Resistenza Naturale: il vino nel nuovo film di Jonathan Nossiter
Dopo Mondovino, Jonathan Nossiter a 10 anni di distanza torna a racconta il vino in Resistenza Naturale. Vino Naturale, ovvio.
Ho visto il film in anteprima (Lucky Red lo distribuirà nelle sale a partire dal 29 maggio) e parto dalla fine. Potentissime le ultime immagini che forse valgono tutto il film. C’è la terra, la terra di un vignaiolo biodinamico, bella, ricca, quasi spumosa, una terra che respira, mentre quella del vicino, ad agricoltura convenzionale, è compatta, troppo densa e pressata, tanto da sembrare morta.
Ironia della sorte, ho ricevuto l’invito all’anteprima per il film di Nossiter appena finito di leggere l’ultimo, bel, libro di Daniele Cernilli.
Cernilli e Nossiter sono un po’ come il diavolo e l’acqua santa. Il primo ha un approccio al mondo del vino che potremmo definire laico. L’altro, invece, una presa di posizione militante in difesa dei vignaioli che resistono all’omologazione imposta dal mercato e da Bruxelles.
Nossiter li ha sintetizzati nelle parole di quattro protagonisti, o meglio quattro terroir e i loro interpreti: Corrado Dottori (La Distesa, Cupramontana, Marche), Elena Pantaleoni (La Stoppa, Colli Piacentini), Giovanna Tiezzi (Pacina, Colli Senesi) e Stefano Bellotti (Cascina degli Ulivi, Novi Ligure).
Sul piano cinematografico il film è impreziosito da alcuni inserti di opere classiche e meno classiche – Chaplin su tutti – che hanno la funzione di alleggerire la narrazione, altrimenti troppo ancorata al racconto dei vignaioli.
Queste clip, come spiega Gianluca Farinelli, direttore della cineteca di Bologna, testimoniano l’importanza della tradizione. In agricoltura, come nel cinema, senza tradizione non c’è vero progresso e la sostenibilità ambientale cammina di pari passo con la sostenibilità culturale. Chaplin, Bresson, Pasolini, Oshima, Hitchcock e gli altri registi citati hanno perseguito la loro politica di autori senza omologarsi al mercato, e così sembrano fare questi vignaioli resistenti.
Nossiter li segue nei loro territori – su tutti spicca, bisogna dirlo, la magnifica campagna toscana – con una camera che si limita a fare da tramite tra loro e lo schermo. E che a volte, per me inspiegabilmente, oscilla un po’ troppo nei primi piani.
Cinematograficamente parlando, questa opera segna un passo indietro rispetto a “Mondovino” e alle sue vivaci escursioni a spasso per i continenti. Il messaggio politico invece si radicalizza, dando spazio anche a dichiarazioni che francamente mi sono sembrate al limite del complottismo. In particolare, la tesi che Bruxelles voglia governarci attraverso il controllo della moneta e del cibo è un po’ troppo fantasiosa per essere presa sul serio.
E’ vero comunque che l’Unione Europea è da sempre tesa a standardizzare il più possibile: dalla lunghezza dei cetrioli all’altezza da terra dei catarifrangenti dei rimorchi. In campo agroalimentare questo significa omologare, e quindi appiattire.
E’ anche vero però che le iniziative in difesa della biodiversità e della pluralità dei sapori – amplificate dalla capillarità e dal potere di diffusione che ha la rete – non sono mai state così fiorenti. Mai come oggi i vignaioli, e in generale gli agricoltori che non si arrendono alla standardizzazione, hanno a disposizione una piattaforma che consente loro di far sentire la propria voce, far conoscere i loro prodotti e distribuirli.
Il messaggio arriva forte e chiaro anche al termine della proiezione, quando un attento ufficio stampa ti consente di assaggiare un calice di Gavi della Cascina degli Ulivi. E benedici persino la biodinamica, se questi sono i risultati che ottiene.
Esco dalla sala canticchiando. “Che ne sai tu di un campo di grano?”
E voi che ne sapete di una vigna di Gavi? O preferite altri vini biodinamici?