Officina Malanotte: 4 assaggi di vino e di artisti a Tezze di Piave
A Tezze di Piave, a pochi chilometri da Treviso e a pochi passi dall’antico Borgo Malanotte, sorge la Tenuta Bonotto Delle Tezze, autrice di Officina Malanotte. Qui, la famiglia Bonotto si dedica prima all’allevamento di baco da seta poi all’allevamento di animali. Infine, l’azienda agricola si dedica principalmente all’attività vitivinicola. Nasce così la cantina Bonotto Delle Tezze. Una realtà a conduzione familiare con ormai 60 ettari all’attivo (prima erano una quindicina) che punta soprattutto su un vitigno autoctono, il Raboso.
Il legame con il mondo del vino ha, tuttavia, radici lontane. Se i primi documenti sulla famiglia risalgono al IX secolo, è riportato l’anno 1420 su un contratto di affitto stipulato con un convento di Murano. E qui si contempla lo scambio commerciale con “botti di vino”.
Dopo un lungo periodo di stallo, nel 1997 la cantina riprende vita e l’attività vitivinicola rifiorisce. La passione per questa professione passa anche ai figli. Luigi Bonotto è l’enologo della cantina, a soli 26 anni. Il minore, Giacomo, si sta ancora formando ma già si occupa della produzione, lavorando nei campi e studiando le viti. Completano la squadra due persone scelte dai Bonotto Delle Tezze. In cantina c’è Davide, mentre Giulia – da poco sommelier – è l’abile tuttofare, il “libero” della cantina.
Il progetto Officina Malanotte ha avviato nella prima edizione la riattivazione di un’ex officina meccanica. Espandendosi poi nei due anni successivi negli spazi della tenuta adibiti alla produzione del vino con una residenza d’artista e una mostra-open studio conclusiva. A questo si accompagna una piccola produzione vinicola, circa 600 bottiglie, che sono il frutto della vinificazione della cosiddetta “Rabosina bianca”. È una bacca bianca che non ha parentele con il Raboso ma ne condivide il carattere acidulo.
Officina Malanotte, il progetto artistico
La residenza d’artista Officina Malanotte è nata nel 2022 per rivitalizzare gli spazi di un’ex officina di trattori, all’interno della tenuta di Bonotto Delle Tezze. Il borgo Malanotte del Piave è il borgo dov’è coltivato il vitigno dal quale si produce il vino di questa linea speciale di bottiglie.
Quattro artisti vengono invitati ogni anno per tre settimane e la residenza non richiede loro di sviluppare un’opera finale, bensì di continuare il proprio lavoro, raccogliendo gli stimoli che la cantina e la comunità locale offrono. Alla fine della loro permanenza, si inaugura una mostra che è in realtà una sorta di “open studio”: la cantina diventa un grande atelier collettivo. Il curatore della mostra (visitabile fino al 21 luglio) è Daniele Capra mentre Nico Covre è il direttore artistico della residenza.
Hanno partecipato Paolo Pretolani, Fabrizio Prevedello, Eleonora Rinaldi e Giorgia Severi.
1. Fabrizio Prevedello
Fabrizio Prevedello presenta a Officina Malanotte un’opera Senza Titolo che durante la residenza ha cambiato luogo installativo (è un’opera “itinerante”) ed è cresciuta portando con sé a ogni migrazione il risultato del suo distacco dalla parete precedente.
È stata posizionata in tre diversi luoghi, il primo dei quali corrisponde al tronco di una quercia secolare abbattuta. L’albero che aveva 250 anni è stato colpito da un fulmine, nel giro di tre anni è morto. L’opera di Prevedello si esplica in diversi strati, compreso un frammento di marmo: la sua armatura in legno riceve una sottile gettata di cemento ogni volta che occupa una diversa parete.
Ha creato poi un tripode – con marmo di scarto e l’armatura in legno per poi colare il cemento – che, durante una performance, ha usato come fosse un compasso per disegnare a terra, con dei piedi di gesso, alcuni cerchi, che rievocano fra l’altro gli acini d’uva. I segni effimeri sono destinati a scomparire.
2. Giorgia Severi a Officina Malanotte
Anche Giorgia Severi, artista romagnola di 40 anni che vive a Forlì e ha un’azienda agricola, è rimasta affascinata dalla storia della quercia e ha deciso di eseguire un frottage. A Officina Malanotte ha registrato la frastagliata superficie della corteccia, posizionando sul tronco una tela ed esercitando pressione con dei pastelli a olio per far emergere la texture sottostante. Dopodiché ha installato la tela verticalmente. Se solitamente il frottage occupa tutta la superficie di una tela, in tal caso riempie solo una porzione laterale creando un particolare bilanciamento compositivo.
L’artista voleva ottenere una radiografia della quercia, come fosse ancora viva, l’opera non allude alla sindone, né visivamente né concettualmente. Severi è stata invitata in precedenza in luoghi come Papa Nuova Guinea e Australia, restituendo nei suoi lavori una sorta di “distillato del paesaggio”. Tutti i tessuti che ha utilizzato per Officina Malanotte sono stati forniti dai locali e da signore del paese: sono delle vecchie lenzuola sulle quali applica una tintura. Ha selezionato degli elementi locali – in questo caso la corteccia della vite, l’ortica, petali di rosa, il vino – si è fatta prestare un grande paiolo di rame e ha portato l’acqua a ebollizione con all’interno la pianta dalla quale voleva estrarre il pigmento. Usando un mordente come l’allume di rocca o l’aceto, è riuscita a colorare i tessuti immersi nella soluzione.
3. Eleonora Rinaldi
In un’ex rimessa troviamo il laboratorio di Eleonora Rinaldi e Paolo Pretolani.
Rinaldi (1994, Udine) ha lavorato su un corpus di opere che si focalizzano sui concetti di duplicità e specularità. L’artista usa tecniche, materiali e supporti diversi per i suoi disegni – ad esempio, una tecnica indiretta olio su carta cotone, inchiostro su carta di lino, gouache. Nei dipinti, come nei disegni, la figura umana si confonde con quella animale materializzandosi in un ambiente misterioso. Eleonora Rinaldi a Officina Malanotte costruisce degli scenari, senza connotati specifici, ma che si alimentano delle suggestioni legate alle tonalità cromatiche. Questi non-luoghi sono presenziati da figure archetipiche dal sapore mitologico, custodi ancestrali, ninfe e satiri nudi in preda a uno stato di otium perenne.
4. Paolo Pretolani a Officina Malanotte
Paolo Pretolani è parte dell’Atelier F, una nuova scuola di pittura veneziana che ha riunito alcuni studenti di Carlo Di Raco in un collettivo informale. Pretolani porta avanti, da almeno due anni, una ricerca sulla pittura esposta ai raggi UV, lavorando spesso al buio. Questa di Officina Malanotte, è stata per lui l’occasione di uscire dal suo studio e sperimentare un altro tipo di pittura. Le opere realizzate nell’arco della residenza sono accomunate dall'”alienità” di alcuni elementi. L’artista è rimasto impressionato da un affresco locale con il soggetto biblico “la manna che cade dal cielo”.
La manna, sostanza che fu offerta da Dio come cibo per sfamare gli ebrei, è rappresentata in modo particolare, sembra un cumulo di conchiglie o di dischi volanti, appunto UFO (oggetti non identificati). Nei dipinti che sono esposti in questo contesto, si nota come elementi dalle caratteristiche organiche siano messi in relazione con derivati tecnologici: un’antenna 5G e un serafino, unico angelo che può parlare con Dio – in entrambi i casi si tratta di comunicazione “via etere” -, delle rondini sono disturbate da un drone. L’icona del browser Samsung rievoca il pianeta Saturno ma, allo stesso tempo, lancia un allarme: gli strumenti digitali diventano rapidamente obsoleti, sopraffatti da altri più efficienti o dalle nuove invenzioni.
[Tutte le foto sono di Nico Covre]
I 4 vini abbinati a Officina Malanotte
La terra del Raboso è caratterizzata dai sassi e il vitigno che si estende su una piccola area, nel raggio di una ventina di chilometri vicino alla riva del Piave, veniva chiamato in passato “rabbioso” perché la sua caratterista è l’acidità, il vino risulta tagliente in bocca.
Quello che la cantina cerca di fare è esaltare le qualità dei vitigni – Manzoni bianco di Tezze del Piave, Pinot Grigio, Chardonnay, Merlot, Glera, Carmenere –, e creare morbidezza, eleganza, setosità al palato – sfruttando ad esempio i Polisaccaridi presenti naturalmente nel legno delle botti –, per un vitigno come il Raboso, molto acido e tannico.
Una delle nuove sfide della cantina è quella di creare uno spumante con il Raboso (uve nere vinificate in bianco): l’acidità molto elevata del vitigno permette di lavorare con il Metodo Classico-Champenoise. Nel 2020 è, infatti, partito il progetto dell’enologo Luigi Bonotto per ottenere il Metodo Classico Millesimato. Siamo alla quarta annata di tiraggio, a marzo è stata effettuata la sboccata (eliminati i sedimenti) e le prime bottiglie di Luigi Venti usciranno quest’estate.
1. Novalis
Abbiamo provato il Novalis, uno dei pochi vini dell’azienda il cui nome non calca il toponimo dell’appezzamento di vigne, mariprende il cognome del filosofo tedesco romantico. Il vitigno è il Manzoni, frutto dell’incrocio tra vitigni diversi. Luigi Manzoni è stato un celebre ricercatore della Scuola Enologica di Conegliano. Nel 1930 ha sviluppato nuove varietà di uva, non solo da vino ma anche da tavola. A fine Ottocento, infatti, la Fillossera aveva distrutto la maggior parte dei vitigni locali, cosicché vennero impiantati, al loro posto, vitigni internazionali. Lo studioso creò il Manzoni 6.0.13, un incrocio tra il Riesling Renano e il Pinot Bianco.
Il vino che assaggiamo dell’annata 2023 ha un profumo floreale e di frutta bianca, come la pera. In bocca, mantiene l’acidità tipica di questa zona molto sassosa. È un bianco che ha struttura e regge bene i risotti, come quello con gli asparagi bianchi, o la pasta di pesce con pomodoro.
2. Raboso Rosato
Il secondo vino è il Raboso Rosato Frizzante. Dalla stessa uva, il Raboso, la cantina produce 6 diversi vini, il metodo classico Luigi XX sarà la settima etichetta.
La macerazione e quindi il contatto del mosto con le uve per estrarre un po’ di colore è molto breve, infatti, il Raboso macchia molto.
È un vino che risulta croccante ed è perfetto per la stagione estiva, l’acidità salata mette sete, un sorso tira l’altro ma allo stesso tempo risulta una bevuta appagante. Si percepisce frutta rossa “marasca in particolare ma anche lampone e fragola”. È ideale per antipasti, finger food e stuzzichini.
3. Carmenère Barabane
Il terzo vino assaggiato in occasione di Officina Malanotte è il Carmenère Barabane. Il Carmenère è un vitigno autoctono adottato dalla Francia. Esistono circa 10.000 ettari di questo vitigno distribuiti per la maggior parte in Cile (7000) e in Triveneto (soprattutto l’area di Treviso, 2000 ettari). La sua storia è particolare perché fino agli anni Novanta non si conosceva, si pensava equivalesse al Cabernet Franc. Il suo grappolo è definito a biglie, gli acini hanno una forma sferica che fa pensare alla perla.
Il nome Barabane è un toponimo. La cantina lavora sul mantenere la nota salata e persistente, al naso si avverte la nota erbacea (erba tagliata e foglia di pomodoro), in bocca si sente la mora e la prugna. Questo vino ha dai 9 ai 12 mesi di affinamento in legno, a seconda dell’annata.
4. Potestà
Il quarto vino, rosso rubino, è il Potestà che rappresenta l’azienda che ha lanciato Officina Malanotte ed è 100% Raboso del Piave, con due anni e mezzo di affinamento. Come racconta l’enologo Luigi Bonotto, è un vino “austero”, adatto a lunghi invecchiamenti in cantina. L’annata 2020, al naso, fa percepire ancora delle lievi note di frutta, come quella dell’arancia sanguinella.