Il vino vero ha da puzzà! Black Mamba contro i vini naturali e la curva sud
(Avvertiamo i gentili lettori che le note di spiegazione chimica sono al termine dell’articolo)
Questa mattina mentre leggevo un avvincente romanzo del mio autore preferito, pubblicato postumo e incompiuto ( si tratta, infatti, di un’opera di 1.200 pagine ma solo 160 sono scritte), la mia mente si è lasciata rapire da un pensiero, un’incertezza insolubile: Black Mamba, la scorsa settimana, ha preso una cantonata bestiale!
Convinta di accendere una polemica che mi avrebbe divertita moltissimo sul duello fra due giganti dell’enologia, Chateau Margaux e Monfortino, mi sono ritrovata a dirimere una discussione sul problema dell’ossidazione. E dire che nessuno dei vini assaggiati con il Crotalo e Marco Reitano aveva a che fare con l’argomento, a parte una perplessità che ho manifestato sull’evoluzione di Monfortino 2001 assaggiato in altri luoghi. Tuttavia , devo riconoscere, che la discussione sia stata costruttiva, mi ha dato modo di riflettere, incalzata da opportuno commento, a firma di Umberto, che poneva l’accento sull’interesse che il tema dell’ossidazione genera quando si parla di vino. Sia ben chiaro, io la penso come Lorenzo Landi, detesto i vini ossidativi, non riesco a coglierne la piacevolezza e fatico a berli, non li finisco. Eppure hanno un loro seguito che merita di essere esaminato, continuando a sostenere fino alla morte il mio diritto al dissenso, perché il gusto personale ha un valore fondante e qui da Bocchetti a Trimani a Paolini, siamo tutti per l’approccio laico al vino (alla vita aggiungo io!)
Vediamo se riesco ad analizzare il pubblico di promotori e sostenitori di questi vini. Non di rado mi imbatto in giovani sommelier che hanno preso una deriva a me del tutto incomprensibile: i vini estremi, la curva sud dell’enologia. Mi riferisco a coloro che subiscono il fascino dell’ossidazione, della biodinamica a tutti i costi e dell’elogio del difetto ( non sedotti dalla tolleranza o meglio ancora dalla comprensione, dalla flessibilità, ovvero: mi piace nonostante quest’imperfezione…) Attenzione, se biodinamico è Leroy…Leroy tutta la vita! Molti altri esempi potrei citare e il mio cuore batte forte, forte…Romanée Conti, uno per tutti!
Insomma, parlo di quelli per cui il vino vero ha da puzza’! Il punto debole diventa pregio, cercano vini difettosi, perché ritengono sia l’unica maniera di interpretare il nuovo che avanza. D’altra parte la critica ha già detto quasi tutto sul vino, tocca darsi nuovi orizzonti compreso il proselitismo, dannazione! Aprono una bottiglia di vino bianco color tè freddo e mi spiegano che è una meraviglia (e io non riesco a bere). Mi offrono un Pinot Nero alsaziano del 2002, da uve vendemmiate tardivamente, con sentori ossidativi e punte di acidità volatile da far venire il vomito ( e in tre a tavola non beviamo. Io addirittura, pur di allontanarmi da quel miasma, sono uscita e ho preso il vizio di fumare!) Però mi spiegano che è un vino molto interessante e riconoscibile come Pinot Nero per via del ridotto. Ridotto? La prugna cotta è riduzione secondo voi? No, non lo è! Si tratta di un tipico sentore di evoluzione ossidativa riconoscibilissimo e riconducibile al metil-octa-dienone che demolisce, degrada le molecole del vitigno. Quando ci imbattiamo in un’evoluzione ossidativa, si epifanizza questa simpaticissima molecola che conferisce un sapore tutt’altro che piacevole di prugna cotta e che peraltro omologa i vini, poiché si sviluppa sempre uguale in qualsiasi vitigno di qualunque zona. Un sommelier di cui avevo molta stima fino a poco tempo fa e che mi auguro a questo punto sia morto, mi ha invitata ad apprezzare un bianco fantastico che al naso sapeva di curry e cera, sentori tipici di un vino ossidato ( io in compenso in quell’occasione mi sono ridotta…Sì! A rimpiangere il Galestro dopo un anno di invecchiamento… Il che la dice lunga!)
Il padre dei biodinamici ossidativi è Coulèe de Serrant di Joly…Vi scatenate se dico che non ne vado pazza? Se non mi va di bere vini filosofici come Savennière della Loira, mi considerate profana e priva di strumenti per comprendere sì tale vino multiforme e complesso? Mi aspettate sotto casa se scrivo che non riesco a bere vini di Radikon, di Gravner, di Dettori e di Maule? Io non voglio riconoscere il metodo nel vino, voglio riconoscere il vitigno, la zona di produzione, diamine! Proseguo con l’elenco di alcuni vini che per me rientrano in questa categoria: Champagne Selosse, qualche volta anche Krug, però qui mi sento di fare una digressione (deroga per Krug!) alcuni Primitivo e tanti Amarone, il Kurni (vino Totti per la curva sud!). Gli chardonnay delle zone calde, Planeta ad esempio e parlo di modelli evidenti e stilabili con facilità.
Vi suggerisco di dare un’occhiata agli studi di Denis Dubourdieu, che si è occupato di molecole derivate da agenti ossidanti, perché chiariscono la differenza, fra effetti derivati dall’ossidazione e dalla riduzione. La prima è un malanno, la seconda uno stato di salute. Si tratta di studi scientifici molto interessanti.
A me non piace questo nuovo corso dell’enologia e della critica enologica. Detesto la curva sud che cerca di spiegarmi la magnificenza di vini che puzzano (fatta eccezione per sentori di riduzione che svaniscono a contatto con l’ossigeno) e riempie le cantine dei ristoranti di bottiglie invendibili e imbevibili. Ma perché per distinguerci, per timore di apparire scontati, dobbiamo ricercare stranezze? Non è meglio affidarsi a canoni apparentemente più ordinari come la freschezza, la piacevolezza, la bevibilità o la complessità, quando non hanno gradi di parentela coi difetti sopra descritti? O devo necessariamente faticare per bere un bicchiere di vino? Devo andare io incontro al vino? Per me no, se non per l’aspetto conoscitivo, mica me l’ha ordinato il medico di bere!
Amici di Black Mamba, chiudo parlandovi di una gran buona bottiglia che ho bevuto ieri, Chateau Ausone 1985, un vino elegantissimo, che sa di Cabernet anche se bevuto a occhi chiusi, un vino riconoscibile. E sapete perché è riconoscibile? Per via di una meravigliosa nota fumè. Il sentore affumicato nei vini è riduttivo e preserva le molecole del frutto di partenza. Infatti Ausone ’85 è un vino fantastico e la mia bottiglia è finita. Ricordate il monito!
I vini buoni sono solo quelli che finiscono, parola di Black Mamba!
Approfondimento. L’ossidazione
(Black Mamba grazie all’approccio concreto della vita che la contraddistingue, avverte i maschietti: dopo questa lettura trovate una cariola o qualcuno disposto ad adottare a distanza i vostri preziosi gioielli di famiglia!)
Partiamo da un concetto che deve essere chiaro per tutti (quanto avevate in chimica? Io 8! Ah!ah!) L’ossidazione è la perdita di elettroni, la riduzione è l’acquisto. Nella maggior parte dei casi in natura, le sostanze perdono elettroni reagendo con l’ossigeno. Questa classe di reazioni ha preso il nome di ossidazione e viene spesso identificata come reazione con l’ossigeno benchè le sostanze possano ossidarsi anche in assenza di ossigeno.
Torniamo al vino: l’ossidazione è chiaramente collegata all’ossigeno anche se si può parlare di ossidazione solo quando gli effetti delle reazioni chimiche divengono percepibili all’olfatto. In seguito alla reazione con l’ossigeno molte sostanze aromatiche si trasformano in composti non odoranti, quindi non più avvertibili all’olfatto. Le sostanze prodotte dalla vite nell’uva (quindi caratteristiche del vitigno e del territorio di provenienza) si perdono, si sciolgono, come neve al sole!
Non basta! In queste condizioni, si formano sostanze INDIPENDENTI DAL TERROIR ( soprattutto i già noti sotolone e amminoacetofenone nei bianchi o metil-octa-dienone nei rossi) che hanno caratteristiche molto odoranti che dominano sulle altre già fortemente provate dall’ossidazione per cui il risultato derivante è che i vini bianchi hanno tutti sentore di cera, resina e curry mentre i rossi di frutta secca e prugna.
In condizioni di evoluzione riduttiva, invece, le sostanze aromatiche prodotte dalla vite non vengono degradate e quindi, sia pure con cambiamenti importanti, rimangono avvertibili. In queste condizioni si formano alcune sostanze, non ben individuate (perché ci si occupa delle malattie, non dello stato di salute, giustamente!) che sono probabilmente anche in questo caso indipendenti dal terroir ma che all’aerazione nel bicchiere (o nella bottiglia se il vino viene conservato a lungo) svaniscono, lasciando spazio all’originalità del territorio. Ecco perché nei vini in evoluzione riduttiva troviamo spesso aromi affumicati o di tartufo che con una semplice aerazione si aprono alla diversità. Facendo la stessa cosa con un vino ossidato, non si fa altro che peggiorare la situazione. Semplice, no?
…E dulcis in fundo (in cauda venenum!) l’ IPEROSSIGENAZIONE, IL VINO MUMMIA:
con questa tecnica, che oramai ha pochi sostenitori (vivaddio!) si eliminano, generalmente sul mosto, tutte le sostanze ossidabili grazie a un apporto di ossigeno talmente elevato che le degrada o le precipita molto rapidamente. Ciò che rimane è difficilmente ossidabile, quindi si evita un’ossidazione successiva. Grazie a questo intervento in effetti la produzione di sotolone, ad esempio, è scongiurata, ma si degradano ancora di più le sostanze aromatiche prodotte dall’uva grazie al terroir. Il risultato è un vino apparentemente non ossidato, ma privo di espressività e vita: morto, anzi un vino mummificato. Sui vini aromatici e terpenici funziona un po’ meglio (moscato e simili) ma una certa perdita per certi vini monocordi forse è quasi un guadagno in eleganza.
Foto: madwine.blogspot.com, diaryofanutritionist.com, percorsidivino.blogspot.com, ilsannita.it, darapri.it