Sono andata a cercare il vero Asprinio di Aversa e ho trovato una cantina stupenda
Quando me lo dicevano pensavo a un’esagerazione e invece le maestose alberate aversane di uva asprinio sono uniche al mondo e andrebbero annoverate tra i siti patrimonio dell’Unesco.
Filari a perdita d’occhio, alti come un palazzo di due piani, supportati da pioppi altrettanto secolari, uno ogni 10 metri.
Sono viti dai tronchi massicci, ritorti, sofferti, scorticati e fermamente aggrappati alla terra, da almeno due secoli. Vigne stupefacenti, che hanno visto la storia passare loro accanto, e poi, purtroppo, dimenticarle.
“Non ci sono più le maestranze“, mi racconta Alberto Verde, co-fondatore di Cantina Drengot (dal nome del primo conte di Aversa), che coltiva l’ambizioso progetto di riportare l’asprinio ai fasti che godeva presso le corti angioine e borboniche secoli orsono.
“L’asprinio è il più antico spumante di cui si abbia notizia, i primi documenti relativi alla presenza di vigne di asprinio nell’agro aversano sono datati 1493. Grazie alla sua altissima acidità è un’uva che si presta benissimo alla spumantizzazione e raggiunge risultati importanti, al contrario di quello che si pensa oggi. Ma bisogna rispettarla“.
Rispettare l’asprinio significa coltivarlo secondo tradizione, in verticale, su superfici alte anche 15 metri. Sono filari in cui non solo è impossibile ogni tipo di meccanizzazione, ma anche la raccolta a mano può essere effettuata solo da personale esperto, poiché avviene servendosi di uno strumento tradizionale, come lo ‘scalillo‘.
Si tratta di una scala a pioli larga circa 25 cm, costruita su misura del vignaiolo che dovrà usarla: tra un piolo e l’altro deve esserci la distanza adeguata affinché il ginocchio del raccoglitore possa passare attraverso, consentendogli di rimanere appoggiato con l’inguine mentre le mani – libere – lavorano la vigna.
“Non ci si improvvisa raccoglitori di asprinio – sottolinea Alberto – e purtroppo molte delle vigne sono state tagliate perché richiedono un lavoro esagerato. Fino agli anni Sessanta in questa zona si produceva base spumante che poi andava in Francia a tagliare lo champagne. All’epoca c’erano circa 16mila ettari ad asprinio, negli anni Novanta sono diventati 2mila e oggi arriviamo sì e no a 200 ettari. Anche il brandy Vecchia Romagna era a base di asprinio. C’era una cantina sociale fino agli anni 2000/2001, ma poi è fallita e i conferitori hanno tagliato le vigne. Nessuno dei vignaioli aveva una cantina sua, troppo poca la terra e la superficie vitata. Senza cantina cui conferire le uve, non aveva senso continuare a coltivarle.“
Inizia così il periodo d’oblio dell’asprinio. Un’uva poco simpatica, anche per le basse rese. Grappoli piccini e molto delicati che producono circa 80 quintali/ha alla vendemmia, che poi diventano 50 in cantina, una volta effettuata la cernita.
“L’asprinio è un prodotto ad altissima artigianalità, e tipico solo di questa zona. Hanno provato a coltivarlo altrove ma senza risultati. Qui oltre al terreno vulcanico, con una base di calcare duro a una ventina di metri dal suolo, godono della brezza marina che restituisce tanta sapidità e lunghezza“.
Anche la spumantizzazione vuole rispettare le caratteristiche dell’asprinio. Sono ben 12 mesi di autoclave sui lieviti, per la prima annata in degustazione (e in commercio) che è la 2017, di cui una parta è stata rimessa in serbatoio per riposare ancora altri 12 mesi, sulle fecce. Un metodo charmat ‘sui generis’: “L’asprinio è un’uva meravigliosa, ma ha bisogno di pazienza. Ha di suo una struttura importante, e col tempo sviluppa profumi complessi, questo è uno charmat che potrebbe stare a confronto con molti medoti classici“.
Effettivamente, assaggiando il suo Terramasca brut profumi e colore (un bel paglierino) non fanno pensare a un metodo charmat, virando decisamente sulla frutta estiva, pesca, albicocca, mentre la bocca, accarezzata da un’effervescenza gentile, resta pulita e piacevolmente evocativa di burro d’arachidi. Eppure, tutt’altra cosa per la versione che resta altri 12 mesi sulle fecce: molto fiorita e sottile, fresia e biancospino, camomilla e sentori balsamici che poi nel calice vanno diventando più intensi.
Effervescenza in questo caso molto bassa, ma – mi spiega Alberto – il prodotto era stato appena imbottigliato e avevano avuto lo stesso fenomeno con il precedente, che poi con il riposo in bottiglia aveva sviluppato le sue bollicine. Anche il fermo di asprinio, Scalillo, ha una sua personalità: spillato direttamente dalla botte (acciaio) dove riposa sulle fecce, presenta la stessa caratteristica aromatica della versione spumante a 24 mesi, quindi è intenso di fiori profumati, come il gelsomino, ma freschi di rugiada, che al sorso però restano indietro rispetto alla spalla acida, che si fa presente e che mi fa pensare a un vino soprattutto per l’abbinamento. Personalmente mi chiamava la vongola, e pure spolverata di prezzemolo.
Drengot è un’azienda recente, fondata nel 2015 che punta in alto. “Coltivare l’asprinio è costoso, sottolinea Alberto Verde, ed è un prodotto di altissima artigianalità che deve essere valutato nel modo giusto dal mercato. Non avrebbe senso fare un prodotto da scaffale, che vada a inserirsi in un mercato che è già saturo di prosecchi. Anche per questo la scelta di una spumantizzazione impegnativa, pur se in autoclave.“
Il segmento di mercato per il Terramasca è sicuramente medio alto, visto il prezzo al pubblico di 45-50 € a bottiglia: “Puntiamo alla ristorazione di alta gamma, certamente, non necessariamente stellata, anche se a Le Calandre i fratelli Alajimo hanno già apprezzato il nostro prodotto.“
E personalmente, visto il risultato così interessante dello charmat, sono molto curiosa di assaggiare, quando sarà il momento il metodo classico: due le bottiglie in produzione, un 36 mesi e un 60 mesi, che però prima del 2020 e 2022 non saranno pronte, e che usciranno a un prezzo tra i 120 e i 160 €.
Drengot e il suo asprinio hanno il merito di ridare dignità e lustro a un territorio e a una città antichissima, la normanna Aversa dalle 100 chiese, che già da sola meriterebbe una gita. E fanno anche un’ottima mozzarella di bufala che va a nozze con lo spumante.
Cantina Drengot. Località Arena. Cesa (Caserta). Tel +39 08119042955