Château Margaux 1959 batte Monfortino 1958. Parola di Black Mamba
La discussione introdotta su Scatti di Gusto da Alessandro Bocchetti, si è incendiata sulla questione dei vini naturali. Pensatela come vi pare ma l’argomento tiene banco un po’ ovunque nel nostro ambiente, infatti la scorsa settimana, molto provati dalla riflessione sul tema insieme al mio grande amico, il Crotalo, abbiamo deciso di prenderci una pausa dalla trattazione. La didascalia del nostro intervallo, alla Pergola dell’Hilton, è stata: Château Margaux 1959 contro Monfortino 1958…Ci siamo arrivati per gradi, è fondamentale quando si fa ginnastica, prepare i muscoli con un po’ di riscaldamento, da quei dissoluti e viziosi che siamo. Il nostro alleato Marco Reitano ci ha fatto provare come aperitivo, Jacquesson Signature 1988, Champagne non proprio nelle nostre corde cui va, tuttavia, riconosciuta una certa finezza nel perlage. A quel punto abbiamo richiesto il nostro produttore preferito al mondo, Henri Jayer, col suo Echezeaux 1976. Alcune vecchie etichette portano anche il nome del fratello George. Oggi tutto è passato nelle mani di Emmanuel Rouget, il nipote, bravo ma assai distante da Henri. Avvicinando il bicchiere al naso, la delusione ha tradito i nostri sguardi increduli. Depressi, il crotalo ed io, sull’orlo del suicidio, abbiamo sfiorato la lite ma sempre e solo con fine galanteria, secondo lo stile della casa: “suicidati prima tu, no fallo tu per primo, ti prego!…” insomma, a stento si è scongiurata una sceneggiata napoletana a Monte Mario. Vallo poi a spiegare a Waldorf Astoria!
Echezeaux in bocca aveva un frutto ancora presente, benchè in piedi con le stampelle, fragoloso e dolce ma molto sporco, torbido purtroppo, con uno strano sentore di sughero, non di muffa, ma di certo la bottiglia non era in forma, infatti Umberto Giraudo, non l’ha nemmeno indicato nel cartoncino che per ricordo rilascia all’uscita e del quale ovviamente Black Mamba possiede un intero canterano. Devo segnalare una novità alla Pergola che aggiunge lustro e decoro, se mai ce ne fosse bisogno, ed è la preparazione di pane a doppia lievitazione con farine biologiche. Introdotto proprio quella sera, l’ho assaggiato nelle varie proposte e mi è piaciuto moltissimo. Dei piatti degustati, tuttavia, vi racconterò in un’altra occasione, oggi voglio concentrarmi sulla sfida fra due giganti della storia del vino: Chateau Margaux ’59 e Monfortino ’58.
Saltellando, in attesa di un po’ di ossigenazione obbligatoria per entrambi (i vini intendo, il crotalo ed io non ne abbiamo assolutamente bisogno prima di almeno una dozzina di bocce), su Jaboulet Hermitage La Chapelle 1983 siamo stati letteralmente travolti dal buon umore, io addirittura euforica per la meraviglia. Avevo provato questo vino alcuni mesi fa insieme alla medesima formazione, denunciando qualche dubbio, mentre Reitano e il Crotalo, evidentemente più bravi di me, avevano già decretato al tempo il livello altissimo di quella bottiglia che io non avevo decifrato, soprattutto per un’avvertibile chiusura repentina, precipitosa. Dal centro bocca in poi, a mio avviso, sfuggiva, non chiudeva, sfumava. Hermitage La Chapelle è un vino di rara piacevolezza, leggibile e apprezzabile solo dopo molti anni, fresco, sapido, speziato e beverino, con una sua dinamica: elettrico in bocca, per dirla con Reitano.
Grande soddisfazione per tutti e tre, emozione propizia all’apertura di Monfortino 1958. E adesso arriva Black Mamba!
Monfortino è un grandissimo barolo, lo sappiamo tutti, il vino rosso italiano per eccellenza preferito dai grandi palati, da chi di vino ci capisce davvero. Io credo, dopo averne bevute svariate bottiglie e nelle annate più disparate, che di questo vino subiamo la soggezione dell’etichetta, l’autorevolezza del nome di un gigante che purtroppo non sempre è all’altezza delle aspettative. Sia ben chiaro, quale altro vino rosso italiano conosciamo di simile longevità? In effetti sorprende per il suo effetto contro l’ossidazione. Io non sono una grande sostenitrice di Monfortino e dico, sapendo di bestemmiare, che a modo suo è un po’ sopravvalutato, nel senso che si tratta evidentemente di un capolavoro, di uno dei migliori rossi italiani, ma personalmente preferisco Cascina Francia, ad esempio. Detto questo mi genufletto di fronte a un barolo del 1958 che dopo un’ora di ossigenazione si presenta totalmente privo di alcuna nota ossidativa. Però ogni volta che apro Monfortino (negli ultimi mesi 1978 e 2001 almeno tre volte) ho l’impressione che qualcosa non mi convinca. L’annata 2001 è addirittura borderline, non si capisce se abbia un’evoluzione ossidativa o riduttiva e non dimentichiamo, Lorenzo Landi insegna, che l’ossidazione è morte!
L’annata ’58 è stata ben valutata dalla critica di settore. Non ai livelli della ’64 o della ’67, ma è considerata una bottiglia da almeno 94/100. Mi duole deludervi, con tutto ciò, ma Monfortino non ha retto il confronto con l’ultimo grande capolavoro della serata: Chateau Margaux 1959. Un minuto di silenzio per quella che considero una delle bottiglie più buone della mia vita.
Perfettamente conservato nella cantina della Pergola, Margaux è velluto di seta in bocca, l’eleganza, la perfezione, la grazia, senza una minima traccia di cedimento. Un vino ancora in garanzia, dopo tanti anni. Chapeau! Nulla da aggiungere, macchierei il ricordo di un capolavoro assoluto dell’enologia. Secondo il principio che mette d’accordo il crotalo e Black Mamba, cioè che le bottiglie buone sono quelle che finiscono, Margaux, vi segnalo, è finito un meno di un’ora. Monfortino l’abbiamo portato via a metà per riassaggiarlo la mattina seguente. Niente da fare, Margaux è un’altra storia. Uno a zero per Margaux! Amici, è stata un’altra serata magica la nostra, irripetibile però, non accadrà mai più, perché stavolta ho deciso: il crotalo non ha scampo, lo uccido!