Divieti: dai bambini ai cani al menu imposto, cosa non potete fare nei ristoranti italiani
Pensavamo di aver visto tutto a Brooklyn, nel locale dove è proibito parlare. Ci eravamo sorpresi delle esigenze estetiche del ristorante al sesto piano del Centre Pompidou a Parigi, che spediva le persone ‘non belle’ agli angoli della sala, dove in pratica sarebbe stato più difficile vederle. Forse ci siamo anche concessi il rassicurante pensiero: “Da noi non sarebbe mai successo“.
Eppure, anche nei ristoranti del nostro Paese, i divieti pullulano. “Il ristorante è mio e lo gestisco io“, questo è il messaggio che molti ristoratori sembrano mandare. Dimenticatevi per un attimo la storia dell’ospitalità, dello stare come a casa propria. Certi locali sono veri e propri esercizi. Di rigore e di ordine. E, a scanso di equivoci, alcuni di loro forniscono addirittura una lista di regole a cui il cliente si deve attenere. Che sia a seguito della cafonaggine imperante, della maleducazione o di un atteggiamento paranoico e controllante da parte del gestore, in certi locali ci sono cose che non potete fare.
1. Parlare ad alta voce
La cacofonia, si sa, è un problema che affligge la maggior parte degli esercizi pubblici. E allora perchè non impedire il fenomeno con una regola ad hoc, avranno pensato quelli dello Speak Easy, a Roma. E che lo dica il nome stesso del locale, che esercizio pubblico non è, ma club privato, non importa: avranno anche pensato che era necessario ribadirlo. Così la settima regola della lista posta sul retro del menu recita “Non parlate ad alta voce – Speak Easy…”. Il set di direttive a cui attenersi è ben assortito: si passa disinvoltamente dal divieto di parlare di religione e politica, alla simpatica affermazione “Il bagno è fatto per andare uno alla volta, ci siamo capiti…”, per chiudere con la quattordicesima imposizione, “Questa è casa nostra, di conseguenza facciamo come ci pare”. Non si era capito, eh.
2. Usare il cellulare
A nessuno interessa la conversazione della persona che siede al tavolo a fianco, eppure quante volte ne abbiamo inteso vita, morte e miracoli da una telefonata. E in quanti casi, a nostra volta, ci siamo lasciati distrarre dallo smartphone mentre mangiavamo. Sarà per questo che nelle campagne di Nonantola, a Modena, il padrone di casa detta all’ingresso la prima e fondamentale regola della sua Osteria di Rubbiara. Subito dopo la porta, tanti piccoli sportellini in legno – dotati di chiave antifurto – racchiudono i portatili dei clienti. Nonostante poi Italo serva una delle migliori paste fresche al ragù mai assaggiate e un gelato all’aceto balsamico da perdere la testa, l’impostazione di partenza lascia parecchio attoniti. E una volta seduti, le cose non vanno affatto meglio. In tono burbero, Italo annuncerà che non è possibile fare ordinazioni e che gli uomini verranno serviti prima delle donne. Fargli presente che nel corso del tempo, e per fortuna, la società è cambiata non servirà a nulla: da queste parti non amano essere contraddetti.
3. Portare bambini
Non tutti sono genitori, non tutti sanno quanto sia difficile far rimanere seduto a tavola un bambino. Ma non tutti sanno cosa significhi lasciare a casa i figli a un pranzo domenicale. Di certo non lo sa Beppe Recchia, il ristoratore di Roma che ha deciso di appendere cartelli che recitano, senza possibilità di fraintendimento, “Sì animali, no bambini“. Vada per cani e gatti, ma niente pupi – nè urlanti nè addormentati – nel ristorante vicino a via Veneto. Il cui gestore ha affermato seraficamente: “È naturale che la responsabilità sia dei genitori ma non posso cacciare via tutti, ho dovuto decidere di far fuori i bambini”. Non è la prima volta che in un locale pubblico si vieta l’ingresso ai piccoli ospiti, ma con il cartello Recchia ha probabilmente superato se stesso e tutti gli altri ristoratori family-unfriendly.
4. Far entrare i politici
Un colpo di fulmine per i cartelli all’entrata che avvertono e ammoniscono, ce l’ha avuto anche un ristoratore di Fermignano, in provincia di Pesaro e Urbino. Nessun “non disturbare” di degregoriana memoria, ma l’insegna “Divieto d’entrata a tutti i politici”. Il titolare della locanda ha consigliato a “tutti i rappresentanti di partiti politici a ogni livello, di qualsiasi incarico” di non entrare e di “evitare la frequentazione” della country house. Motivo? “Le problematiche esasperanti che si stanno vivendo in questo nostro splendido Paese, causate dalla vostra categoria”. E quindi, politici a letto senza cena. Oppure, come insegna Gino Sorbillo, a letto con la cena, ma con 100 euro di meno (per una pizza). Nel caso del pizzaiolo napoletano, infatti, la protesta – ovviamente, anche qui, agevolata da materiale fotografico, alias cartelli – non stava nel far saltare il pasto ai politici, ma nel renderglielo particolarmente salato: contro i 3,30 euro per una margherita ‘al pubblico’, deputati e senatori dovevano sborsarne un centinaio.
5. Usare la carta di credito
Cash only. Per alcuni locali è un vero e proprio mantra. Per esempio, al D’O di Davide Oldani l’unico pagamento accettato è quello in contanti. Ma non è l’unico. Per esperienza, a Milano la partita dei ristoratori che non accettano le carte di credito o che storcono il naso quando vengono loro porte è ben assortita. Lo stesso Speak Easy di Roma si pronuncia sin dalla prima regola in maniera chiara: “Non accettiamo carte di credito, cash only”. Tralasciando per un attimo le considerazioni che vanno dalla tributaria “Così niente ricevuta, vero?” all’emancipata “Negli Stati Uniti si pagano con carta di credito anche le caramelle“, l’unica grande verità a riguardo è il momento di sconforto che ti prende quando realizzi che non hai i 7 euro del drink nel portafoglio.
6. Pagare separatamente
Quante volte al bar o al ristorante, abbiamo chiesto di dividere il conto in due parti uguali? Tante, quasi sempre a dire il vero. Eppure, incredibile pensarlo, esistono luoghi in cui non è consentito farlo. Per esempio Al Mercato di Milano, che al pari dello Speak Easy (ma con l’aggravante, se possibile, di non essere un club privato), stila una lista dei to do/don’t. E se alcune regole paiono sensate (vedere alla voce “Il rispetto del personale di servizio è un obbligo”), altre paiono parecchio più difficili da mandare giu. Non so a voi, cari lettori, ma personalmente trovo risparmiabili alcune postille del foglio A4 plastificato in accompagnamento al menu. Specie per il tono con cui sono poste (vedere all’odiosissima voce, “Non accettiamo prenotazioni, neanche per ‘te'”, o “La musica e il volume li scegliamo noi”). Dalle mie parti direbbero, “fly down“.
7. Scegliere menu diversi
Quando si va nei ristoranti, e soprattutto in quelli di un certo livello, bisogna togliersi dalla testa l’idea di poter ordinare menu degustazione differenti per ciascun commensale. È la regola anche al neonato ristorante romano Marzapane (che citiamo tra i tanti a causa del loro PR), dove però i gestori lasciano libero ciascun cliente di cambiare una portata in menu a testa. Nonostante le problematiche che sorgerebbero in cucina in seguito a ordini ‘misti’, molti clienti digeriscono difficilmente il dettame, reputandolo, nei fatti, una costrizione per l’intera tavolata. Figuriamoci come la prenderanno per un ristorante che addirittura la carta l’ha eliminata e potete mangiare solo a menu fisso secondo l’estro dello chef.
8. Ordinare con il cameriere
Allignano in ogni dove gli esperimenti per rendere più tecnologico l’ordine. Si va da Ham Holy Burger al Marchesino, senza distinzione di alto o basso. Ma io mi innervosisco per questo divieto silenzioso di parlare con un umano che spiega pregi e virtù dell’ultima invenzione della cucina. E ho sempre il sospetto che flaggare l’opzione per il cliente sia l’imposizione del risparmio. Ma dei costi per il ristoratore.
9. Scattare fotografie
All’inizio dell’era dei blogger e dei photo blogger, quando ancora la smania da condivisione era agli albori, per molti chef e ristoratori vedere fotografate le proprie portate ancora prima di essere assaggiate era un inequivocabile segno di inciviltà. E come tale, da vietare immediatamente. Nel corso del tempo, però, le posizioni a riguardo si sono via via ammorbidite e, se alcuni locali impediscono solo le fotografie con il flash, altri le hanno cominciate a tollerare. Due esempi del progressivo ammansimento sono Davide Oldani e Niko Romito. Entrambi partiti sul piede di guerra, le ultime notizie li darebbero come parzialmente guariti dall’allergia al flash.
10. Prenotare
Il mondo, si sa, è pieno di gente che pacca. Che sola. Insomma, sì, che all’ultimo tira il bidone. I ristoranti lo sanno, e sempre di più, non accettano prenotazioni. Una forma di tutela, da parte loro, che li dispensa dal vedere la propria sala vuota di prenotazioni disdette. Una scomodità, per i clienti, che specie nei ristoranti più rinomati e se in comitiva, rischiano di aspettare le mezze ore prima che un tavolo si liberi. Per dire, ho perso il conto delle serate passate alla Casa delle Aie, a Cervia, ad aspettare che se ne rendesse disponibile uno. Certo poi il coniglio era spettacolare, ma intanto le zanzare mi avevano divorata e si erano fatte le 11.
E voi, siete clienti che si lasciano dire cosa fare? Oppure, preferite frequentare locali autenticamente ‘democratici’? Metaforicamente, se è vero che la propria libertà finisce dove inizia quella degli altri, dove siete soliti piantare il punto di confine?
[Link: Roma.it, Il Messaggero. Immagini: Stefano Giovannini, ilquotidianodellazio.it, elenaborghi.com, veneziatoday]