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2 Maggio 2012 Aggiornato il 21 Aprile 2014 alle ore 09:27

World’s 50 Best 2012. I 15 minuti warholiani concessi agli altri 49

The World's 50 Best Restaurants. Una classifica senza criteri di valutazione (William Drew, Editor della rivista Restaurant che organizza gli Oscar), una
World’s 50 Best 2012. I 15 minuti warholiani concessi agli altri 49

The World’s 50 Best Restaurants. Una classifica senza criteri di valutazione (William Drew, Editor della rivista Restaurant che organizza gli Oscar), una sorta di elezione da parte di “esperti” (Enzo Vizzari Repubblica), Me ne andrò dalla giuria (Stefano Bonilli, Gazzetta Gastronomica), Gli dei della cucina italiana, dimezzati (Marisa Fumagalli, Corriere della Sera). È calato il sipario sulla più mediatica delle guide gastronomiche che si conoscano, quella il cui peso dovrebbe essere prossimo allo zero secondo una parte della critica (che non è a Londra?) e una parte degli chef (forse quelli che sono oltre il 100mo posto) ma se il n°1 al Mondo dice il contrario qualche fondamento di credibilità ci sarà (a meno di non prendere in considerazione l’isteria collettiva o la metrica delle quantità).

 

Come in ogni classifica che si rispetti, il Numero Uno passa alla gloria dell’Albo d’Oro. Poi ci sono il podio con le tre medaglie, la Top Five, quindi la Top Ten, la Top degli esclusi, la Top dell’Upgrade, la Top del Downgrade anche detta il capitombolo più rumoroso, quelli che resistono di più in classifica (Pierre Gagnaire, lo ha sottolineato in lungo e in largo per la sua decima presenza continua), quelli che hanno impiegato meno tempo ad arrivare in cima e assimilati (Dinner di Heston Blumenthal, of course), la nazione meglio piazzata (Spagna, anche se Jordi Roca – 2°-  ha detto che la classifica è anacronistica e non risponde ad alcuna logica…) e via dicendo.

Di chiavi di lettura ce ne sarebbero un paio di etti, almeno quanto le incazzature che si sono presi tutti quelli che per un motivo o un altro non sono al posto che loro spetterebbe (insomma, quasi come in ogni guida o classifica che abbia un giudice). Per dire:

Abbacchiati gli Inglesi. Nel 2005, 13 dei 50 Best erano inglesi. Nel 2012 ne sono rimasti 3 di cui due dello stesso chef, Heston Blumenthal. Colpa della crisi o, come insinua il Guardian, i votanti con passaporto britannico sono meno nazionalisti degli altri?

Ma insomma, dov’è la festa? In USA e Spagna. Entrambi i paesi hanno ben 3 ristoranti nella top ten. Più numerosi i locali Usa,  8 in tutto, mentre la Spagna ne conta (solo) 5. In compenso, però, sul podio ci sono 2 spagnoli che salgono a 3 se si prende in considerazione la Top Ten che conta anche la chef donna premiata.

Asia, continente emergente. Con 6 presenze l’Asia è pronta per il grande salto: ospitare il nuovo Asia’s 50 Best Restaurants, atteso per febbraio del 2013 a Singapore. Viene il sospetto che la lista sia il riflesso della situazione economica globale. Emergente in Asia, declinante in Italia. In recessione nel Regno Unito.

Luci e ombre sulle capitali. New York e Parigi hanno ciascuno 5 ristoranti, Londra solo 2 al pari di metropoli “minori” come Mexico City, San Sebastian, Stoccolma e Tokio. Copenaghen ne ha solo uno… il primo! E Roma? Perché girare il dito nella piaga?

Alla fine, meglio guardarli questi 50 Best, fotografati con brevi istantanee girando per la rete, curiosando tra le schede istituzionali e le recensioni.

1. Noma, Danimarca. Il ristorante del giovane genio, primo per il terzo anno consecutivo, René Redzepi. Colui che ha il pallino della sostenibilità e dice: “La cucina come piacere non è nella tradizione protestante”. Cucina rivoluzionaria la sua, anche in questo.

2 El Celler de Can Roca. Spagna. Il ristorante con al timone tre fratelli serve olive caramellate portate in tavola su un albero di bonsai. Ingredienti catalani al centro del menu.

3. Mugaritz, Spagna. Due menu degustazione che cambiano ogni giorno perché al cliente non si nega niente. Dev’essere Adrià che ha fatto scuola. Sforzi titanici ben ripagati.

4. D.O.M. Brasile. Ingredienti dell’Amazzonia, succhi e radici della foresta pluviale nel menu.

5. Osteria Francescana, Italia. Lo hanno presentato così il Massimo nazionale: “Pochi chef sono capaci come lui di bilanciare tradizione e modernità. Un pasto all’Osteria Francescana può cominciare con un semplice piatto di coppa per proseguire in piatti più complessi che giocano con la cucina tradizionale dell’Emilia-Romagna”. Per essere uno sguardo “da lontano”, ci hanno preso.

6. Per Se. Usa. Il menu varia ogni giorno. Il suo patron, Thomas Keller, oltre a fare collezione di premi (ha preso anche il premio alla carriera) nutre l’élite newyorchese che mangia guardando le cime degli alberi Central Park.

7. Alinea. Usa. Lo chef Grant Achatz è il secondo chef degli Stati Uniti. Pesce e crostacei la sua specialità. E il ricordo della cucina molecolare dell’insuperato Adrià.

 8. Arzak. Spagna. Padre e figlia uniti intorno ai fornelli dove prendono vita ricette della cucina basca. Ma anche multisensorialità e piatti serviti sullo schermo di un computer. Fanno collezione di premi da questa parti: Elena Mari si porta a casa anche il Veuve Clicquot Best female Chef 2012.

 

9. Dinner by Blumenthal. Regno Unito. La new entry più alta e il meglio piazzato tra i ristoranti del Regno Unito. E pensare che poco più di un anno fa il Dinner, gastrobup in location lussuosa e ricette medievali a go-go, era solo nei progetti di Blumenthal.

10. Eleven Madison Park. Usa. Un balzo di 14 posti nella 50 Best e da una a 3 stelle Michelin in men che non si dica. Lo chef Daniel Humm si è inventato un format in cui i clienti scelgono un ingrediente principale per ognuno dei quattro piatti del menu.

11. Steirereck. Austria. Nella romantica Vienna, un locale con una lista dei vini che non finisce più (35 mila etichette) e vista di tutto rispetto sul fiume. Piatti riesumati dal dimenticatoio ne fanno autentici messaggeri di Slow Food nel mondo. E infatti il ristorante si è aggiudicato il premio Slow Food Uk.

12. L’Atelier Saint Germain de Joel Robuchon. France. Quest’anno festeggia 10 anni. In cucina il mito, tra i tavoli la cucina francese in atmosfera informale.

13. The Fat Duck. Regno Unito. Il campione della cucina molecolare flette dal 5° al 13° posto ma si consola con Dinner, che passa da 0 a 9.

14. The Ledbury. Regno Unito. Chef australiano, servizio in sala di primissimo ordine. Un vero volo, in provenienza dala 34^ posizione.

15 Le Chateaubriand. Francia. Il cool fatto ristorante, che più toglie tovaglie e più sale nel gradimento dei gourmet in fuga dagli orpelli. Inaki Aizpitarte è il guru irriverente e ombroso di questa filosofia “democratica”. Che però incassa un -6 e fa gioire i detrattori sparsi ai 4 angoli d’Italia.

16. L’Arpège. Francia. Niente carne rossa esce dai fornelli di Alain Passard, una passione per il biologico e il biodinamico. Tre stelle Michelin, da 8 anni nella lista dei 50 Best. Magari aiuta anche essere (quasi) vegetariani: guadagna 3 posizioni.

17. Pierre Gagnaire. Francia. Da 10 anni nella lista dei 50 Best, autentica leggenda della cucina francese. E lo sottolinea in tutte le dichiarazioni.

18. L’Astrance. Francia. Il flessione dalla 13^ posizione questo locale senza menu, dove lo chef prepara quello che piace ai clienti.

19. Le Bernadin. Usa. Torniamo negli Stati Uniti, di nuovo a New York. Per qualcuno il migliore ristorante di pesce del mondo. Possibilmente crudo, sempre sostenibile.

20. Frantzen/Lindeberg. Svezia. La seconda new entry a Stoccolma, incontro tra la cucina nordica e l’asiatica.

21. Oud Sluis. Olanda. Serve ostriche da tre generazioni.

22. Aqua, Germania. Prende 3 posizioni. Sarà per via dei suoi epici dessert?

23. Vendôme, Germania. A dispetto del nome, niente French cuisine. Qui si cucina alla maniera tedesca, con ingredienti locali, quindi… tedeschi.

24. Mirazur, Francia. Un grande orto per un grande ristorante, da 3 anni nella lista dei 50 Best. A Mentone lo chef argentino Mauro Colagreco crea i suoi piatti di pesce utilizzando 250 erbe e fiori locali. Facendo il verso alla cucina provenzale.

25. Daniel, Usa. In caduta libera dall’11° posto resta pur sempre un grandissimo indirizzo a Manhattan. Tra i fornelli Daniel Boulud, chef francese che della Francia ha portato con se anche l’opulenza.

 

26. Iggy’s, Singapore. L’Asia che avanza anche se questo ristorante nella lista dei 50 Best ci sta già da 4 anni. Best restaurant in Asia 2012, porta in Asia l’aria della cucina europea. Con un inevitabile non so che di Estremo Oriente.

27. Narisawa. Giappone. Carambolato dalla posizione n. 12, in cucina lo chef che ha fatto le valigie a 19 anni per studiare alla corte dei più grandi di Francia: Robuchon e Bocuse. Ristorante francese nella sostanza, giapponese nel decoro.

28. Nihonryori RyuGin, Giappone. Cucina giapponese senza integralismi e con qualche concessione all’avanguardia.

29. Quay. Sydney. Il regno di Peter Gilmore, Best restaurant in Australasia. Da prenotare con largo anticipo, magari, visto che ha solo 26 coperti.

30. Schloss Schauenstein. Svizzera. Un’acquisizione recente nel panorame dei grandissimi: 3 stelle Michelin da poco, nella lista dei 50 Best da tre anni. Una cucina spontanea tra le mura di un piccolo un castello.

31. Asador Etxebarri. Spagna. Il regno del grill. Alla brace qui fanno di tutto, persino il gelato.

32. Le Calandre. Italia. Saldi nella stessa posizione, i fratelli Alajmo guidano un 3 Stelle Michelin che nell’immaginario collettivo è il  mitico risotto allo zafferano con polvere di liquirizia.

33. De Librije. Olanda. Cucina franco-olandese servita nella suggestiva location di un’abbazia dominicana. Ingredienti locali e stagionali: Jonnie Boer è un dei folgorati sulla via della sostenibilità in cucina.

34. Favichen. Svezia. New entry, minuscolo ristorante defilato dalle rotte turistiche entrato nel cuore dei gourmet globali. Se ordini il cuore di bue te lo estraggono direttamente al tavolo con una sega.

35. Astrid y Gaston. Perù. Sale di 8 posizioni Gaston Acurio, oscillante tra l’alta cucina internazionale di ispirazione peruviana e la tradizione locale.

36. Pujol. Messico. Sale anche Enrique Olvera, una delle quattro presenze sudamericane, al suo secondo anno tra i 50 Best.

37. Momofuku Ssam Bar. Usa. Uno chef coreano a New York, cibo “d’impatto”, l’anatra al centro del mondo.

38. Biko. Messico. Cucina basco-messicana e due menu: creativo e tradizionale.

39. Waku Ghin. Singapore. 25 posti a tavola, cucina giapponese con influenze europee, uno chef per ognuno dei quattro ambienti, questo ristorante-rivelazione asiatico è sul mercato da meno di 2 anni.

40. Quique Dacosta. Spagna. Lo spirito dell’avanguardia spagnola vive in questo ristorante della Costa Blanca. Lo chef che dà il nome al locale ha un debole per le piante rare come il cactus ma anche per la cucina spagnola tradizionale e per l’ambiente.

41. Mathias Dahlgren. Svezia. Ingredienti locali al servizio di una cucina internazionale. Ci si va anche anche per assaggiare il suo sashimi scandinavo. Il menu, poi, lo consulti sull’iPad.

42. Hof Van Cleve. Belgio. Da 7 anni nella lista dei magnifici 50, è crollato dal 15° al 42° posto.Ottima cucina a parte, una cura eccezionale per la presentazione, maniacale nei dettagli.

43. The French Laundry. Il ristorante di Thomas Keller, location country, a occhio tra i più cari degli Stati Uniti (il menu degustazione supera i 250 dollari). Cucina francese nel cuore della Napa Valley. Ergo, carta dei vini tutt’altro che ordinaria con oltre 220 etichette.

44. Amber. Cina. Altro exploit asiatico, Lo chef è Richard Ekkebus, olandese con un apprendistato francese che opera all’incrocio di influenze plurime: Australia, Giappone e, appunto, Francia.

45.Vila Joya. Portogallo. Lo scenario è quello della costa dell’Algarve. Bistellato catapultato nella lista dei 50 Best, unisce ingredienti locali e tecniche della cucina nordeuropea.

46. Il Canto. Italia. La terza presenza italiana è il tempio di Paolo Lopriore dove i classici della cucina toscana deviano sempre verso un altrove.

47. Bras. Francia. Erbe selvatiche e fiori fanno miracoli in cucina. E questo da tempi non sospetti. Precisa il sito dei 50 Best: “Al Bras hanno scoperto le erbe selvatiche e le verdure sconosciute quando Redzepi andava ancora a scuola”.

48. Manresa. Usa. Modesti in tutto: ingredienti locali, location senza pretese, una cucina che non vuole stupire. Intanto per il secondo anno sono finiti nella top 50.

49. Geranium. Danimarca. Rasmus Kofoed, già Bocuse d’Or 2011, è un portento di chef al timone di una cucina che pratica la religione del territorio. Multisensoriale.

50. Nahm. Tailandia. Con questo locale lo chef australiano David Thompson ha fatto il bis di cucina Thai. Passare, con successo, da Londra a Bangkok, nel regno della cucina tailandese, non era una sfida dal risultato scontato: missione compiuta.

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[Fonte: guardian.co.uk, theworlds50best.com Foto: Andrea Sponzilli, delish.com, carpediemclub.wordpress.com, lesoste.it, The World’s 50 best Restaurants sponsored by S.Pellegrino & Acqua Panna, The Guildhall, London 30 April 2012.]

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