Massimo Bottura appoggia i ristoranti chiusi a Bologna e punta l’indice sugli stage
Il movimento dei forconi è arrivato anche a tavola. Trenta ristoranti di Bologna hanno abbassato le saracinesche per protestare contro il fisco ritenuto ingiusto e vessatorio. Un movimento di pancia, come è stato detto, che guarda con preoccupazione alla tassazione, Tares e acconto Ires al 110% in primo luogo, e una burocrazia che taglia le gambe. Oltre che da normative come quelle degli stage che sono più restrittive delle analoghe europee. Non è possibile prendere praticanti in numero illimitato ma solo come quota parte dei lavoratori contrattualizzati in pianta stabile.
Sui criteri di calcolo degli studi di settore, sulla possibilità di rivedere la normativa degli stagisti e sulla tassazione del lavoro dipendente la partita è di quelle cruciali: ne va della sopravvivenza di molti esercizi commerciali. Il rovescio della medaglia è che nel generale clima di insoddisfazione monta anche la protesta dei clienti convinti che i ristoranti abbiano aumentato i prezzi a dismisura e non siano meno colpevoli di comportamenti poco trasparenti. Ad esempio, con il famigerato coperto, voce di cui si chiede l’abolizione e che fa sempre capolino dai menu, e i ricarichi sui vini.
Sulle ragioni che ha portato il movimento dei ristoratori bolognesi alla simbolica serrata (tra l’altro messa in atto lunedì quando molti ristoranti osservano il turno di riposo) è intervenuto Massimo Bottura chiamato in causa da Repubblica Bologna.
“Capisco bene la frustrazione dei ristoratori bolognesi, sono assolutamente vicino a loro in questa protesta”.
Anche per lo chef più rappresentativo d’Italia il problema sono i costi e le relative tasse.
“Mi rendo conto che la gente non lo capisca, ma i costi che dobbiamo sostenere sono davvero fuori logica. E non riguardano certo le materie prime, quanto il personale, gli affitti, i servizi”.
Anche se con la sua Osteria Francescana a Modena è nell’olimpo della ristorazione, quella che non accusa troppo gli effetti della crisi, Massimo Bottura ricorda gli inizi degli anni ’90 e la necessità di tenere sotto controllo i costi. Che in alcuni ristoranti finiscono per incidere sulla qualità che inevitabilmente collassa.
“Io sono più fortunato, per la visibilità che ho adesso, ma con un ristorante da 28 coperti e 30 dipendenti da pagare come ad esempio è il mio, è chiaro che le spese sono tantissime. Quando ho aperto la Francescana negli anni ’90 ho venduto la mia moto, tutte le cose più care, per poter vivere questa passione e questo sogno”.
E, poi, il capitolo stage visto con sospetto dalle norme e che al contrario potrebbe diventare un motore di promozione dell’Italia.
“Perché i grandi ristoranti all’estero possono prendere stagisti da tutto il mondo, mentre in Italia no? Non capiamo che chi viene a fare uno stage da noi poi può portare i tortellini, il parmigiano, i nostri prodotti genuini, all’estero e farsi ambasciatore dell’Italia nel mondo”.
Potranno gli stage salvare il ristorante Italia e farci riconciliare con i piatti che più ci piacciono a Bologna?
[Link: Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Il Sole 24 Ore. Immagine: Gabriele Nastro]