Rane, anguille e lumache. La guida alla Chiocciola
Quartiere di Portomaggiore. A lato della Statale Adriatica, quella numero 16 che si getta a mare oltrepassando Ravenna, e a pochi chilometri dalla direttrice che sfocia ai lidi delle Valli di Comacchio, la Chiocciola, trattoria e locanda, ha costruito una buona ragion d’essere per trovarsi lì, semisperduta nella campagna. Un locale di famiglia, di nascita e conduzione in cui c’è “il gusto del saper cucinare desuetudini alimentari….”. “Ben eseguite le paste ripiene”. “Dolci un po’ grevi, anche se corretti”. “Servizio in affanno nei momenti di punta”. Costo approssimativo sui 55 euro. Non corriamo per il Campionato Mondiale e siamo lontani dalle classifiche internazionali che fanno strappare le vesti a molti critici in una sorta di matrioska del campanile che percorre tutti i gradi della territorialità per arrivare a Italia – Resto del Mondo. Ci si potrebbe perdere nelle nebbie, qui alla frazione di Portomaggiore, causa primavera che ancora va a singhiozzo, ma piove in quella che potrebbe essere la palude dei circa 3000 ristoranti recensiti dalla Guida dell’Espresso da cui ho tratto i virgolettati. Ci si aggira sulla media classifica, su quella innervatura tanto simile alla piccola e media impresa che costituisce lo scheletro produttivo dell’industria italiana che sentiamo stancamente pronunciato in tante occasioni a sostegno delle teorie sulla diversa abilità degli Italiani. Nel risparmio, nella casa, nelle banche e, ovvio, nella ristorazione. Patrimoni e giacimenti che vanno in affanno nelle sale degli orari di punta e dei momenti topici del moto vacanziere e di intrattenimento che ha i suoi rigidi calendari, ma che alla fine peccano della solita materia: assenza di credito. Da parte dei clienti e da parte della critica classificatoria. I primi a seguire mode globalizzanti alla faccia del presunto rispetto del territorio e delle tradizioni, i secondi a spergiurare che è necessario guardare all’aspetto globale piatto-cucina-ambiente-servizio-costi-rapporti ma a condensare tutto in punteggi e ideogrammi ottimi per essere inseriti nelle tabelle dei database e tirare fuori resoconti. E’ il marketing editoriale. Possiamo chiacchierare all’infinito di come sia formato il podio, la top five, la top ten, la top fifty mondo. Ma a chi interessa stabilire chi occupa la 1726ma e la 1727ma posizione?
Adalberto Athos Migliari non lo conoscevo. Nè sapevo della Chiocciola. A Identità Golose si era fermato a salutare Cristina Bowerman e avevamo scambiato le coordinate. Al telefono lo avverto subito: abbiamo 24 lettori, ci piace raccontare e impieghiamo un bel po’ del tuo tempo per farlo. “Nessun problema, ci adatteremo entrambi”. Si arriva la sera prima, in leggero ritardo sulla tabella di marcia causa traffico sulla tangenziale di Bologna. Nel buio annacquato, la Chiocciola è un caseggiato di grandi dimensioni. L’ingresso della cucina è su uno dei cortili. Sull’altro la locanda. Ido, seconda generazione e papà di Adalberto è al ricevimento. Stasera prenderemo le misure, nulla più, con assaggi ridotti. Guardo la carta e il mio dito si gela. Menu Degustazione con carpaccio di tonno, tortino di branzino, scaloppa di fegato grasso d’oca, tortellini con faraona, agnello da latte e “gatò” caldo al cioccolato fondente. Vedo l’indice che mi si polverizza come quelle mummie nei film dell’orrore che beccano in faccia l’esorcista. Qui il paletto è una ridda di crudi di mare e di mazzancolle. Il simpatico Ido non si scompone. E certo, mai fermarsi alla prima locanda. Mi rincuorano le seconde e terze file della lista. Terrina di anguilla, ragù di lumache, rane fritte. Sono lì a testimoniare che le desuetudini fanno poca notizia tanto da essere derubricate ad esotismo poco praticabile rispetto alla normalità stile “dalle Alpi alle piramidi” delle crudité modaiole. Penso, o mi illudo, di aver passato il primo esame di narratore straniero alla ricerca dei sapori perduti. Ido segna: ci penso io. L’aspetto marmoreo della terrina diventa un monumento al piacere di ritrovare l’anguilla. Le lumache della Borgogna fanno parlare internazionale l’animaletto simbolo della trattoria e rientrano nei parametri di una maggiore condivisione del piatto. Tradotto: anche i meno avvezzi alle lumache restano a proprio agio. Il segno dell’accoglienza per chi è forestiero di gusto. Apprezzo l’attenzione. Il risotto prepara al passaggio alle rane. Non ci mette in soggezione nulla. Adalberto e Ido rilanciano con una frittura di rane e non dimezzano la porzione. Ricevono in risposta una foresta di ossicini ammucchiata sulla carta gialla. E poi un assaggio di anguilla a trancio. Che mi riappacifica con molti ricordi. Le misure le abbiamo prese. Gli ultimi commensali di questo giovedì sera vanno via. Ido, che ha il solo cruccio di essersi imbattuto in portatori di pioggia che vanno solo ad acqua minerale, propone almeno un goccetto della buonanotte. E sia. Pedro Ximenez riserva del 1979. Approcciato in Spagna l’estate precedente. Domani faremo un po’ di set. Batracomiomachia. Le rane ci sono. Ma come si dice anguilla in greco? Posso sostituire i granchi con le lumache? Comunque abbiamo un giorno.
Le cose solide piacciono a tutti. E Ido e Adalberto hanno quella solidità che affonda nel percorso di esperienza tramandato di padre in figlio. Terza generazione con trasferimento in questo magazzino per la raccolta delle granaglie della metà degli anni ’60 caduto ormai in disuso. Adalberto ha fatto la scuola alberghiera a Castrocaro Terme, ha studiato all’Istituto Superiore di Arte Culinaria di Sottomarina di Chioggia, ha lavorato in albergo, a Montecatini Terme e ha annusato la cucina di Vissani a Baschi incrociando il suo futuro amico Marcello Leoni del Sole di Trebbo. Dal suo avito locale a Marrana alla creazione della Chiocciola nel 1998 il passo è breve. La squadra è familiare: Ido con la moglie Franca, lui con Arianna. Ad aiutare in sala, la rossa Catia e, ai dolci, Giulia. Manca il secondo che ha seguito il suo amore in quel di Roma e la sostituzione è prevista a breve. Mi preme una domanda. Scusa Adalberto, ma quale significato ha il menu degustazione per la Chiocciola? Pochi giri di parole da queste parti. “Sono stato il primo dei ristoranti intorno a Ferrara a proporre i crudi di pesce e il pesce in genere. Tanti andavano fino al mare per mangiare pesce. E molti si sono fermati qui che è più vicino e io mi sono specializzato sempre di più. Ora sono in tanti a fare il pesce a Ferrara perché alla gente piace. Il crudo è una necessità”. Capito classificatori e database? Serve un doppio tag per la Chiocciola. Il sabato sera rappresenta il 30% della clientela e il 50% del fatturato settimanale. Con un apporto molto consistente del trasversale crudo. Una descrizione tutta incentrata su rane, anguille e lumache è fuorviante, allora? “Questo siamo noi, la nostra storia, il nostro territorio che in parte sono persi e non molti se ne accorgono”. E’ il business che a volte non va d’accordo con la tradizione, rigettata dagli indigeni che cercano di sprovincializzarsi, non compresa dagli altri che se dici lumache pensano alle escargot che fa chic. Sembra l’abbandono dei centri storici per andare ad abitare nella case di cemento comode, funzionali e tutte uguali. A meno di non dipingere facciate in colori improbabili.
Fortuna che qualche baluardo ancora resiste ai marosi del déjà-vu e della critica super elitaria che salva in poche scialuppe l’equipaggio del Titanic che dice stia affondando. Adalberto è abituato a remare e lo fa con forza e intelligenza. Prendiamo le rane. Fritte per me sono sempre state una prelibatezza con quel giusto tocco di esotismo. Alla Chiocciola le servono come secondo piatto e, pungolato da quel menu degustazione a uso dei residenti, chiedo perché quella posizione. Tradizione. Ecco, forse quella andrebbe cambiata. Un antipasto veloce, gustoso, una frittura più leggera. Cito Cristina Bowerman e il suo piccione antipasto che ha sbancato le abitudini di molti commensali impauriti di fronte a un secondo piatto troppo sconosciuto. Certo, molto è cambiato, mi segue Adalberto, e le stesse rane non sono più quelle dei canali che si pescavano con i collant. Vietato pescare rane di notte, ma tanto non ce ne sono più e non c’è più il vecchietto che le prendeva e aveva il suo bel cilindro di grande diametro interrato in cui riponeva l’eccedenza. Viva, ovvio, che non poteva balzare fuori senza un appiglio. Oggi c’è l’allevamento e la macellazione fatta da ditte dedicate che accosciano le rane pronte per essere fritte. Ma c’è allevamento e allevamento. E soprattutto rane fresche e rane congelate. Quelle fresche le riconosci dal ginocchio libero perché il legamento si scioglie.
O prendi la salama da sugo che alla Chiocciola fanno in casa. Vigorosa con la sua pelle umida, il profumo forte e il sapore intenso. Da assaporare a tocchetti consci che ci vogliono un bel po’ di mesi di stagionatura e una cottura che si aggira sulle 6 ore. Qualche eretico la mette con le lenticchie come se fosse un super cotechino. Ma eviterei questo utilizzo improprio. E anzi l’ho gustata in purezza come intermezzo durante le preparazioni.
O vogliamo parlare delle lumache? Sulla terra umida intorno alla Chiocciola avanzavano in gran numero. Ma anche qui non vi aspettate una filiera cortissima, da giardino. Ragioni sanitarie e di macellazione conducono all’allevamento. E il discorso della qualità non cambia. Come il rispetto della macellazione per evitare le iatture degli animalisti che hanno indicato un percorso di minore sofferenza per l’animaletto. Quelle della Chiocciola provengono dalla Euro Helix di Cherasco. Prodotto fresco che Adalberto prepara in diversi modi. Tra i secondi, il piatto che consiglierei: Stufato di lumache ai funghi pleurotus con cubetti di fegato grasso d’oca e budino di parmigiano reggiano di 36 mesi. Un accostamento che potrebbe generare qualche timore. Ma non a me che ho chiesto una scaloppa per intero.
Direte: va bene che ci vuole a far diventare buona una lumaca mettendoci foie gras e parmigiano reggiano? E allora bisogna assaggiare il ragù bianco di lumache, preparato sì con guanciale e parmigiano ma con un gradiente di lumache veramente alto. Buonissimo, da non perdere, con mamma Franca che ha le giuste proporzioni di sapori nelle mani esperte.
Stiamo scadendo nell’ovvio? Vi sentite come alla trattoria fuoriporta durante la gita del ponte di apertura estiva? E allora beccatevi l’innovazione intelligente di cui Adalberto è capace con l’armonica Terrina di anguilla con pesto di olive taggiasche. La lavorazione nel cilindro per conferire all’anguilla l’aspetto di terrina alleggerisce l’impatto della parte grassa e costruisce un piatto di buona modernità anche dal punto di vista estetico. Un antipasto che nel menu degustazione andrebbe alla grande come già riesce a fare dalla sua terza posizione in lista. E se anche dovessi fare un raffronto economico, questo sarebbe a favore del cliente. Terrina di anguilla a 18€, crudi di pesce a 28€, capriccio di tonno a 22€. Partita chiusa anche per gli amanti del calcolo e dei rapporti euri mangiati.
Ovvio che nel mio tour gustativo non potrebbe mancare un classico che più classico non si può. L’anguilla a tranci cotta al forno. Per un napoletano, l’anguilla e il capitone sono il panettone di Natale. Trovandosi nella terra di Comacchio, come potresti scansare la grassezza per eccellenza? E qui Adalberto supera tutti gli steccati di un sol balzo rendendo leggero il pesce che non lo è. Lavorazione che nasce dall’esperienza di anni e appunto di generazioni. Mi rendo conto che due righe non potranno mai riempire un percorso di conoscenza e difatti rimandiamo a un altro articolo per riportare alcune ricette gustate alla Chiocciola. L’anguilla, anche lei, non è più quella del tempo che fu. Persa nei meandri di una pesca sempre più sostenuta e dalla nascita di un OGM naturale dovuto all’incrocio con una razza orientale, che non permette più alle uova di scendere alle grandi profondità nei Sargassi, e avviare il ciclo di riproduzione, viene intercettata allo stadio di “ceca” sull’Atlantico francese. Poi trasferita dalle vasche di allevamento francesi a quelle dell’Adriatico dove diventano anguille da tavola. Sempre più rara, soprattutto il capitone che in pratica è l’anguilla con la scorta di grasso necessaria per affrontare il viaggio di 5mila km in direzione Sargassi, l’anguilla ha sofferto maggiormente la pesca intensiva che l’inquinamento. “Non se ne vedono più che strisciavano sull’erba per correre da canale a canale e rispondere al richiamo di quel mare lontano”, spiega Adalberto. “Nè ci sono più le domeniche trascorse da noi bambini con la pescarina a cercare di tirare dall’acqua le scardole, mentre mio padre conficcava sull’argine un grosso chiodo da falegname con un filo grosso messo in tensione da un sughero e su cui venivano agganciati una serie di ami il cui movimento attirava le anguille”. L’allevamento è una soluzione sempre più accettata ma bisogna saper scegliere per evitare di portare in tavola una polpa sfarinata che nessun metodo di cottura riuscirà a rendere gradevole. I meno esperti potranno solo comprendere che una pancia bianca indica una vita trascorsa su fondali sassosi, mentre un tono verde denuncia fondali limacciosi.
Chiudo con la nota del dolce che attira l’attenzione: una crema caramellata al Parmigiano Reggiano con gelato al sedano e gocce di riduzione di Aceto Balsamico. Sarà la strada indicata sempre con più insistenza da Massimo Bottura riguardo al confine tra dolce e salato, ma questa portata mi piace di più per il peso del salato che per la freschezza del gelato. Il gateau caldo al cioccolato al cospetto diventa uno sparring partner utile a non deludere le aspettative di comande rassicuranti.
E quanto vale la cucina della Chiocciola? Se fosse per il menu degustazione di pesce (buono come abbiamo provato piluccando qualche uscita dall’abbattitore tra cui uno scampo di Manfredonia) non mi affretterei a cambiare strada per raggiungere Quartiere di Portomaggiore. Ma le sue desuetudini alimentari sono da coltivare e quindi la deviazione vale tutto il tempo che si potrà dedicare considerato che la Chiocciola ha anche una locanda, ovvero alcune camere dove poter pernottare in assoluto agio e rifocillarsi la mattina con una bella colazione (se non avete problemi con il salato, salama!). Al totalizzatore della Guida dell’Espresso monetizza un 14 che per me, amante delle cose elementari, suona come un 7 in pagella. Compito fatto bene. “Anche se ho perso mezzo punto, da 14,5”. Ci sta, hanno rivisitato i punteggi nella fascia di avvio e probabilmente è un riequilibrio. O forse hai perso qualcosa da qualche parte, tipo il servizio in affanno. “Lo sai cosa non capisco?” Dimmi. “Qual è il quid che ti fa la differenza di mezzo punto. Se te la spiegassero, forse si potrebbe migliorare”. E’ un’idea, ma forse dovrebbe essere già chiaro al ristoratore. Parliamo di guide, mica di sussidiari o di abbecedari. Forse non c’è spazio didattico. Quella si chiama consulenza, non critica. Partita diversa. Anche se or ora ho consigliato ai miei 24 lettori di assaggiare la Chiocciola.
Trattoria & Locanda la Chiocciola. Via Runco 94/f. Quartiere Portomaggiore (Ferrara). Telefono +39 053.2329151. www.locandalachiocciola.it
Foto: Francesco Arena