La Guerra dei Pizzaioli. Il tradimento e l’ultima pizza
Magnataro era su tutte le furie.
Papilionem alzò gli occhi al cielo aggrottando le sopracciglia come era solito fare. “Porca miseria, finirà che gli spaghetti della Costa si raffredderanno”, pensò tra sé e sé.
“Non può avermi tradito pensando di rubarmi la scena nell’Arena, perdindirindina”.
“Che Zeus lo perdoni”, pensò Papilionem mentre con molto giudizio ripassava gli ultimi fili di pasta nell’abbondante sugo del pomodoro dell’Ager Nocerinus. Chiuse gli occhi e non ebbe dubbi: la bruciapadelle del paese era la più brava dell’orbe terraqueo. Era in cima alla lista delle sue preferenze.
“Ma come si è permesso, perdinci”. Magnataro stava alzando il tono delle invettive.
Il momento era grave.
“Artemide oggi è andata a caccia e ho qui tre polletti deliziosi che nemmeno i Galli si sognano”, provò a rabbonirlo.
Niente.
“Tu capisci vero che c’era un percorso comune e ora mi tirano fuori questa questione dei posti a tavola, pofferbacco”.
“Io capisco che tutti vogliono sedersi al tavolo. Guarda che spaghetti, che pummarola, che mozzarella. È tutto un magna magna. Perché restare fuori?”.
“Ci sono delle regole da rispettare, diamine”, rintuzzò Magnataro mentre si sedeva a capotavola in attesa dei 12 commensali.
“Io resto in piedi”, fece Papilionem, “questo numero non mi piace. Dalle lontane montagne del Golem dicono che porti sfiga”, e così dicendo lanciò un pugno di sale alle sue spalle.
“Il traditore lo scopriremo stasera e non avremo pietà, pofferbacco”.
Il Perrellante Festante un po’ si era scocciato di questa convocazione improvvisa. Era la quindicesima volta che fustigava i cavalli della sua biga per scendere dalle montagne Irpinum e passando davanti al tempio di Poseidone si chiese se non fosse stato meglio che un’onda incavolata delle sue non avesse sommerso tutta la città a partire da Porta Marina. “Vabbè, gli affari sono affari e mi allungo un attimo ad Ager Polis per scaricare l’acqua del Flegetonte”. L’aveva giusto presa prima della cena che era finito a meretrici.
Pomoaureo guardò le mura ciclopiche. Pochi granelli di clessidra e sarebbe arrivato a destinazione. La cassa era ben rifornita di pummarola. Si parlava di invito a cena ed era buona creanza presentarsi con un dono. Aveva chiesto info al Perrellante che era un po’ seccato per la mancanza del dressing code. Aveva indossato un completo verde non troppo elegante.
“Questi scossoni finiranno con il rompere gli spaghetti”, mugugnò Pasteus. “Non sarebbe bello mangiare la pasta con il cucchiaio manco fossimo a una cena di paysan”.
“Devo fare attenzione alle anfore”, sbottò Oleus, “altrimenti tutto l’olio per strada e finisce che l’edile del luogo ci farà pagare i danni per mettere a posto questa strada malconcia. Vabbè, potrebbero pure intestarcela: Le Strade dell’Olio”.
Iulia Pugna e il suo cavalier servente correvano veloci con l’ultimo modello Chanel di quadriga. Avrebbero voluto fare sosta al Porto del Fico salendo dalle Calabrie ma non c’era tempo. La cena di routine per scrivere il copione della festa era stato anticipato.
Non sarebbero stati 13 a tavola. Qualche defezione per tosse era inevitabile, contò sulle dita Papilionem. “Meno male posso sedermi”, gioì come era solito fare.
“Ma perché mai Magnataro mi ha invitato?”. Curator Alvei aveva diretto la prua della sua feluca con a bordo i templari della pizza lungo i canali che arrivano al mare e dal Capo aveva fatto alzare le vele in direzione della Laura. Poseidone doveva essere d’accordo perché filavano sul mare liscio come l’olio come se lo stesso dio spingesse l’imbarcazione.
“Marcus Docimus, che pensi di questa convocazione inaspettata? Sarà pace?”
“Non lo so”, gli rispose mentre guardava inorridito l’ennesima bottiglia di acqua che stava stappando. “Ma intanto è meglio andare in tanti, non mi fido. Ho già letto di una volta che aveva accettato l’invito di un pizzaiolo in segno di pace con uno scriba e invece disse al corriere blu che aveva accettato che si sedesse al suo stesso tavolo. Secondo me ha un problema di posizioni”.
“Ma perché dovete sempre pensare al male?”, gli fece eco Olaf il Rosso che arrivava dalle lontane Terre di Odino e aveva attraversato tutta una maremma di tundra senza mangiare e mo’ si sbafava panini manco fosse stato Poldo. “Un invito a cena è un invito a cena. Si mangia. Molto, speriamo”.
“Io diffido”, disse senza mezzi termi il Portatore di Luce che girava come il suo antenato Diogene alla ricerca di una verità che nessuno poteva vedere o assaggiare. “Meglio una lama in più che una in meno”.
Sputafuoco non era calmo. Non gli interessava dell’invito ora che i giochi erano stati fatti e aveva subito l’onta del pane e pummarola. Dalla sua grotta di verdure era uscito con il cavallo nero dagli occhi di brace che gli aveva donato Efialte. “Vai Incubo, vola veloce sulle strade della Terra di Mezzo che non voglio incontrare nessuno dei pizzaioli che si dicono superiori”. Palpò la cintura e si assicurò che il pugnale fosse al suo posto. Non voleva essere la vittima sacrificale della Guerra della Pizza.
“Benvenuti e viva la pizza. E non parlatemi del pane e pummarola, amici miei. Sedetevi a tavola e spezziamo il pane pompeiano. Una nuova stagione di nuove posizioni sta per iniziare”, esclamò festante Magnataro.
“Porcomondomadinerocasertano”, gridò Papilionem, “ma siamo in 13 a tavola!”.
“Smettila con queste superstizioni inutili e fai bene di conto che abbiamo gli scontrines da controllare, per mille bolle blu. Stasera qualcuno di voi mi tradirà e non faremo in tempo a finire i tre polletti di Artemide che l’impasto davanti a uno di voi si sgonfierà. Sarà lui il traditore. La pizza non mente mai, sappiatelo”.
[Immagine di copertina: Vizio di Forma – Inherent Vice]
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