problema, allora, specie per le aree di produzione più forti, ma che non vogliono rinunciare a introdurre un elemento identitario anche sul vino base che va in giro per il mondo, considerandolo (magari con ottimismo) un biglietto da visita comunque efficace, e comunque propedeutico a consumi futuri più alti. Come disanonimizzare, dal punto di vista della provenienza, bric e box senza sparare in su la spesa? La Sicilia ha risposto. Con la pop art. Bric e box siculi saranno infatti certificati dall’Istituto regionale della vite e del vino, e provvisti di confezione con su serigrafati elementi iconografici che rimandino immediatamente alla Sicilia, ma lavorati in puro stile Andy Warhol (avete presenti i famosi ritratti replicati in serie policroma? Ecco…). L’operazione denominata appunto “Vini Pop di Sicilia” è già ufficialmente partita. Si attendono segnali da altre regioni.
[Foto: enonews.it, aldorossi.altervista.org]