Olio extravergine di oliva. 10 cose da sapere sulla DOP Umbria
L’olio è un filo e mi piace seguirlo – nel piatto, e sulle pagine di Scatti di Gusto.
L’ennesima occasione me l’hanno data l’Umbria e un assaggio privilegiato dell’annata olearia 2019 – preziosa, seppure povera in quantità.
Ecco allora, dopo la DOP del Garda, 10 gocce foodcultural su altro olio italiano DOP – gocce, mica solo bruschette. Anche se le bruschette, come dice il presidente di strade dell’olio DOP Umbria Paolo Morbidoni, sono il pretesto per parlare di olio seriamente. Per pensare su questo oro della terra, confidando che l’anteprima 2019 sia stata la prima di tante. In questo senso, l’anteprima è una fine e un inizio.
1. Umbria DOP: 5 sottozone da ritrovare in etichetta
L’Umbria, cuore verde d’Italia, non è tutta uguale. Ha 5 sottozone olearie e ciascuna produce un olio EVO con caratteristiche distintive. La loro divisione si basa su criteri geomorfologici, climatici, botanici. Eccole, con le cultivar principali:
- Lago Trasimeno con moraiolo, frantoio, leccino, dolce agogia (ne riparliamo, è particolare).
- Colli Martani, di cui ricordiamo la cultivar San Felice
- Colli Orvietani dove, tra le summenzionate, predomina il leccino e appaiono cultivar minori come il raio…
- Colli Amerini con raio, una cultivar marcatrice del territorio, dall’albero grande, ultraresistente ai freddi
- Assisi-Spoleto dove predomina il moraiolo, una pianta rustica, resistente, che matura più tardi
Nel profumo e nel sapore degli oli umbri nuovi si ritrova il verde della natura: note erbacee, carciofo nelle sue varie parti, mandorla; ma anche lattuga, insalate.
2. La DOP Umbria, qualche cifra
L’Umbria, che pure apporta solo il 2% alla produzione olearia italiana, ha una DOP dal 1998. La prima Strada dell’Olio la attraversa dal 2004. L’Ercole Olivario, uno dei concorsi oleari nazionali di maggior prestigio, si svolge in provincia di Perugia. L’edizione 2020 sarà la 28^.
Nella regione che ha 27.000 ettari olivetati e oltre 7 milioni di alberi e circa 230 frantoi attivi, sono poco più di 200 i produttori che certificano il proprio olio per la DOP.
Tanti, pochi? Certificare è impegnativo e molti lo fanno in base all’andamento dell’annata. Certo, vedere la dicitura DOP su una bottiglia d’olio conforta chi deve scegliere cosa acquistare.
Questi i numeri commentati da Giulio Scatolini, giornalista ed editor della Guida del Gambero Rosso, uno dei due capipanel dell’olio in Umbria.
3. Umbria, spartiacque dei grassi alimentari
Ci avevate mai fatto caso? L’Umbria ha il privilegio di essere lo spartiacque, o la cerniera, dei grassi alimentari in Italia. Perché è terra di olio, ma anche la regione che ha dato vita all’arte della norcineria. Norcineria, da Norcia.
Gli umbri, equanimi, trattano con rispetto sia i grassi di origine vegetale che animale. E ci credo. Con il bendidio di salumi che producono, dal capocollo in giù.
Ma l’Umbria è anche tartufi – bianchi, neri, estivi, marzuoli… Nella mappa golosa, metterei anche la Patata Bianca di Pietralunga. Le visciole e il vino liquoroso dove le si utilizza, il Sollùcchero. I frutti antichi, studiati in magnifici volumi da Isabella della Ragione, che ha anche trattato comparativamente pittura e botanica…
4. La dolce agogia. Un’oliva umbra da scoprire
Sarà perché mi piacciono e mi incuriosiscono le parole, ma “dolce agogia” mi ha colpita.
Un’oliva dal nome parlante e bizzarro, eppure facile da ricordare.
Ma anche, ho scoperto, una cultivar difficile, molto sensibile all’attacco della mosca e alla scarsa disponibilità di acqua, con una produttività incostante, una certa resistenza al distacco dalla pianta e al freddo, ma una stretta finestra temporale per la raccolta.
Insomma, un’oliva un po’ testarda, proprio umbra, tosta. Ma che dà un olio – se monocultivar – dai sentori di mandorla verde, di cardo, con note balsamiche. Non un olio aggressivo – un fruttato di media intensità che chiama gustosi accostamenti. In zuppe di legumi, per esempio.
Se trovate monocultivar dolce agogia, è da prendere. Centumbrie, per esempio, lo produce orgogliosamente e in un frantoio visionario, con impianti spaziali.
5. Parlando di olio, parole affascinanti
Dal nome di un’oliva a sfumature del linguaggio. Ascoltare i due capi panel umbri è stato affascinante. In particolare, Angela Canale, docente e agronomo, è una che dice “allevare l’ulivo” e nel verbo usato, si percepisce un amore per la pianta come cosa viva. Oppure dice “risvegliare l’uliveto” con una potatura intelligente. Perché la potatura non è una moda o una comodità, è una cura.
Da lei, un consiglio e un’ispirazione: leggere il De Re Rustica di Columella, autore latino del I sec dC che con queste esatte parole definiva l’ulivo il più importante di tutti gli alberi: “olea prima omnium arborum est”.
6. Diffidate di chi tracanna l’olio
L’assaggio dell’olio è un atto meditativo, metodico, silenzioso e solitario. Oppure è un momento conviviale, chiassoso e caloroso.
Nei frantoi, al ristorante, l’olio viene offerto con il pane perché è un abbinamento arcaico, ospitale. È un invito ed è un inizio; sempre più ristoratori colgono il valore di questo rituale, che molto ha a che vedere con come si deve, o dovrebbe, mangiare l’olio.
Ma un assaggio vero si fa in purezza e ne basta pochissimo. Pochissimo, capito? Diffidate di chi tracanna i bicchierini d’olio come se stesse bevendo tazzine di caffè: non può capire né i profumi né il gusto. Chi fa così (e accade anche nei viaggi stampa, tra presunti esperti e interessati), ignora l’olio e soprattutto spreca un’esperienza. Peccato.
7. Olio nel gelato o olio sul gelato?
Il trend dei gelati gastronomici, quelli di cui basta un cucchiaio come intervallo tra portate o come esaltatore in un piatto, da tempo ha abbracciato l’olio – come ingrediente, non come complemento.
Ecco quindi molti gelatieri che si cimentano e corteggiano e spiegano l’idea del perfetto gelato all’olio EVO. Tra questi, Stefano Marinucci Maestro Gelatiere della Carpigiani Gelato University e Alessandro Crispini dell’omonima gelateria di Spoleto.
Per lui la formulazione perfetta per un gelato all’olio EVO è quella di consistenza pastosa che, sciogliendosi, rivela tutto il profumo – il fruttato dell’olio.
Altrimenti, meglio dare ragione all’oleologo Luigi Caricato quando suggerisce di mettere l’olio EVO direttamente sopra un gusto vaniglia, per esempio, anziché stressarlo con il freddo per mantecarlo.
8. Tartufo nero chiama olio
… e tartufo bianco chiama burro. Parola di Giuliano Martinelli, patron di Giuliano Tartufi, che primeggia nella commercializzazione e trasformazione dei preziosi tuberi. Lui ne è sommerso e ne conosce ogni segreto.
Sapevate che spesso, sottoterra, i tartufi sono gemelli? Per cui, scoperto uno…
E il criterio applicato da molti grandi chef? Scegliere un tartufo graffiato rispetto a un tartufo intonso: il graffio lascia intravedere la qualità della gleba (la parte interna del tubero) prima dell’utilizzo.
Assaggi golosi? Una magnifica cena presso il piccolo ristorante il LocAle a Pietralunga, con Alessandro Petricci ai fornelli. Giovane e creativo, lo chef non disdegna accostamenti pesce-tartufo, ma ama anche i classici, ultralocali. Come il memorabile piatto di Gnocchi di patata bianca di Pietralunga con tartufo bianco. Per poi sorprendere con il tiramisu scomposto con il tartufo bianco.
A riprova del matrimonio tartufo nero-olio, la bruschetta con tartufo nero uncinato, sale, olio, aglio. Che non richiede particolare impegno culinario ma solo ingredienti eccellenti.
9. Non tutto l’olio vien per cuocere
Lo si ritrova, generoso, nel paté di tinca affumicata della Cooperativa dei Pescatori del Lago Trasimeno, magnifico esempio di filiera completa dalla pesca alla trasformazione alla commercializzazione dei prodotti ittici.
Lo si degusta, un filo a crudo, nelle zuppe di legumi, in carta pressoché in ogni agriturismo della regione.
Ci si diverte con la maionese – anzi, con le maionesi, tante quante i profili gustativi dell’olio utilizzato. Extravergini con diversa intensità di fruttato, amaro e piccante daranno maionesi delicate o prepotenti, meraviglioso e ideale accostamento per verdure.
10. Frantoi Aperti, olioturismo e tuberturismo
L’Umbria è terra di tracciati e di cammini, di sentieri e di pensieri. Ma mai come oggi questi motivi si intrecciano e si stratificano, si connettono e diversificano. In fatto di turismo enogastronomico, l’Umbria è un modello.
Curiosi di saperne di più? Frantoi Aperti è ormai una rete. Frantoi antichi e ipermoderni, frantoi dove sporcarsi, frantoi dove si entra come in un laboratorio sterile… tutti altamente istruttivi.
L’olioturismo intercetta sempre più utenti, italiani e stranieri, e vivifica il territorio. I più pronti si attrezzano con strutture ricettive e assistenza a chi si sposta anche a piedi o in bici. Non è un turismo povero. Più spesso è un turismo colto, sostanziato da motivazioni di etica e sostenibilità.
Roberta Garibaldi, studiosa di turismi e di food tourism in particolare, fotografa il fenomeno in un report di recente diffusione.
E, new entry, cresce il tuberturismo, a caccia non solo di tartufi, ma di contatto con la natura, orientamento nei boschi, simbiosi con il cane…
Talento, sacrificio, bellezza, esperienza. Questo l’olio in Umbria. Per verificare, cominciamo pure con una bruschetta. Il resto verrà.
[Immagini: iPhone di Daniela; ADD Comunicazione; foto dolce agogia: OlivYou]