Vini naturali: solo Gravner, Mascarello e Valentini possono salvarci?
La comparsa della nebulosa naturale ha causato una mezza rivoluzione nel mondo del vino mettendo in discussione pratiche e tecniche tanto consolidate quanto ripetitive. Il nuovo approccio basato su un legame forte con la terra, la vigna e la natura è stato accolto con scetticismo e sottoposto a esami accuratissimi e la forza della nuova idea è riuscita a imporsi all’attenzione di tutti, volenti o nolenti.
I più colpiti da questa onda montante sono stati enologi e produttori che si erano affidati ciecamente a metodi di vinificazione basati su rigidi protocolli da applicare senza pietà. La vitienologia emersa alla metà degli anni ’80 è stata messa prima in discussione e poi in crisi nonostante i tanti successi mietuti in tutto il mondo.
Lieviti autoctoni, agricoltura biologica e/o biodinamica, macerazione dei bianchi sulle bucce sono i punti di appoggio della nebulosa naturale e nelle intenzioni dei sostenitori costituiscono il recupero delle migliori tradizioni contrapposte alle diaboliche innovazioni dettate dall’industria e dal mercato. Parlare di rivoluzione non è quindi del tutto fuori luogo ma come capita sempre le rivoluzioni vivono il loro massimo splendore nella fase preparatoria o al massimo nelle prime 48 ore poi si fa presto ad arrivare al Terrore inevitabilmente seguito dal 9 Termidoro e dal 18 Brumaio.
Trovare vini che abbiano personalità e carattere è sempre più difficile perchè da un lato si è alzata l’asticella, ogni volta che mi trovo davanti a un bicchiere di vino voglio di più, e dall’altro un metodo nuovo, ricco di possibilità, si è sostituito a quello vecchio ma con risultati spesso deludenti.
Mi riferisco in particolare alla tecnica della macerazione delle uve bianche che troppo spesso appiattisce, banalizza e vanifica tutto l’impegno che vignaioli d’eccellenza profondono nei loro vigneti.
Assaggiare un Altrove di Walter De Batté, lo cito come esempio solo perché è un assaggio molto recente, è un’esperienza che mi ha lasciato molto perplesso: il vino è tecnicamente impeccabile come tutti quelli di Walter ma risulta quasi impossibile collocarlo in una zona d’origine o riconoscere le uve di base. Questo per me è un problema e grave perché la storia e l’essenza del vino di qualità sono indissolubilmente legate alle origini geografiche e ampelografiche. Lo stesso limite si può riscontrare in tanti vini convenzionali che si somigliano tutti sempre a causa di tecniche e pratiche invasive e omologanti. Dal nuovo approccio mi aspettavo finalmente la liberazione dall’uniformità e l’esaltazione dei caratteri peculiari di ogni vigna e di ogni varietà e per questo la scoperta di un nuovo metodo è stata molto deludente.
La soluzione è nelle mani dei vignaioli che devono impegnarsi a leggere e gestire i risultati di ogni annata trasformando l’uva in vino senza conformarsi a standard o protocolli di alcun genere leggendo ogni stagione come arriva e seguendo un’idea tanto rigorosa nei principi quanto elastica nelle applicazioni. Gli esempi non mancano: Maria Teresa Mascarello, Josko Gravner, Francesco Paolo Valentini sono i primi nomi che mi vengono in mente e che tutti dobbiamo ringraziare per il loro straordinario lavoro.