Cannavacciuolo sul funerale di Cracco: “Carlo è un amico e nun se ne fotte proprio”
Finalmente abbiamo l’interpretazione autentica di Antonino Cannavacciuolo sul funerale di Carlo Cracco a Masterchef, il talent che come sapete è terminato con la vittoria di Simone Scipioni.
L’abbiamo scovata nell’intervista di Rolling Stone rilasciata in occasione della partenza della nuova stagione televisiva di “Cucine da incubo” che comincia così “Senti, diamoci del “tu” eh! Io sono Antonino”
Frase che è tutto un mondo, quello di Antonino. Burbero dal cuore d’oro, che sgrida i concorrenti di Masterchef, anche se si vede lontano un miglio che è dalla loro parte, tutto sostanza, fin troppo autentico. Forse il motivo per cui piace così tanto.
Anche se parla di funerali. Ma abbiate un attimo di pazienza.
La stagione di Masterchef, come detto, è appena terminata. Nonostante da più parti ci si lamenti del format definito “noioso“, dei concorrenti definiti “mediocri” (addirittura sui social li hanno indicati come “i più scarsi di sempre“), l’interesse per questo format, onestamente, non pare accenni a diminuire.
Dubbi? Bastano le recenti dichiarazioni di chef Rubio (al secolo l’ex rugbista Gabriele Rubini) – alla Gazzetta dello Sport – che, polemicamente, definisce il talent di Sky Uno come un programma che sfrutta la solitudine delle persone e che le stelle dei vari cuochi non contano nulla.
“Il cibo non è fatto di gare e stelle”, affonda chef Rubio. “Capisco che, dopo una brutta giornata di lavoro, mangiare comfort food guardando gente che prepara qualcosa possa saziare lo spirito, ma il cibo non è fatto di gare, premi e politica delle stelle. Non è una gara sotto i riflettori per accontentare quattro sconosciuti. Volete imparare davvero? Lavorate in un ristorante o in un pastificio”.
E io vi copio incollo la risposta dell’Antoninone nazionale che non gliela manda a dire:
Rubio per parlare di stelle almeno una la deve prendere. Io non parlo di cose che non conosco. Masterchef è un programma basato sulla competizione dove si vincono bei soldi e si pubblica un libro. La cucina è un’altra cosa, ma Masterchef è, comunque, un format che mostra piatti regionali e ingredienti sconosciuti. Poi, però, se a Rubio domani lo chiamano a fare Masterchef vedi come corre a farlo, di questo sono sicuro. Quando se n’è andato Cracco non sai quanti hanno chiesto di prendere il suo posto.
E un po’ deve essere vero se nonostante l’addio dell’amato/odiato Carlo nazionale il programma ha continuato ad andare una meraviglia:
Il format è vincente a livello mondiale. Anche se cambiano noi chef funzionerebbe lo stesso. La forza sono le personalità dei concorrenti. Noi ci divertiamo, lanciamo dei messaggi e chi partecipa impara anche a cucinare meglio.
Ed ecco che a proposito di Cracco, ormai felicemente in Galleria, Antonino sul funerale della prima puntata dice finalmente la sua:
Carlo è un amico e nun se ne fotte proprio. Gli ho detto pure che questa cosa gli allunga la vita, come si dice a Napoli.
Napoli, città che Antonino mette alla base della sua personale mini playlist culinaria, poco più di un gioco per unire musica e ricette:
Allora, vediamo un po’… ti dico “Napul’è” del grande Pino Daniele per la pizza, poi “Cumm’è” di Mia Martini e Roberto Murolo con il ragù napoletano. “Certe notti” di Ligabue rappresenta per me lo spaghetto aglio, olio e peperoncino visto che quella, per me, è una ricetta da fare di notte uagliu’. “Bocca di rosa” di De Andrè mi ricorda una bella e gustosa parmigiana di melanzane. E il grande Vasco con “Vado al massimo” (che canticchia) che è il babà da mangiare sano sano, che in napoletano vuol dire che bisogna mangiarselo tutto intero.
Però, visto che si parla di “Masterchef”, di “Cucine da incubo” così come di “Hell’s kitcken”, “Unti e bisunti” ” Top chef” e chi più ne ha ne metta, non ci sono troppi cuochi in TV?
È la nostra tradizione. In Italia c’è tanto lavoro oggi, grazie alla ristorazione. È un mondo parallelo. Dobbiamo sperare ci siano sempre chef in televisione. C’è un’economia dietro che, se si fermasse, sarebbe pericoloso. Quando qui la cucina non era di moda, noi professionisti giravamo il mondo per portare l’italianità dal Giappone all’America. Nel 1997 ero a New York e c’erano già almeno dieci canali dedicati al food. Gli Stati Uniti stanno dieci anni avanti a noi. Questo perché gli americani non mangiano a casa e i ristoranti fanno tre turni. Adesso lì ci sono il triplo di canali e di trasmissioni sul cibo.
Con tutte queste trasmissioni il pubblico fa inevitabilmente le proprie scelte, elegge i propri beniamini.
E così Antonino, che piace alle donne, diventa anche un’icona gay:
Sicuramente mi fa piacere. Forse sono attratti da me perché mi vedono un po’ orsetto, dai. O forse perché l’amore passa, ma la fame no e quindi guardano più il lato culinario.
E chiude l’intervista ridendo.
In attesa di riaprire il suo Villa Crespi in cui ha cambiato molto se non tutto.
[Link:rollingstone.it]