Vendesi Brunello. Dopo Tenuta Oliveto a Soleya, cosa c’è a Montalcino?
In fondo, che tiri sempre, è una bella notizia. C’è chi piangerà un po’ su un altro pezzo di vino italiano che cambia bandiera (e stavolta ne innalza una off-shore, con tanta Panama e un po’ di Svizzera: fondi & banke di tutto il mondo unitevi…). Ma a me la notizia che gira da qualche giorno (l’avrete magari anche vista in giro) di Soleya (che nome, eh? bastava una “a” invece di “e” e si restava quasi in famiglia…) International Co. che si è accattata per una cifra ballante tra gli 8,5 e 9,5 milioni la Tenuta Oliveto, 25 ettari al sole di Montalcino di cui 11 ben vitati (4,5 a Brunello, 6,5 a Rosso e uno a Sant’Antimo) a me, ripeto, è piaciuta. Mi stavo giusto domandando, ultimamente, perché ogni giorno partiva un pezzetto di Bordeaux (minore, è vero, ma tant’è) verso la Cina, un filo di Loira per la Russia o Hong Kong, e noi lì a guardare, e neanche un Paesello emergente a bussare alla porta.
Certo, poi a Montalcino non è proprio così. Le cose lì si sono sempre mosse. Complice da un lato la noblesse del Brunello, che tira soprattutto gli one man band angloamericani ricchi (e magari prepensionati, ultimi il consigliere di Obama Richard Parson, già boss in Time Warner, che s’è preso Il Palazzone, o l’ex re con filtro di Philip Morris, Louis Camilleri, che più modestamente s’è annesso Il Giardinello). E dall’altro c’è il bancomat presunto di un vino che, comunque, ha la sua quotazione ad attrarre investimenti ben più business oriented (Poggio di Sotto ai Tipa, già fortissimi altrove, o Mastroianni a Illy). Però, una cosa è il trend, diciamo così, e un’altra l’attualità.
Che si articolerà (e concludo sulla faccenda Oliveto) con la consueta formula scelta da Soleya, che è proprietaria anche in Francia, della famiglia cedente, qui rappresentata dal giovane enologo (24 anni) Alberto Machetti, che continua almeno per un po’ a fare da ambasciatrice e a seguire il marketing del vino già prodotto; mentre il vertice aziendale cambia (la cloche è in mano a un manager svizzero, Pier Landin) e, nel nostro caso, seguendo i modi della politica, cambia anche il nome, che diventa “Tenuta Buon Tempo”.
Ciò premesso, vengo al punto. A me la nuova compravendita ilcinese ha istigato un pensiero. Ovvero: avessi soldi a sfascio, che vigna comprerei a Montalcino? Si badi: vigna, o al massimo piccola label. Non azienda. Non avrei alcuna voglia di giocare al business man. Il gioco è restare a tutti gli effetti un wine lover che prova a tirar fuori il meglio da un territorio nobile, e a goderselo. Giocando a stilare, sotto sotto, una classifica di siti e stili.
E allora, ecco le mie scelte. E i relativi motivi. Pronto a obiezioni, alternative, contrapposizioni.
Vigna Schiena d’Asino, proprietà Mastrojanni-Illy
L’ho sempre amata. Intanto già il toponimo che santifica un privilegio, il vigneto che scollina in doppia esposizione. Un ettaro appena, ma di felicità ampelografica. E qualità intrinseca vera. Poi, il fattore sentimentale (confesso) del vecchio rapporto personale con Antonio Mastrojanni (mio vicino monteverdino a Roma nel tempo non trascorso a Montalcino) che sarebbe non onesto forse definire “amicizia”, ma gran simpatia sì, e forte empatia per tutti i guai e le purghe ingoiate nell’ultimo periodo della sua saga familiare/aziendale. E, terzo, la stima che nutro per lo storico direttore Andrea Machetti, che gli Illy han lasciato saggi in sella. Agli Illy medesimi offro per Schiena 1 milione tondo, pagabile in comode rate da (diciamo) 250 euro al mese, e magari come per certe auto con restituzione dopo essermi fatto il vino 4-5 anni… Come vi pare? A me, da 4 scatti e svariati secchi.
Cerbaiona, proprietà Molinari
Qui, prenderei tutto. La piccola casa tranquilla; la cantina semplicissima; e il vigneto ovviamente (3 ettari scarsi), che sta in un posto benedetto dal dio del vino buono. Ma, sia chiaro, li prenderei solo per ridare immediatamente tutto al “comandante” Diego e a Nora, (e ai loro gatti…) pregandoli di continuare a fare giusto quel che fanno, e proprio come lo fanno. Vini di personalità speciale, e mai arroganti; in certe edizioni Brunello e Rosso fantastici; e quasi sempre buonissimi. E quando poi riescono un po’ meno bene (raramente) è per ribadire che la natura fa il suo corso, l’uomo pure, e questa variabilità è fisiologica e fa parte del gioco. Offerta: al prezzo Oliveto, incluso il non vitato, verrebbero un 5 milioni. Ma sarebbe un colpaccio disonesto. Ne offro allora 10 (ma stessa rateazione di prima). Cui aggiungo 4 scatti e un secchio. Di cuore.
Sugarille, alias Santa Restituta, proprietà Gaja
Chissà che direbbe Angelo “the king” Gaja se davvero uno scrauso di giornalista (tipo me) si presentasse, soldi in bocca, a dirgli, come Atahualpa o qualche altro dio nella canzone di Paolo Conte: descansate niño, che continuo io. Continuo cosa? Ma l’opera iniziata dopo l’acquisto dal Bellini, nel ’94, di Santa Restituta, proprietà su cui il re di Langa (e del mercato angloamericano che contava, incoronato più volte uomo dell’anno e uomo del vino in assoluto) puntò per raddoppiare la sua gloria: contando sull’altra denominazione regale e ancestrale, il Brunello, mentre si attrezzava per triplicare sulla new entry Bolgheri. Un’opera che, però, alla fine forse non gli ha dato mai tutte le soddisfazioni che aspettava. Anyway: diciamo che dei 24 ettari totali io ne prenderei un paio. Che dico io. Offerta: 1,5 milioni. Inclusa però pure una foto di Angelo (ce n’è una b&n bellissima su un libro) con dedica dove ci dice esattamente cosa pensa di noi. Mi tengo tutto un tre anni (la foto per sempre) sperando siano buoni Poi, abdico anch’io. Alla velocità, classica, di 4 scatti…
[Immagine: Intravino. elaborazione SdG]