Ristoranti. Un Riccio delizioso sull’isola di Capri
Pensi a Capri e ti viene in mente la bellezza. E subito dopo ti viene in mente il lusso. Perché la bellezza costa cara. A volte. Quasi sempre. E a noi viene in mente anche che a Capri, nonostante i prodotti meravigliosi, la terra ferace, il clima propizio, il mare pescoso, abbiamo spesso e malvolentieri mangiato male.
Se siamo a Capri sappiamo che un caffè al tavolino può costarci 4 euro. Quindi per una cena a base di pesce mettiamo in conto un costo intorno ai 100 euro. Il problema, oltre alla tasca che urla di dolore, è che spesso la cena non li vale.
Al Riccio, ristorante e beach club dell’hotel Capri Palace che ha di recente affiancato il più celebre L’Olivo, la location li vale di sicuro. A picco sulle rocce sovrastanti la Grotta Azzurra, talmente a picco che sembra di essere sospesi sul mare, ci accoglie su una terrazza in bianco e azzurro, molto mediterranea, un po’ greca, un po’ portoghese, un po’, diciamolo pure, caprese, con le sue piastrelle bicrome e un guizzo di giallo qui e là.
D’un tratto ci rendiamo conto che la bellezza di questi luoghi la diamo per scontata, perché ci è familiare da sempre, e proviamo a immaginare come possa sopraffare lo sguardo di un viaggiatore proveniente dal Nord Europa o dal Nuovo Continente, un moderno Goethe esploratore gourmet.
Il riccio che dà il nome al ristorante è ovunque: nei vasi di vetro sui tavoli come nei piatti di ceramica e sulle parannanze dei camerieri, ma è il mare tout court a farla da padrone nel paesaggio e nel piatto.
Declinato nelle sue forme più tradizionali, senza particolari velleità creative, trionfa nelle grigliate di pesce e nelle insalate di mare, nei plateau di frutti di mare crudi, nel classico risotto alla pescatora e negli ancora più classici spaghetti alle vongole, perché in fin dei conti se la materia prima è freschissima e di grande qualità i sapori si impongono all’attenzione da sé, purché vengano trattati con cura e attenzione.
Deve pensare questo, lo chef Andrea Migliaccio, già visto all’opera al Bikini, durante la Festa a Vico, tra gli chef emergenti. Ha già un’interessante storia alle spalle, malgrado la giovane età: si è formato per cinque anni accanto ad un signore di nome Oliver Glowig e ha lavorato a Roma, Cortina, Firenze, prima di approdare in questo scenografico ristorante nato nel luglio del 2009 dalla ristrutturazione del precedente “Add’o riccio”. Sembra uno con i piedi per terra, e sa che si può osare in cucina dopo aver dimostrato di sapersi destreggiare alla perfezione con la tradizione, perciò con Roberto Bonetti, affabile e cortese responsabile di sala, ti promette una cucina di rassicurante classicità che ti fa apprezzare pienamente la qualità del pesce.
Cura e attenzione, dicevamo. Ci sono.
Fin dall’ingresso una “spasa” (per i non napoletani, leggasi “distesa”) di pesce fresco e luccicante ammalia da un lungo bancone di vetro e legno azzurro a cui ci si può accomodare per cominciare ad assaggiare il pesce crudo o semplicemente per osservare i cuochi all’opera con le griglie.
Noi invece sediamo ad uno dei tavoli apparecchiati con candidi chemin de table di lino, ci godiamo i colori dell’arredo e quelli del paesaggio e scegliamo dalla carta alcune delle proposte di Migliaccio: il fritto misto all’italiana, croccante, asciutto e vario, le gustose linguine all’astice e i delicati spaghetti con i ricci in versione “rossa”. Ci piace la cottura impeccabile della pasta, ci piace il sapore fresco e pulito del pescato. E ancora, chiediamo una frittura di pesce per sentirci rispondere che bisogna verificare cosa il pescatore, appena arrivato, abbia portato. E ci viene servito un fritto insolito che, accanto ai consueti gamberi e calamari, vede filetti di pesce bandiera e piccoli tranci di palamito: eccellente.
A fine cena ci sembra d’obbligo visitare il buffet dei dolci, collocato in una pittoresca saletta accanto alle scale che conducono al beach club: anche qui è la tradizione a dominare. Dolci buoni e corretti: sfogliatelle ricce e frolle, delizie al limone (seppure rivisitate nella forma), babà con fragoline, torta caprese e anacaprese, crostatine di frutta e pastiera.
E tutto l’insieme ci lascia un’impressione di conforto. Confortante la bellezza, confortante il cibo, confortante pure la tradizione, che non va necessariamente rivisitata e sicuramente non va stravolta.
E’ confortante, soprattutto, che al Riccio non si dimentichi mai la concretezza delle radici marinare: non è di questo che va in cerca chi si avventura fino a questo angolo d’isola aggrappato alle rocce, non rassegnato alla sciatteria della cucina per turisti?
[L. Capasso. G. Esposito. Alcune foto sono tratte dal sito de il Riccio]