Migliore Champagne d’annata. Tifate œnotheque o dégorgement originale?
Lo Champagne, specie quello delle maison, è uno e trino. È quello delle cuvée base, d’entrata, che fanno il fatturato ma anche la facciata della casa, e guai a topparle. È quello dei millesimati, su cui si misura la qualità della materia e la capacità di scelta di chi guida la vettura. E poi c’è il superprestige: legato in modo importante al fattore tempo, con i millesimi presentati più anziani di almeno un quinquennio (ma anche molto più) dell’ultima edizione “normale” e sul mercato della medesima tipologia. E qui si gioca, ovviamente, la comunicazione alta, la noblesse e il blasone aziendale rispetto ai grandi appassionati, i conoscitori, i critici specializzati (e i compratori ricchi, che almeno in parte raccolgono il verbo delle categorie precedenti). Tant’è che, complice il moltiplicarsi dei nuovi “paperoni” nei Paesi emergenti, su quest’ultimo fronte non c’è praticamente più un grande nome che negli ultimi anni non sia sceso in campo, seguendo l’esempio di chi aveva già deciso che il grande Champagne che dura e migliora (benché il grosso di quello comprato sia il base, e si beva per lo più a stretto giro di posta) fa sognare, parlare, discutere. E dunque scrivere, postare, fare titoli… E così, le degustazioni di Champagne d’età per il sottoscritto e chi fa il suo mestiere si sono ultimamente (e allegramente) moltiplicate.
Anche qui però non c’è una strada unica. I filoni sono due. Il primo è il modello oenotheque, cioè bottiglie d’annata grande (e meglio se in grandi formati) conservate “in punta”, cioè coi lieviti dentro (sottoscelta aziendale e di singolo chef de cave se tappate in sughero o a corona) e tirate fuori di cantina nel momento in cui servono, cioè un tot d’anni dopo l’uscita regolare sul mercato del millesimo in questione (ultimi approdi importanti, la Veuve e Laurent Perrier). L’altra è quella del dégorgement regolare, cioè bottiglie sboccate al momento fissato per ciascun millesimo, insieme alle altre che vanno in consegna, ma trattenute poi in cave a maturare ed evolvere, anche molto a lungo, come un vino importante qualsiasi.
Evidente che nel primo caso si punta, oltre che sul valore intrinseco del millesimo che dev’essere comunque giusto, sulla specificità primaria, diciamo così, di “fabbricazione” dello Champagne, cioè sulle interazioni proteiche e aromatiche post lisi e sulle proprietà protettive/conservative dei lieviti lasciati in boccia. Nel secondo invece, parola all’uva, alla vigna e all’annata in modo più diretto e scoperto. Quasi a chiudere il cerchio tra i vins clairs originali (i pre spumantizzazione con cui si fa la cuvée) e quest’esito maturo.
Le due vie non sono antitetiche. Esse possono convivere (e materialmente lo fanno, negli “archivi” delle maison). Ma la scelta di puntare per l’immagine esterna sull’una o sull’altra, è un bivio.
Hervé Deschamps, chef de cave di Perrier-Jouët (a proposito, anche loro si dividono in due categorie, gli efficientisti e supertecnici taglienti come rasoi, e gli “artisti”, fantasiosi ed eclettici come pianisti o ideatori di performance visuali: Hervé è della categoria due, ma condita da una dose di umanità, simpatia, umorismo, e un pizzico di dolcezza, che lo rendono abbastanza unico) ha scelto la strada degli anni vissuti al naturale. Il suo superprestige porta ovviamente la veste decò del “cocco” di casa, la bottiglia con i fiori della serie Belle Epoque. Le tre annate prescelte per il debutto (ci sono state servite insieme al 2004, ultima in commercio ora) sono tre totem: 1982, 1985, 1996. Poi, come cadeau finale, riassaggio di uno dei miei “cocchi” degli ultimi tempi, il Belle Epoque versione Blanc des Blancs 2002 (annata davvero bella!). Di seguito, le schede, cinque, precedute però da una domanda. Dovendo scegliere, per voi meglio la strada œnotheque o questa del dégorgement originale? Sono davvero curioso. E non solo io, o noi di Scatti. Anche (ve lo garantisco) svariati strateghi della simpatica zona attorno a Reims che si stanno molto interrogando…
2004 Belle Epoque: dopo la jella del 2003 (gelata assassina) un’annata buona per quantità e qualità, consolante, dal finale solare e “maturante”. Risultato, alcol a 9,5° e acidità a 8. E allora, vino dal cuore già “aperto”, profumato di frutta più che di fiori (pesca, mango) e con note mielate, già presenti, a fare l’altalena con quelle agrumate (tipo pompelmo rosa). Crema finale, buona bevibilità già ora, molto da “acchiappo” elegante, da serata a due, con chi volete voi, secondo gusti. 3 scatti e secchio
1996: eccolo, il “mostro”. Una delle annate più fuoriscala nella storia della Champagne moderna, 35° di giorno e giù di notte, 10 di acidità, sostanza a mille. E anche qui, a dieci annetti dalla sboccatura, non ci sono che conferme ed esclamativi. Doratura leggera nel calice, naso pasticcere, ma l’acidità di cui sopra – croccante, acciaiosa, nitida – a fare da spina dorsale lunga, poi il mix di canditi, miele, mou, zenzero del sapore, più la densità palpabile finale a fare il resto. Dove arriverà? Quando? Forse mai alla perfezione, ma tenendoci sulla corda sempre. Averne… 3 scatti e ½
1985: Forse la perfezione secondo l’ideologia Champagne qui è più vicina. Magari le manca un filo di muscolo appena, i tre-quattro chili in più che danno peso al pugno del pugile, un medio o un welter elegante, spadaccino e in vena. Come questo delizioso ’85, piccole quantità di champignon iniziale (quando era un po’ freddo), poi l’austerità del fumo che lascia il posto (2° in più, benvenuti) a un effluvio di brioche, forno, burro, miele, e però anche fiori e (!) verbena. Meno crema del ’96 al tatto, ma che classe… 3 scatti e ½
1982: io lo so, a Deschamps e, insomma, a tutti i veri puristi piace più l’85. Ma l’82, più inglese e agée (e non di tre anni soli, come da anagrafe) ora però mi fa godere. Un millesimo da Chardonnay, e si sente. Minerale, tabacco, mandorle, miele. E poi, man mano, la maturità da “old Valentini”: quel filo di caffè fresco, insieme alla prepotente buccia d’arancia da mettere, dopo la tombola, a profumare il camino a Natale. Non durerà mille anni? Cacchio, beviamocelo! 3 scatti e secchio
2002 Belle Epoque Blanc des Blancs: su questo vino sono parziale, più lo riassaggio (terza boccia in sei mesi, la seconda condivisa con amici che sanno come Francesca e Gaetano Verrigni) più, malgrado tutto, mi piace. Lo so, gli manca un pezzetto di ciccia al centro. Non è sferico. Ma più Chardonnay di così… Fiori e miele non dolce, bolla soave, fine. E va via che è un piacere. Anche troppo, visto che la casa lo ha messo in giro a un prezzo deluxe. Ma che vuoi fare… Vicious… 3 scatti e ½ e secchio.