L’oro di Napoli/2 La cucina del Giappone secondo Kukai Nibu
E così, dopo una pizza quasi subìta, sono riuscita a conquistare la fiducia di Sofia e, dopo le gastro-pizze di Enzo Coccia, me la sono portata nientepopodimenoche da Kukai Nibu – Total quality japanese cuisine.
Quando ho detto a Sofia che volevo portarla lì, mi ha guardato torva, già il nome la indispettiva. Dopo averle confessato che si trattava di cucina giapponese in un ristorante di design, ho quasi pensato che mi desse il mattarello in testa. L’ho vista sorridere solo quando le ho parlato dell’ubicazione del ristorante: Via De Cesare alle soglie di quei Quartieri che lei tanto ama, e vicina vicina a Piazza Trieste e Trento, lì, sopra a Via Roma, anzi Via Toledo.
Comunque, vuoi o non vuoi, ce l’ho portata e vi dirò, penso proprio ca s’addiviertije.
Il posto, intanto, le è piaciuto. Anche se è minimal, scuro, con specchi di vetro che incombono dal soffitto. Ha gradito assaje stare seduta sulle uniche poltroncine rosse della sala superiore, appena sotto la bellissima cucina tutta in vetro trasparente.
Secondo me si fittiava pure nu pucurill’ (guardava con un certo interesse) il cuoco from Japan.
Ma è stato quando ha visto il patron Massimiliano Neri – ideatore insieme alla sorella Monica di questo topos fuori dal tempo e dallo spazio napoletano – che le si sono davvero sgranati gli occhioni.
Mo’ solo perché è un ex SuperTopModel, neh ma che d’è, Sofì!
Ma non voglio denigrare l’amica mia e allora devo pure dire che, se inizialmente era piuttosto tiepida e rimpiangeva le vetrine di Luise davanti alle quali eravamo passate, poi dopo, piano piano…
Il nostro pranzo (che la mattina si sta più tranquilli con tutto vantaggio anche dei tempi di attesa per il servizio, gli stessi che la sera possono diventare davvero heavy rock) è iniziato con un aperitivo di fave di soia al burro, carinissime da sgranare e tipiche, accompagnate da due calici di bollicine nazionali.
Non è mancato, prima, il ‘rito’ del lavaggio delle mani con delle graziosissime pasticche che sono delle tovagliette disidratate che rinvengono grazie all’acqua profumata versata con eleganza dalla cameriera.
Abbiamo poi continuato con una classica tempura mista di pesce e verdure accompagnata da una salsetta di soia più slegata e meno sapida; un misto sushi, un must per un esordiente del giapponese, e dei ebi ten roll, cioè gamberoni black tiger in tempura con avocado in salsa di soia e mele, che a Sofia sono piaciuti moltissimo. E anche a me, che li adoro da sempre.
Questa prima fase del nostro pranzo di Babette, anzi di Madama Butterfly direi, vista la location, è stata accompagnata, meglio bagnata, da acqua liscia e, soprattutto, da una bella bottiglia di Shiro, il vino bianco integralmente realizzato per Kukai Nibu dalle cantine Villa Matilde, primo vino insieme al rosso Aka ideato appositamente per accompagnare la degustazione di piatti giapponesi. Shiro, che in giapponese significa bianco, è un blend a base di uvaggi autoctoni campani, a prevalenza Falanghina, che ben si sposa con le preparazioni più delicate, specificamente con i sashimi di butterfish, salmone e gamberi.
In spregio al pericolo e alle calorie, abbiamo poi proseguito con un trittico d’oro: teppanyaki di pesce (un misto di pesce e verdure cotte sull’omonima piastra, preparazione tipica giapponese); hamachi yaki (dell’ottima ricciola del Pacifico con verdure cotta in salsa yakiniku, una salsa di soya, mirin, mele, e dashi) e, per finire, l’eccellente Black cod tartufato, merluzzo nero dell’Atlantico in salsa teriyaki e scaglie di tartufo nero accompagnato da riso con salsa teriyaki e insalatina. Una vera e propria poesia, alla quale neanche Sofia ha potuto negare un sorriso.
Nel mentre rapido cambio di vino: Aka, rosso, per noi: un blend a base di Aglianico dal forte retrogusto tostato. Un sentore cercato per similitudine ai sentori del sesamo, protagonista di tante preparazioni della cucina giapponese.
Per terminare un gustoso sorbetto di kaki (e qui la sorpresa: “I kakìs!”, ha urlazzato Sofia, e Massimiliano, gattesco, le ha detto che noi napoletani siamo quelli che li chiamiamo nel modo più corretto: i giapponesi proprio kaki li chiamano). Il sorbetto dolce, ma non abboccato, fibroso al punto giusto, ha piacevolmente sgrassato le nostre avide boccucce.
Sofia, a questo punto, probabilmente per urtarmi, ha detto che voleva concludere con una bella sfogliatella e già stava iniziando un parallelo tra Mary in galleria e Pintauro (mi pare di capire che le frolle fossero meglio dalla prima, a suo giudizio).
Ma io l’ho fregata: avevo già ordinato due splendidi dolci: il tortino al cioccolato fondente Maccha Keki, a base di the verde e quello al cioccolato bianco Anko Keki, a base di crema di Anko (e cosa sono non ve lo dico, perché altrimenti, per preconcetto, non lo provate).
A questo punto ho voluto dare il colpo di grazia a Sofia e farle ammettere che tutto le era più che piaciuto davanti ad un bicchierino di sake, casomai ghiacciato, ma, come i proverbiali pifferi, sono stata suonata: Massimiliano e Monica ci hanno offerto una mini bottiglia di Pommery.
Gentili direte Voi, no, straordinari!!
Ché la bottiglia bevuta (quella da due bicchieri, ma esiste anche la regolare), è brandizzata Kukai, unico ristorante al mondo ad avere la propria bottiglia di Pommery.
Che chiccherie!
Prima di rischiare di essere brandizzate anche noi e dopo aver bevuto un ottimo the verde offerto in una bellissima teiera di ghisa, salutiamo Massimiliano Neri.
Sofia si è fatta dare il numero di telefono, non mi è ancora chiaro il perché…
Kukai Nibu.Via Carlo de Cesare n. 52. 80132 Napoli. Tel.: +39 081.411905