IBF Roma. 20 birrifici e la conferma dei soliti ottimi noti
Quinta edizione dell’ Italia Beer Festival Roma, per la seconda volta all’Atlantico/Ex PalaCisalfa con l’unica differenza, rispetto all’anno scorso, che non piove e perciò si registra un lieve calo di partecipazioni. Più di 20 i birrifici presenti, ma in una struttura come l’Atlantico e con un pubblico non massiccio, il colpo d’occhio era un po’ triste. Sembrava vuoto, peccato davvero, anche perché a me poi il casermone, come è stato definito in altri lidi del web, non dispiace.
Iniziamo dalle cose positive, il cibo. Dopo 4 anni di panini stitici a prezzi satolli, abbiamo avuto uno stand ristoro all’altezza, con una ruota panoramica con appesi qualcosa come 100 stinchi di maiale ad arrostire. Quanto alle birre, nessun nuovo artigiano presente, poche le novità e tutte le conferme dai soliti noti.
Inizio dalla birra che più mi ha conquistato, la Kilo Watt di Toccalmatto (miglior birrificio italiano per il 2013 su Ratebeer), una IPA da ben 8, dico 8° signori ma di un equilibrio e di una bevibilità da bollino rosso, luppoli americani tra cui il Mosaic di recente utilizzo. Bruno Carilli l’ha presentata come one shot, ma il successo di pubblico dice lo costringerà a tenerla nella produzione regolare.
Continuo con le degustazioni che ho gradito e torno nel Lazio da Turan che ha presentato la Dry Hard, una Belgian IPA (il belgian lo danno i lieviti) con un dry hopping massiccio col luppolo Citra a dominare senza strafare, bilanciatissima e bevibile a oltranza nonostante i quasi 8°, anche questa sembra una One Shoot, speriamo la mantengano perché merita. Questo IBF mi ha dato soddisfazione alle alte gradazioni, e saliamo ancora.
Opperbacco e la sua Overdose, nata in collaborazione col Birrificio Dada e Foglie d’Erba ma qui presentata in una versione più autoctona, 9.5° e ben 409 IBU, per chi non lo sa l’ IBU è l’indice dell’amarezza; sopra i 100 il palato non riconosce le differenze. Una birra fenomenale anch’ essa, e rimanendo da Opperbacco cito anche la Bianca Piperita, una Blanche (tipologia a me avversa) aromatizzata alla menta piperita e miele d’ acacia locale abruzzese, buona come una cosa buona, la lieve freschezza della menta e il dolce del miele si esaltano e riducono la classica punta citrica delle Blanche in un armonia sul palato che poche fanno.
Rimaniamo in Abruzzo, Maiella e la sua Emigrante, una APA poco American molto particolare. Al naso anziché la classica botta agrumata dei luppoli arrivano sentori di miele. In bocca equilibrata tra il dolce dei malti e l’amaro dei luppoli. Il tutto in soli 4.5°. A volerle proprio fare le pulci, peccato per il sapore che sparisce presto dalle papille, ma considerando come è stata creata e con che volontà, è una sua caratteristica e non un difetto. Me ne hanno parlato tutti, e allora sono andato dai fratelli Cerullo di Amiata e ho assaggiato questa Yrgalem, brassata con l’aggiunta del caffè etiope omonimo. Birra al caffè… sarà una Stout, e invece no! Trattasi in vece di alta fermentazione chiara, una bella Pale Ale all’inglese da 4.5° dal finale amaro ma non troppo e agrumato. Poco il luppolo presente e gli aromi derivano proprio da caffè, a confermare il tutto una bella pippata del caffè suddetto che ti lascia stupito dai profumi che emana. Ottima davvero.
Non contento di Rimini, ho riassaggiato la Helles Diablo, cooperazione tra Amiata e Croce di Malto aromatizzata al peperoncino che non mi era piaciuta… dietrofront, errata corrige, mi pento mi dolgo, mia colpa mia colpa mia grandissima colpa, birra particolare ben speziata ben bilanciata e godibile, a questo punto penso che a Rimini l’assaggiai col palato ormai fuori uso mentre questa volta è stata tra le prime che ho bevuto. Ma birracce? Mi son capitate anche quelle, senza definirle così diciamo che non mi è piaciuta la Bitter di Doppio Malto (sorvoliamo sul nome), diciamo che di bitter aveva poco. Sono rimasto un po’ così, diciamo interdetto, dalla Golden Ale di Retorto, la Teen Spirit, sapeva di poco, mentre la Blanche Latte Più, nonostante il mio non amore per le belga al frumento, devo ammettere che era buona.
Stessa opinione sulla Entropia di Hibu, Golden Ale anch’essa e pure questa non pervenuta. Ho lasciato in coda la vera guest star dell’ IBF romano, Il Monarca! Presente il Birrificio di Lambrate, quando ho letto la sua presenza mi si sono rizzate tutte le papille sulla lingua. Ho iniziato con la loro American Lager, la drago verde (il nome è la risposta meneghina dei nostri “nasoni”, le fontanelle pubbliche), per poi riconcedermi all’ Ortiga. Il Monarca è stato gran mattatore dentro e fuori o stand! Son tornato da quest IBF con un bel cartone firmato Lambrate di 33 miste, Ortiga (Golden Ale), Ligera (APA) e Domm (la loro Weizen). Aspettiamo adesso altre manifestazioni.
[Immagine: Emanuela Marottoli]