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23 Marzo 2018 Aggiornato il 24 Marzo 2018 alle ore 09:35

Torino. Antonino Cannavacciuolo Bistrot: stellare e imperdibile

Se dovessi accomunare il sentimento che si respira sul web tra i due bistrot più chiacchierati del momento, dovrei riassumere che al bistrot di Antonino
Torino. Antonino Cannavacciuolo Bistrot: stellare e imperdibile

Se dovessi accomunare il sentimento che si respira sul web tra i due bistrot più chiacchierati del momento, dovrei riassumere che al bistrot di Antonino Cannavacciuolo a Torino si servono piatti congelati alla chetichella e al bistrot di Carlo Cracco in Galleria a Milano hanno provato a stuprare la pizza Margherita.

La valanga di link vi sommergerebbe e il punto di contatto tra i due chef stellari (che è cosa differente da stellati) è il funerale messo in scena dalla band di Masterchef per salutare la partenza del nuovi pizzaiolo (abusivo) dalla trasmissione.

Ebbene, resettate tutto alla voce Cannavacciuolo Bistrot (che a quella Cracco non provo nemmeno a convincervi se siete del perimetro napoletano).

Non so perché Antonino Cannavacciuolo lo abbia chiamato bistrot se non per distinguerlo da Villa Crespi (che ha anche rinnovato). È un ristorante a tutti gli effetti e che ristorante. Mi era piaciuta la verve (per non dire casino) del bistrot di Novara, che ha aperto la serie del prêt à manger del bistellato super mediatico, con i suoi piani diversificati, il bar che è un bar quanto mi ha affascinato il rigore di questa bomboniera.

Sobrio e perfetto palcoscenico per uno chef di razza, Nicola Somma forgiato dalla cucina e dai paccheri del supremo Cannavacciuolo (e che ci volete fare, il pensiero vola sempre al suo indimenticabile piccione).

Se questo è un ristorante di “congelati”, ben vengano piatti del genere che a tratti – ecco il motivo del nome – sono proposizioni in chiave fast (mon dieu) di quello che è circolato sui tavoli di Villa Crespi.

Insomma, ve lo anticipo, non fatevelo mancare nel carniere delle vostre scoperte gastronomiche.

Il pranzo può essere ordinato alla carta, con un menu degustazione di tre piatti dedicato alla Gran Madre o con il più lungo Questioni di Attimi. Bel dilemma con la nutrita lista che si para davanti ben condensata nella lista. Risolto dal maître che compresa la disparità dei volumi degli stomaci di noi due commensali propone la combo magica corto e lungo.

Non si fa, mi raccomando, cioè non si chiedono due degustazioni differenti allo stesso tavolo, ma se te lo consigliano non puoi rifiutarti.

Ovviamente stavamo già discutendo sull’extra territorialità del campano Cannavacciuolo in quel del Piemonte con viva soddisfazione grazie ai benvenuti che hanno subito lasciato sperare in un  pranzo da vetrina.

Prima portata ed è subito caos emotivo. Il polpo rinforzato con la sua maionese e le perle di pompelmo punta diritto ad esaltare il Mediterraneo in salsa.

Reduce da assaggi multipli di carne cruda in quel della Campania resto colpito dalla battuta di fassona, salsa al parmigiano e maionese di nocciole con tartufo nero, cipolla di tropea e salsa al prezzemolo. In grande evidenza l’abbinamento con la carne che quasi scompare nel confronto.

Crudo di carne da un lato e crudo di pesce dall’altro con il tonno vitellato, una battuta al coltello di tonno rosso accompagnata da una demiglass di vitello, maionese di bottarga e polvere di capperi. Nel confronto resterete indecisi sulla preferenza da esprimere.

Molto particolari le lumache di Cherasco (già assaggiate in una jam session alla Torre del Saracino di Gennaro Esposito) su crema di topinambur con topinambur fritto, aglio nero fermentato e una spugna morbida al cerfoglio. Il manuale non banale delle consistenze.

Sul fronte dei primi piatti, il Cannavacciuolo style ha un’impronta delicata ma decisa. Lo testimoniano i finissimi ravioli ripieni di broccoli, sbollentati e scottati con aglio, olio e peperoncino, serviti con cannolicchi al guazzetto. Mare e monti contemporaneo è qui.

Da sballo le tagliatelle impastate home made con la bisque del gambero rosso di Mazara del Vallo condite con gambero, bisque, quenelle a crudo e polvere di arancia. Centratissimo.

Sulla questione del riso che viene meglio al nord perché sono abituati alla cottura al dente mentre al sud lo farebbero scotto, Antonino Cannavacciuolo e il suo fido Nicola Somma mettono la pietra tombale. Il riso carnaroli con crema all’aglio molto delicata, olio al prezzemolo, bottarga di tonno a dare sapidità e bottone di limone al gel a rinfrescare mescola le carte sulla direttrice Vico Equense – Torino. Assaggiate i singoli elementi, mescolate come chiesto dal servizio e preparatevi a scrivere un trattato su teoria e prassi del riso.

Per le portate successive un calice di vino è consigliato.

La proposta di carne è un maialino da latte scottato sulla cotenna per lasciarla croccante, l’umidità assicurata dalla riduzione e l’accompagnamento di chinotto e salsa di arachidi con contorno di cavolo rosso, puntarelle e scoppiettio incorporato dei pop corn di cotenna soffiata. Preciso in ogni componente e maglia rosa del genere.

Lo supera solo il baccalà con la maionese di cottura, cialda bianca di tapioca su mantecatura di patate e sedano finta oliva ripiena di baccalà crudo. Il baccalà al cubo. Da applausi.

Resettiamo con il predessert che appoggia su una salsa al frutto della passione resa frizzante, una sfera di cioccolato bianco e all’interno crema inglese al limone.

Ancora concentrazione di sapori ma non per riduzione ad unicum. Permettetemi la definizione di barocco contemporaneo per questo trionfo alla nocciola che mette insieme (se non dimentico nulla) crema di nocciole con gocce di gianduia all’interno, spugna morbida alla nocciola, guarnizione con crema alla nocciola, gelato e croccante tutto di nocciola. Completa una colatura, “ovviamente” di nocciole tostate.

Il bonèt della tradizione è un cilindro biscottato ripieno di spuma di cioccolato al rum, salsa al mou, lamponi freschi, sorbetto sempre di lamponi e cialda di amaretto che completa la rivisitazione partenopea.

C’è spazio per la piccola pasticceria in cui troneggia la torta caprese e il torrone morbido, le code di aragosta con panna montata fresca e l’inevitabile (e buono) babà al rum spagnolo.

Chiudo con lo spottone per Lollo caffè che mi piace nonostante (o forse perché) Antonino Cannavacciuolo sia testimonial, ma preferisco credere che sia buona l’acqua di Torino per non farvi cadere nel loop della facile battuta pubblicitaria.

Al capitolo prezzi vi segnalo che il menu degustazione lungo viene via a 75 €, in assoluto centraggio del rapporto qualità – prezzo.

Capisco che possiate essere rimasti turbati dall’affaire asterischi per i piatti abbattuti segnalati solo con una nota generica.

Posso solo ripetere, ce ne fossero di ristoranti con piatti congelati così bene.

Per il resto parleranno gli ispettori che macinano chilometri. Sono proprio curioso di vedere come valuteranno la parola bistrot.

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Antonino Cannavacciuolo Bistrot. Via Umberto Cosmo, 6 Torino. Tel. +39 011.839 9893

 

Vincenzo Pagano
Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.
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