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Vino
15 Febbraio 2011 Aggiornato il 6 Aprile 2019 alle ore 20:05

Assaggi d’autore. Trebbiano d’Abruzzo con Pepe, Pizzolo e Valentini

Questa settimana vi presentiamo un assaggio speciale. Non l'abbiamo organizzato noi di Scatti ma Franco Ricci di Bibenda che ha raggruppato tre aziende
Assaggi d’autore. Trebbiano d’Abruzzo con Pepe, Pizzolo e Valentini

Questa settimana vi presentiamo un assaggio speciale. Non l’abbiamo organizzato noi di Scatti ma Franco Ricci di Bibenda che ha raggruppato tre aziende che producono un grande classico dell’enologia italiana troppo spesso considerato con sufficienza (e a volte non senza motivo) da molti esperti e appassionati.

Il Trebbiano d’Abruzzo raccontato da chi lo produce con passione e dedizione: Emidio Pepe, Leonardo Pizzolo e Francesco Valentini in rigoroso ordine alfabetico.

Il tema della serata, introdotto da Daniela Scrobogna, era proprio quello di raccontare, illustrare e spiegare il rapporto unico e intenso tra una varietà e la sua terra. Il programma prevedeva la degustazione di due annate ciascuno dei Trebbiano di Valle Reale, Pepe, Valentini (questa volta in ordine di apparizione) per dimostrare il valore qualititativo che Francesco Valentini ha mirabilmente introdotto con una lectio magistralis appassionata e documentata.

Francesco ci ha raccontato l’agricoltura, l’ampelografia, l’enologia ma sarebbe riduttivo riportare solo una serie di argomenti tecnici. La sua narrazione si è sviluppata con una serie di spunti e di riflessioni, densa di amore per la sua terra e il suo lavoro.

Il senso della sua presentazione è riassumibile nell’idea di armonia tra tutte le componenti di un sistema; l’esempio concreto è la produzione di vino – Trebbiano nello specifico – ma quello che ci ha proposto è un metodo di lettura della natura e del mondo.

La versione abruzzese del Trebbiano, il Trebolanum dei trattati classici, differisce da tutte le altre varietà identificate con lo stesso nome e si caratterizza per un grappolo più piccolo e spargolo della versione toscana ma soprattutto per la perfetta acclimatazione raggiunta in molti secoli di coltivazione. Si tratta del carattere più speciale e definitorio dell’insieme rappresentato da terra e vite, impossibile da ricreare e che sarebbe gravissimo tradire o travisare. Nella pratica agronomica si traduce nella preferenza per la pergola abruzzese, sesto d’impianto tradizionale che fa inorridire gli amanti dei protocolli ma che riesce a bilanciare le alte temperature delle zone di produzione con la delicata ricchezza del vitigno. Però, quando il Trebbiano si chiama Valle Reale e si arrampica in montagna, il filare a spalliera diventa una scelta più adatta a valorizzarne le caratteristiche: concreta lezione di un grande produttore che rifugge da generalizzazioni e assoluti.

Le scelte pratiche in vigna e in cantina seguono da queste premesse: l’impianto di varietà non tradizionali presenta più rischi e limiti che possibilità di successo e l’uso di prodotti estranei alla storia scatena trasformazioni che hanno molti, troppi effetti imprevedibili che di sicuro alterano gli equilibri naturali. La forza delle argomentazioni di Francesco sta tutta nella concretezza del suo esempio e nel rigore di un’analisi che non pretende di essere valida per tutti, che però non è finalizzata alla produzione del vino ma guida tutti i comportamenti di Francesco e della sua famiglia.

La degustazione è iniziata col Vigna di Capestrano di Valle Reale, il più giovane dei vini proposti dall’azienda di Leonardo Pizzolo che ha iniziato a produrre vino da poco più di dieci anni. Le vigne sono in montagna, tra Popoli e Capestrano, in uno scenario dominato dal Gran Sasso e dalla Majella di fronte. La selezione di Trebbiano proposta viene da un vigneto situato a Capestrano, vinificato senza l’aggiunta di lieviti selezionati e affinato a lungo in acciaio prima di essere messo in commercio. Le due annate assaggiate rappresentano, a oggi, l’integrale del Capestrano a fermentazione spontanea e mostrano un carattere deciso, molto personale e aderente alle caratteristiche climatiche della stagione. Su SdV abbiamo già parlato (molto bene!), dell’annata 2008. La degustazione parallela con la 2007 esalta l’aderenza dei vini all’annata. Ricco e più suadente il 2008, teso e verticale il 2007: quale annata è stata più calda? Tutti e due molto giovani e espressivi, vini che trasmettono con fedeltà assoluta le escursioni termiche della montagna, panorama insolito per il Trebbiano. Leonardo Pizzolo e l’enologa Luciana Biondo non hanno avuto timori reverenziali a confrontarsi con due mostri sacri dell’Abruzzo di qualità e l’esame è stato superato a pieni voti! A margine segnalo che l’azienda sta investendo molto sulla fermentazione spontanea anche sul Montepulciano, ne parleremo senz’altro.

Emidio Pepe produce vini molto conosciuti e amati da una cerchia di appassionati che lo apprezzano da tempo, in questa occasione ha presentato due vini più maturi: il 2004 e il 2002. Ma più dei vini è stato lui a esprimere con affascinante immediatezza il carattere abruzzese più originale: poche parole molto evocative e la platea è stata subito conquistata. I suoi vini nascono nel teramano, zona più calda e vicina al mare delle altre e ne sono distintamente marcati. Rispetto al Trebbiano di montagna hanno maggiore intensità e potenza che comunque riesce a non impedire lo sviluppo nel tempo. I metodi di allevamento del vigneto sono tradizionali e biodinamici e la lavorazione in cantina è la meno invasiva possibile al punto che la pigiatura preferita è quella con i piedi, “la più delicata” a detta di Emidio. I due vini sono apparsi più definiti dei precedenti ma anche in questo caso le due annate sono tra loro molto diverse, la 2004 paradossalmente più matura del 2002. Il più giovane è a mio parere vicino all’apogeo, difficile attendersi sviluppi: il colore è già dorato ma è al naso che la sensazione di erbe aromatiche (grazie Daniela!) anticipa la grazia della tipica acidità. Più fresco e vibrante il 2002, salmastro e iodato con un’acidità che annuncia lunga vita.

Rullo di tamburi al momento del servizio dei due vini Valentini. Si comincia con un Trebbiano 1981, annata che segna l’inizio del lavoro di Francesco in azienda e vino che a dispetto delle terribili condizioni climatiche si presenta in gran forma e ricco di un fascino che solo il tempo conferisce ai grandi vini. La scheda riassuntiva dell’andamento stagionale in campagna sembra un bollettino di guerra: a partire dalla fine del 1980 e fino alla vendemmia si sono succedute tutte le possibili combinazioni di eventi: pioggia durante la fioriuta e poi il catalogo completo di parassiti e malattie (ragno rosso, oidio e botrytis tra gli altri) con una vendemmia precoce e un grado alcolico molto basso. L’assaggio rivela il naso classico di un Valentini maturo, non so raccontarlo ma lo trovo inconfondibile. All’assaggio è fresco e compiuto, impossibile pensarlo diverso, fresco, sapido avvolgente e con una persistenza quasi infinita che esalta il perfetto equlibrio di tutte le componenti.

A seguire il 1992, altra annata difficile in cui però ricordo uno strepitoso Montepulciano. La scelta di servirlo per ultimo è stata motivata dalla maggiore potenza del vino che allo stesso tempo mostra un’evoluzione più marcata del precedente. Perfetta dimostrazione di quanto affermato da Francesco all’inizio: armonia e equilibrio contano più del valore delle singole componenti. Straordinario anche il commento finale di Francesco che dopo l’assaggio ha detto che se si ritrovasse a rifare il 1992 lo vendemmierebbe qualche giorno prima per garantirgli un migliore equilibrio. Penso che ogni volta che si incontra un autore che riconosce un limite alla sua opera ci si trova davanti a un grande.

La scheda tecnica della degustazione.

Data e luogo: lunedì 17 gennaio 2011, Bibenda al Rome Cavalieri

L’assaggiatore: Paolo Trimani

I risultati:

4 scatti: Valentini 1981, Valle Reale Capestrano 2008 + secchio

3 scatti: Pepe 2002, Valentini 1992 , Valle Reale Capestrano 2007

2 scatti: Pepe 2004

Foto: acquabuona.it, ritmidelgusto.it

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