La Guerra dei Pizzaioli. Ercole e la pizza dei Due Golfi
Ercole allungò lo sguardo oltre la vetrata. Dal Giardino delle Esperidi aveva colto un frutto giallo e un frutto rosso e li aveva seminati alle falde della montagna di fuoco che Vulcano aveva abbandonato.
Triste presagio le aveva detto la sirena Parthènope, ma lui era abituato a combattere le avversità.
Ora lo chiamavano il Pizzaiolo dei Due Golfi – dimenticando le sue antiche imprese – da quando aveva incontrato Castore e Polluce che lo avevano convinto ad aprire una nuova Locanda sotto il castello longobardo e per via dei due frutti rossi e gialli che usava sulle sue pizze.
Un po’ gli dispiaceva chiudere la sua vecchia Locanda Hortus. Ma Castore e Polluce insieme a Armodio e Aristogitone lo avevano convinto.
Hortus non poteva tenere il passo di Herculea.
Troppo bella la nuova arrivata. Andava chiusa e rifatta.
“Maledetto scriba, mai a farsi un vagone di fatti suoi”, pensò.
Aveva scritto il proclama della chiusura prima delle idi di luglio affiggendo a destra e a manca i disegni dei fratelli Falconius.
“Non lo uccido per non farne un eroe”, aveva detto a Castore, “ma vedrai che la novella ci creerà problemi con tutti questi amanuensi a giro”.
Sospirò. Aveva impiegato tempo a farsi accettare dai pizzaioli della Terra di Mezzo ed era diventato tra quelli più amati.
Profilo basso e tanto lavoro al banco. “Non mi interessa litigare con Tartagliano e compagnia cantando”.
I pomigialli della pizza Helios risplendevano agli ultimi bagliori di luce.
Perrellante Festante entrò agitando i calici.
“Nunc est bibendum”, gridò seguito da Aulivus e Chiapparellis, i suoi fidi scudieri.
“Perrellante tu hai bisogno di una clessidra nuova di zecca. La chiederò a Crono personalmente”, sbuffò.
“Festeggio la tua nomina a impastatore dei due regni quando fuori piove. Ho visto di soppiatto la pergamena che l’amanuense di Papiliomen stava vergando con le gocce del fiume Lete”, squittì Aulivus.
“Perrellante qui ci vuole tutta la squadra del Frullones. Papiliomen scrive le suppliche alla Sibilla Cumana per interpretare gli scontrines che gli mandano i daziales”, osservò Eracle. “Se è vero quello che dice il tuo menestrello, puoi anche riporre i calici in attesa di tempi migliori”.
“Ma che ci facevi tra le colonne della casa di Papiliomen? Non lo sai che è vietato agitare il vaso di Pandora ora che il sole brilla alto?”, gli disse puntando il dito come a volerlo incolpare di chissà quale nefandezza.
“Ero andato a portare una pila di incunaboli consegnatemi da Magnataro alla Stoà di Ager Polis. Ne ho acquistati un bel bancale per diffondere la conoscenza della pizza ai quattro angoli del mio contado ed entrare nelle locande con un dono”, spiegò l’astuto portatore di acque.
“Tu lo sai che devi stare lontano dalle segrete stanze. I bottoni delle tue giubbe finirà con il cucirteli Lachesi o vuoi che le legioni dei pizzaioli della Terra di Mezzo ti facciano rosolare assieme ai maialini casertani di cui sei devoto estimatore”?
“Non capisco tutto questo astio nei miei confronti eppure sono a migliaia che vengono a dissetarsi alla mia fonte e io sono ben lieto di accogliere tutti. E di rifornirli dalle montagne al mare come pochi altri sanno fare”, rispose con orgoglio accarezzando una delle sue famose anfore con ombrellone.
“Se dò una mano a Magnataro e a Papiliomen senza chiedere nulla in cambio che male c’è”?
“Perrellante tu conosci la calunnia. Il grande poeta che narrò le gesta dell’eroe che fondo la città eterna dice che ha occhi e orecchie dappertutto e cresce dismisura con il solo muoversi. Facta atque infecta – cose avvenute e cose non avvenute – e rotola giù dai monti come una palla di neve che si ingrossa scendendo a valle”, tagliò corto nella speranza di potersi dedicare al suo impasto famoso in tutta la Terra di Mezzo per il velo croccante che avvolgeva un cuore morbido.
“Ma io vado solo per mare che c’entra la neve?”. Perrellante odiava dover riporre i calici bolicinorum.
“Mi risulta che i boschi Irpinium siano flagellati dalla neve piuttosto che dalle onde di Poseidone”, replicò Eracle. “Smettila di organizzare baccanali nelle date sbagliate e vedrai che le voci ammutoliranno”.
“Parli proprio tu che hai bevuto da questi calici alle porte dello Stige”, sorrise accondiscendete il Perrellante.
“Avevi detto che onoravamo il legame di amicizia tra pizzaioli. C’era anche Achille Pizzaveloce a fare da garante e alla fine abbiamo dovuto mandare tutto alle meretrici. Io in queste tarantelle non mi ci voglio più trovare”. Il Pizzaiolo dei Due Golfi si morse un labbro per evitare di chiamare in causa la sua nobile famiglia che albergava nell’Olimpo.
“Allora sei tu il delatore. Hai parlato con lo scriba, lo sapevo”, lo accusò il Perrellante.
“Perrellante riempiti il calice che l’arsura ti sta seccando il cervello. Lo scriba conosce tutti i convitati di quella cena. Per me sei stato tu a raccontargli tutto e non capisco il motivo”.
“Ma sei impazzito? Giusto l’amore filiale che mi lega a Tartagliano mi ha impedito di scassargli una bottiglia sull’elmo. Dover dare ragione a Masuccio Casertano mi pesa”, l’occhiò si umettò guardando gli orci che avrebbe voluto destinargli.
“Ascoltami, la verità è che l’anima oscura di Plutone si sta impadronendo di tutti noi come se a questa ferita purulenta non ci fosse alcun rimedio nelle erbe. Non vorrei che invece delle libagioni alle idi di luglio dovremmo assoldare prefiche per cantare il dolore delle mogli e delle compagne”.
“Io porterò acqua per calmare gli animi. Lo sto già facendo. Ma una botte di buona birra non me la leverà nessuno perché sono in tanti a chiedermela e non me ne priverò. E ora scusami ma la terra pestana mi attende. Mi metto in marcia”.
“Vai che Zeus sia con te. Io ho da pensare alla nuova Hortus. Hydra monta la guardia. Che nessun scriba o leguleio varchi quella soglia. Solo alle idi di settembre sveleremo menù, prezzi e la nuova pizza che piacerà anche a Deianira. E non ce ne sarà per nessuno”.
Castore, Polluce, Armodio Aristogitone e voi fratelli di banco siete d’accordo?
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Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale
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