Trentino Alto Adige. La grappa vuole diventare di moda
E se la grappa del Trentino diventasse il nuovo superalcolico di moda, un po’ com’è successo negli ultimi anni con il Gin?
Dopo una breve incursione in Trentino, con annessa full immersion nelle distillerie associate all’Istituto di Tutela della Grappa del Trentino, l’ipotesi mi sembra fondata.
Da qualche anno, con costanza e determinazione tipicamente trentine, l’Istituto di Tutela Grappa del Trentino sta lavorando di marketing e comunicazione – oltre che di controlli e garanzie – per assicurare all’unico distillato al mondo prodotto da una materia prima solida un posto al sole tra i prodotti tipici del Paese. La strada è ancora lunga ma un discreto tratto è già stato percorso. Basta farsi un giro in provincia di Trento nel periodo natalizio per rendersene conto.
E’ concentrato qui un terzo dei produttori di grappa (una trentina di produttori su 120 in Italia), che però assicura solo il 6% della produzione nazionale. Perché? Qui la chiamano “cultura della grappa”, ovvero un’attenzione quasi maniacale alla qualità del prodotto. Ci sono paesi, come Santa Massenza, 5 distillerie per 150 abitanti, dove quasi un terzo della popolazione è nel “business” della grappa. Parlare di business quassù sul Lago di Santa Massenza è un po’ azzardato: i distillatori locali, che portano tutti lo stesso cognome, Poli, non necessariamente essendo imparentati tra loro, vendono le proprie bottiglie solo tramite passaparola. Ma sono capaci di fare discreti numeri.
“Circa 8mila bottiglie di grappa e circa 7mila di vino, tra Nosiola, Schiava rosata e Muller, tutte distribuite in zona e pochissimo all’estero”, dichiara Bernardino Poli, patron della distilleria Casimiro, distillatore di terza generazione e pluripremiato per la sua grappa di Nosiola. Nell’enoteca di Bernardino si trova anche un liquore chiamato Ambrosia, del colore del miele, distillato dalle vinacce del Moscato con metodo discontinuo, invecchiato 2 anni in botti di rovere e acacia e affinato per 6 anni in acciaio: produzione limitata in poco più di mille bottiglie, tutte numerate, vendute a una cinquantina di euro ciascuna. Solo in loco, manco a chiederlo.
Bernardino ha due figlie e forse una resterà in azienda, portando avanti la storia cominciata tre generazioni fa. Già perché la grappa del Trentino è una questione di famiglia: tutte le distillerie, comprese le più industrializzate, sono a conduzione familiare. E una storia di tasse, altro argomento ricorrente: lo dimostrano i 2.500 sigilli presenti nella super impianto di Marzadro, tempio della grappa poco fuori Trento.
“Gli ufficiali della Dogana vengono qui due o tre giorni alla settimana”, dichiara Stefano Marzadro, oggi a capo di un ampio “clan”, tra fratelli, figli e nipoti, che gestisce l’intera filiera dell’azienda. Anche se la parola “impero” renderebbe maggiormente l’idea: dotata di un immenso alambicco discontinuo per la produzione artigianale e di un impianto continuo per la produzione in grande quantità di grappa, la distilleria Marzadro ha un eco-tetto ricoperto di licheni e si espande per lo più sotto terra, tra distese di barrique, file di anfore, botti medie e botti gigantesche fino a 500 litri. Oltre a un magazzino infinito, dove stipare un’infinità di tipi di grappe, distillati alla frutta, aromatizzati alle erbe e alle radici più svariate.
Di fronte alla domanda “quanti tipi di distillati si producono qui?”, anche Stefano Marzadro allarga le braccia senza poter fornire un numero. Quel che è certo è che sono oltre 60mila i turisti e gli appassionati che visitano ogni anno questa cattedrale della grappa del Trentino.
A riprova che la grappa è già di moda e bisognerebbe smetterla di associarla a immagini di anziani al bar, omini col cappello di lana e le mani bruciate dal freddo. Bisognerebbe cominciare a parlare di aromi e tonalità del colore, attivare corsi di degustazione a tappeto come per il vino, farla entrare in cocktail bar e locali fighetti di Milano (e da lì nel resto del mondo), nei menu dei ristoranti stellati (e da lì nei programmi Sky). E prima di allora farla entrare in bottiglie fighette, con etichette disegnate da grafici esperti. Perderebbe forse la sua tipicità e si trasformerebbe in un Prosecco bis? Conoscendo i trentini, non credo.