Planeta. Nel 2015 si beve vino siciliano, non ci dobbiamo fare fottere
Si dice che la Sicilia sia un mondo a sé, un pianeta che gira per orbite diverse rispetto alla Terra, in uno spazio-tempo speciale che noi umani possiamo intuire ma non conoscere mai veramente. Ci penso spesso quando sento parlare di Planeta, della sua storia, dei suoi vini, delle sue terre. Trovo un destino nel nome che quasi suona come sinonimo di Sicilia.
Anche Planeta ha una sua orbita che fa tutto il giro dell’Isola, ruota su se stessa e attorno al vino. Menfi, Sambuca, Vittoria, Noto, l’Etna, Milazzo: nomi siciliani che sono la mappa di un viaggio molto identitario e molto planetario. C’è persino un circuito artistico che lo ripercorre ogni anno e lo riracconta.Un gruppo di artisti, giovani e non, che segue i punti cardinali della famiglia Planeta per un anno e trae ispirazione per una produzione artistica nomade e periodica.
Ne parlo con Alessio Planeta, il wine maker – in una giornata di mezzo novembre che pare intera estate mentre ci prendiamo gioco dell’allerta meteo che prevedeva cicloni e apocalissi varie. Siamo sulla terrazza della Foresteria, dove i Planeta da qualche hanno messo a dimora i loro primi progetti di ospitalità. Quattordici stanze circondate dai vigneti, nel cuore geografico della vicenda familiare, tra Menfi e Sambuca di Sicilia. Sullo sfondo il mare di Porto Palo. Ma altre meraviglie sono in arrivo.
Sono i paesaggi, gli odori e i sapori che hanno incantato anche i nuovi potenti della terra, non leader politici o primi ministri, ma l’invincibile armata di Google. “Si, sono arrivati in 300, per quello che chiamano The Camp – racconta ancora sognante Alessio Planeta – era una strana miscela di gente: da Elon Musk, che vuole invadere il mondo con le sue auto elettriche fino a Eva Longoria, poi ovviamente Larry Page e Sergey Brin e tutta la loro corte”. Si sono trovati bene nelle terre di Planeta, si incontravano e mangiavano all’Ulmo, la cantina madre, affacciata sul lago Arancio. “E’ gente abituata ad altissimi standard di lusso – dice Planeta – ma è uno standard più o meno uguale ovunque. Qui hanno trovato un’ospitalità di famiglia con un po’ di quel disordine creativo in cui noi italiani siamo bravissimi. Ma gli spazi, i colori, i profumi, l’aria, qui erano il vero lusso.”
Mentre mi racconta di vini ed esperienze planetarie, lo chef della Foresteria, Angelo Pumilia, un “ragazzo di zona” come lo definiscono qui, ma con alle spalle una solida collaborazione con il Clandestino di Moreno Cedroni e un’estensione d’interessi che arriva al Giappone, ci delizia improvvisando in cucina. Ha appena finito di fare lezioni di cucina ad un gruppo di ospiti entusiasti: caponata, sarde a beccafico, cannoli, chi non vorrebbe saperli fare alla perfezione?
A noi riserva qualche piccolo capolavoro di novità: piccoli medaglioni di lampuga (qui la chiamano capone) appena marinata in sale e zucchero e poi leggermente affumicata con legno di vite. Servita con finocchi ed arance e capperi disidratati invece del sale, poi due filetti di spatola che racchiudono una farcitura a base di cipolla in agrodolce e sono avvolti da una sfoglia di pane sottilissima. Viene cotto in forno e servito con salsa di cotogne e caviale di aceto.
A sorpresa, quasi come dessert, uno spaghetto al pomodoro “come si deve”, pasta di Gragnano e pomodorini delle terre Planeta, i kamarino. Olio anche quello della casa, fatto nella tenuta di Capparrina, Nocellara del Belice, Biancolilla e Cerasuola. In un anno nero per l’olio italiano, qui in Sicilia c’è stata una raccolta abbondante e fortunata. Infine i cannoli della lezione di cucina, con quel grado di sottigliezza e friabilità della cialda che ci si può permettere solo se li mangi appena farciti.
Beviamo Eruzione 1614, dalle cantine del Feudo di Mezzo, a quota 900 mt. sull’Etna, 90% Carricante e 10 Riesling, e poi un Cerasuolo di Vittoria che portava benissimo i suoi 8 anni. Così si torna al vino che come l’olio ha avuto nel 2014 un’ottima annata: “Poca uva – spiega Planeta – ma qualità eccezionale. Abbiamo avuto un’estate senza pioggia, fresca, con maturazioni lente, lunghe, vendemmia perfetta”. Dice Planeta, ridendo, che sta pensando ad un slogan shock per il vino siciliano di quest’anno e vuole che sia virale e internazionale, ma non me lo vuole dire, poi cede: “Drink Sicily, fuck the rest”.
“Scherzo – aggiunge – però non tanto: è ora di finirla con questa storia che quando in Italia la vendemmia è buona, vuol dire che è buona per il Brunello, il Barolo, l’Amarone, mentre quando si dice che è cattiva, allora è cattiva per tutti. Quest’anno si beve siciliano, non ci dobbiamo fare fottere.” Questo della comunicazione è un pallino di Alessio Planeta perchè ci vede uno dei punti deboli dell’enologia italiana. “Bisogna stare molto attenti a quello che si comunica – spiega – questa storia della vendemmia cattiva è per esempio molto pericolosa. Se un anno si lascia percepire che la vendemmia italiana è stata cattiva, i buyers internazionali ci mettono un attimo a cambiare paese e lo stesso fanno i consumatori: cambiare pasta, cambiare olio è più difficile, a cambiare vino non ci pensi due volte”.
A questo punto mi viene da chiedergli quali siano davvero i punti deboli del vino italiano rispetto alla concorrenza. “Se parliamo di concorrenza dobbiamo parlare di Francia – si infervora – e quello che ci manca rispetto ai francesi sono duecento anni di storia commerciale: non produttiva, commerciale. Loro hanno avuto la fortuna di avere gli inglesi, che all’epoca erano i padroni del mondo e che compravano tutto il vino di Bordeaux. Così oggi sono più bravi nel marketing, nella grande distribuzione, eccetera. Mi chiedo per esempio perchè in Italia non sia nato un gruppo del lusso che includa anche l’alta gamma del vino, come LVMH. Però attenzione a pensare che l’Italia sia sempre in dietro su tutto, perchè almeno sul vino non è così: molti settori hanno preso schiaffi dalla concorrenza internazionale pensiamo al food, alla moda…nel vino gli schiaffi li abbiamo dati noi. Noi abbiamo battuto la Francia sul mercato americano in termini di fatturato. Dobbiamo lavorare sul prezzo medio ancora troppo basso, ma i trend di crescita del vino italiano, nello sfacelo totale del sistema paese, sono eccezionali”.
Quando racconta del vino italiano e sopratutto siciliano, Alessio Planeta fa fatica a nascondere un guizzo d’orgoglio: lui e la sua famiglia si considerano pionieri del vino dell’isola, o forse addirittura guerriglieri: “In Sicilia fino a 30 anni fa e anche meno eravamo a distanze siderali dai mercati, il vino lo facevamo per noi, qui a Menfi si beveva il vino sfuso dei consorzi. E lo stimolo a fare qualità viene dal mercato. Abbiamo dovuto combattere, noi, poche altre famiglie, soli contro tutti”.
Se deve raccontare la storia del vino Planeta, Alessio fa due nomi (anche se premette che “sono tutti figli suoi”): lo Chardonnay lanciato nel 1995, proprio qui a Ulmo: “E’ stato il vino che ha messo noi, e forse anche rimesso la Sicilia, sulla mappa del vino. E’ stato un vino di rottura che si è confrontato con i grandi bianchi italiani, entrato quattro volte nei primi 100 vini del mondo, ha alzato l’asticella del vino dell’isola. Poi ha pagato un po’ il prezzo di non essere fatto con una varietà siciliana. L’altro che vorrei citare, sul versante opposto, quella della ricerca del terroir, è il nostro Santa Cecilia, il Nero d’Avola che facciamo a Noto, a 350 km di curve da qui, ed è un po’ l’inizio della nostra “delocalizzazione” ”. In realtà Alessio Planeta adesso non ha testa e palato che per la nuova creatura Planeta, che vedrà la luce nelle vigne di Capo Milazzo, dove si lavora il Mamertino: “ci vorrà ancora qualche anno ma verranno bianchi e rossi di mare di grande raffinatezza”.
“E’ il bello del nostro lavoro – conclude Alessio – progettare, pensare non tanto a che vigna pianterai, ma esattamente a che vino berrai da qui a 5, 6, 7 anni, che impressioni ne vorrai trarre bevendolo a New York o a Shanghai, cosa vuoi che sentano i consumatori, quale idea ci vuoi mettere dentro, e piano piano avvicinarti al risultato. E’ un business per visionari”.
[Immagini: Planeta Winery, Patricia Tòth, Chiara Planeta]