Al Bombana, tre stelle Michelin, stirano a pranzo. Cosa ne pensa la guida?
Mi trovo a Hong Kong per il fine settimana, sono in vena di festeggiamenti e una visita a 8 ½ Otto e Mezzo Bombana è praticamente obbligatoria. Le credenziali parlano chiaro: terza stella Michelin testé confermata per il terzo anno consecutivo, sesta posizione nella classifica degli Asia’s 50 Best Restaurants 2013 e trentanovesimo nella World’s 50 Best Restaurants 2013, una nomea che ha condotto all’apertura di una seconda sede a Shanghai e una prossima apertura a Macau.
Il ristorante è chiuso la domenica, una scelta che rivela un’inflessione business-oriented in linea con la location – il groviglio di banche, grattacieli e shopping mall di lusso che danno forma alla zona di Central Hong Kong: decidiamo allora per il pranzo del sabato.
Le grandi vetrate della sala principale ammiccano dal secondo piano del Landmark, uno dei centri commerciali più eleganti della zona. Io e la mia ospite veniamo accompagnate al nostro tavolo, da cui possiamo panoramicamente tenere sott’occhio l’intera sala, il bar all’ingresso e la strada sottostante con il continuo andirivieni dei caratteristici tram a due piani. L’ambiente è sereno, luminoso, elegante ma sobrio e decisamente accogliente. Un gigantesco ritratto dello chef ci osserva da un angolo della stanza.
Umberto Bombana è presente, molto presente: durante l’intero servizio lo vediamo spesso in sala a tenere d’occhio la situazione, bonario e sorridente, fermandosi a qualche tavolo per due chiacchiere, di tanto in tanto grattugiando nuvole di tartufo bianco davanti a clienti estasiati (il gelato, alla crema se non ricordo male, con tartufo pare sia un best seller).
L’opzione è tra un set lunch di due portate (scelta fra tre starters + tre mains) da 430 HK$ / 40€ esclusi vino e dessert, e il menu à la carte.
Scegliamo il set: per cominciare, vellutata di castagne con ricotta, e vitello con salsa di tonno confit e misticanza.
Siamo in smania, le aspettative sono altissime. Gaudenti attacchiamo il cestino del pane, recante alcune fette di baguette bianca e integrale, un paio di cubetti di focaccia ai pomodorini, grissini e una sottilissima schiacciata; nella trepidante attesa delle prime portate quasi ignoriamo la qualità non proprio eccellente di questa infornata.
Il servizio sembra ottimo e il personale, come di norma in Asia, è sovrabbondante; i camerieri volteggiano impeccabili e sorridenti, il maître italiano si accosta per un saluto. Subito arrivano le prime portate: la presentazione è prevedibile, senza fronzoli, ma curata.
La zuppetta di castagne è deliziosa: una crema calda in cui sguazzano teneri cubetti di castagne e briciole di ricotta in via di dissolvimento. Un tentativo di tirare a lucido la scodella infilandoci direttamente il naso non va a buon fine, siamo pur sempre signorine.
Questi sapori familiari e inaspettati allo stesso tempo ci sembrano un ottimo preludio a quel che sarà.
Il vitello tonnato è tenerissimo, buono, impeccabilmente rosa e un po’ noioso. Un cappero solitario fa capolino dal ciuffetto di insalatina agra che risponde a tono alla ricchezza della maionese.
A questo punto siamo ancora ben salde sulla poltrona: se speravamo di venire sbalestrate da un’esperienza mistica, no, non è ancora successo.
Ci sfreghiamo le mani in attesa del secondo tempo, studiando la clientela attorno a noi: gruppi di ladies who lunch hongkonghine che si riprendono tra la mezza maratona di Dior e i 200 metri piani di Bottega Veneta, qualche manager che non ha santificato il weekend, power couples che dividono affettuosamente una cotoletta.
Giusto il tempo di notare la meravigliosa riserva di prosciutti italiani e spagnoli conservati nella cella a cavallo tra le due sale ed arrivano i nostri piatti, che accogliamo con quel luccichio negli occhi tipico della speranza che sta per infrangersi: fettuccine al sugo di pomodoro e maiale nero, e seriola con salsa di agrumi, tapenade di olive nere e composta di verdure.
Ora è ufficiale, siamo confuse. Non fraintendetemi: tutto è buono. Eseguito perfettamente. Bilanciato, o quasi – il pecorino sulle fettuccine, promesso nella descrizione del piatto, credo sia rimasto in cucina.
La seriola è precisa, i tre fagiolini croccanti fanno i fagiolini, la composta di verdure è delicata, molto. Troppo. Insomma, non sa di niente.
Niente è emozionante, superbo, inaspettato, brillante.
Ma noi non demordiamo: il nostro set sarebbe teoricamente terminato, ma quel Chocolate Trio (una versione casual del Grand Cru chocolate in 5 styles che viene offerta nel menu à la carte) che ammicca dal menu non si può ignorare, se non altro per la completezza di informazioni che questo tipo di giornalismo d’inchiesta esige. Lo ordiniamo.
Ci si para davanti un vassoietto nero con tre attori che hanno toppato il provino per la parte principale: una tortina di frolla e ganache, una palletta di gelato al cioccolato, e un bicchierino di cioccolata calda con un po’ di schiuma di latte.
La frolla sì, era perfetta, croccante, squisita. La ganache era ganache. Il gelato era decisamente trascurabile. Nel bicchierino avremmo preferito ci fosse stato un dito di grappa.
Poi accade qualcosa di magico.
Uno dei camerieri ci passa davanti. Porta con sè un ferro da stiro. Lo collega alla presa di corrente, lo riempie d’acqua usando un’elegante teiera d’argento, e dopo un paio di minuti si mette a stirare le tovaglie sui tavoli accanto al nostro. Badate, in quel momento altri quattro o cinque tavoli in sala erano ancora occupati da clienti alle prese con il loro pranzo, non eravamo le ultime ritardatarie. E quand’anche…
A quel punto ci siamo arrese. L’Asia mi ha abituata a scene incredibili: una volta ho cenato mentre il proprietario del ristorante si lavava i denti sul divano.
Ma a questo non ero preparata. Non qui.
Non voglio pensare che al servizio del pranzo vengano dedicati minor riguardo e creatività rispetto alla cena; a quel livello, anche un bicchiere d’acqua di rubinetto al banco deve essere servito con gli acrobati.
Sono perplessa. Sono arrivata con troppe aspettative? Non credo, tra fama e riconoscimenti era difficile aspettarsi qualcosa di troppo lontano dalla perfezione. Le stesse aspettative sono state mal riposte nel giudizio dell’autorevole guida?
Stiamo parlando di un tre stelle Michelin. Di un’esperienza che dovrebbe giustificare un viaggio. Stiamo parlando di perfezione: più in là non si può andare. Per dire: nessuno si è preoccupato di raccogliere le briciole sparse sulla tovaglia. Né prima, né dopo. Un enorme pezzo di mollica mi ha osservato, negletto, da un angolo del tavolo sino alla fine del pasto.
In conclusione non è possibile negare che l’esperienza sia stata gradevole, sarebbe ingiusto. Ma è anche vero che quando in un posto di questo livello l’unica sorpresa è quella di non essere sorpresi, emozionati, impressionati, per quanto mi riguarda, c’è qualcosa che manca.
E in questo caso, anche qualcosa di troppo. O per voi stirare le tovaglie a ora di pranzo è cosa normale?
8 1/2 Otto E Mezzo Bombana. Shop 202, Landmark Alexandra, 18 Chater Road, Central, Hong Kong. Tel. +852 2537 8859