Se bevo, cerco il vino che piace a me, ai trend setter e non al mercato
Roma, interno, giorno, una nota enoteca del centro. Bottiglie alle pareti, i soliti quattro consumatori abituali, che sfidando la caligine di questo giugno romano, bevono al banco. Uno di quelli sono io, santo bevitore come i miei compagni, ma anche come loro appassionato di vino.
Uno dei miei problemi nella vita è quello di non aver mai avuto un posto definito in cui collocarmi. “ci sedemmo dalla parte del torto, perché da quella della ragione non c’era più posto” è la mia frase preferita”. Brecht in quelle poche righe certifica un modo di essere, nel quale mi sono sempre assai ritrovato. Tra i degustatori vecchia scuola tutti morbidezze e archetti, mi sento fuori di posto, tra quelli curva sud matti per il famolo strano, neanche a parlarne, tra i bravi degustatori, quelli che “bevono solo criticamente”, come mi disse una volta un campione di forum, ho voglia di imbracciare un kalashikov.
So che il vino mi piace parecchio, mi piace berlo, anche discuterne, ma soprattutto berlo. Cerco sorbevolezza e bevibilità. Cerco refrigerio per il caldo torrido, calore per le sere d’inverno, piacevolezza e integrità. Voglio riconoscere il clima e il terreno dei luoghi da cui proviene nel bicchiere. Mi piace interpretare la mano dell’artefice che ha fatto delle scelte. Cerco soprattutto un vino che danzi al palato. Per questo il mio è un rapporto quotidiano, e nelle giornate, trovo nel vino cose diverse, secondo il mio umore.
Insomma torniamo all’enoteca, seduto al banco e scegliendo dalla lavagna un vino, che mi ritemprasse dall’afa, non trovavo nulla che mi andasse. Cercavo acidità e freschezze, non morbidezza eccessive. Con me un mio maestro di sempre, che stimo e mi ha insegnato parecchio di quello che so. Mi guarda e mi dice, “ma non capite che il mondo cerca glicerina e morbidezza, vini piacevoli e non solo acidi come fai tu”. Boh, lo capisco? Mica lo so se lo capisco…
Ma cosa me ne fotte a me quando bevo al banco di un’enoteca di cosa cerca il mondo? So quello che cerco io e quello che mi interessa. Possibile che se facciamo i critici dobbiamo esserlo h 24? Vado oltre si può essere critici senza essere bevitori? Secondo me no, e secondo me un bevitore delle tendenze del mondo se ne impipa. Altra cosa, ma siamo proprio certi che la critica del vino (come tutte le critiche) debba seguire il mercato e non anticiparlo? Perché io credo che se si limiti a seguire il mercato e i gusti dei più, sia sostanzialmente inutile. A cosa serve? Solo a legittimare l’esistente… e si sa l’esistente si legittima da solo.
Insomma, parafrasando il mio amato Carver, cosa cerchiamo nel vino quando parliamo di vino? Io so che cerco riconoscibilità e che in questo il vino italiano è imbattibile. Non cerco dolcezze, ne acidità, almeno non solo quelle. Cerco un vino che sappia raccontarmi una storia, un paesaggio e che sappia lenire le mie fatiche, vere o apparenti. Soprattutto cerco il piacere di bere, senza indossare una divisa o una casacca. In breve, cerco Dioniso e troppo spesso mi mostrano Apollo.
E voi cosa cercate?
[Immagine: sheknows]