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19 Dicembre 2013 Aggiornato il 6 Agosto 2017 alle ore 18:13

Paolo Lopriore spiegato agli umani da Gianluca Gorini al ristorante Le Giare

Avevo già citato Le Giare come uno dei dieci ristoranti che, a mio parere, avrebbero meritato la stella, da subito. Una visita più approfondita mi ha reso
Paolo Lopriore spiegato agli umani da Gianluca Gorini al ristorante Le Giare

Le Giare Montiano

Avevo già citato Le Giare come uno dei dieci ristoranti che, a mio parere, avrebbero meritato la stella, da subito. Una visita più approfondita mi ha reso ancor più lampante il perché. Una struttura bella, moderna, con i giusti spazi e le giuste luci (a patto di non dover scattare foto professionali la sera… con le candele ci vuole lo Zeiss Planar 50mm f/0.7 usato da Kubrick per le riprese di Barry Lyndon). Un vulcanico patron come Claudio Amadori, erede ideale dei Giacinto Rossetti e dei Gianluigi Morini che hanno dato un contributo decisivo allo sviluppo dell’alta cucina in Emilia e in Romagna. Una carta dei vini ampia, divertente, con ricarichi giusti e a tratti natalizi. Un servizio attento ma mai ingessato. E la cucina di Gianluca Gorini. Trent’anni, quattro o cinque passati alla corte di Paolo Lopriore e poi il Poggio Rosso di Borgo San Felice; ora, una nuova sfida.

Gianluca GoriniClaudio Amadori

Gorini ha i colpi del fuoriclasse, e la sua scuola è chiaramente distinguibile nei suoi piatti; evidenti sono alcuni temi stilistici, come il rifiuto dei fondi tradizionali o le forti speziature riequilibrate da tendenze dolci. Una cucina per adulti, ma meno ermetica di quella del suo maestro: un Lopriore spiegato agli umani.

Lasciamo carta bianca alla cucina, e assaggiamo copiosamente da una carta ricca di proposte.

crudo di palamita

Crudo di palamita, germogli, gelatina di pinot nero. Piatto che parte con un gusto un po’ fusion, tra Genovese e Cedroni, poi entra l’amaro dei germogli ed entriamo subito in un’altra dimensione. Un esempio tipico della summenzionata cucina per adulti, forse non equilibrato in sé ma che lo diventa con il vino giusto (un riesling spätlese, nel caso specifico).

Mazzancolla alla paprika, peperone dolce e cavolfiore. Piatto giustamente stuzzicante, perfetto l’effetto di spegnimento ottenuto dal cavolfiore che mitiga una piccantezza non facile da gestire.

crema di ceci e calamari

Crema di ceci, puntarina di grano arso, calamari, resina di rosmarino. Piatto confortevole nelle nuances e più che corretto nell’esecuzione, divertente per l’apporto aromatico a una materia prima che non può chiedere di meglio.

seppia sporca

Seppia sporca, granita di asparagi di mare, pepe rosa, lime e zenzero. Si gioca tra caldo e freddo, speziature e dolcezze, mare e terra, oriente e occidente. Un piatto che starebbe bene tra i più materici di Anthony Genovese. Due assaggi ravvicinati evidenziano l’importanza della pezzatura del cefalopode: qui ci vogliono le carni più tenere del seppiolino.

baccalà

Baccalà al fumo di griglia, peperone dolce, acciuga e cavolfiori. La cottura è buona, ma qui la sapidità è davvero sopra le righe e l’affumicatura quasi vira al bruciato. Un incendio che chiede di essere spento in qualche modo, che non si risolve all’interno del piatto stesso, per quanto sia tutt’altro che impossibile risolvere lo squilibrio con il vino.

quaglia alla camomilla

Quaglia alla camomilla, finocchio e mandarino. Piatto forse un po’ semplice, giocato su una sola vera nota, quella aromatica, molto intensa.

polpette di salsiccia

Polpette di salsiccia di mora romagnola, cremoso di parmigiano, schiuma di birra e alloro. Piatto dal difficile equilibrio, goloso e al tempo stesso complesso, pulsante nella ricchezza dei sapori e persistente, mai scontato e molto loprioristico. Birra e salsicce 2.0?

Gnocchi di patate, ragù di coniglio, olive nere, burro di pinoli tostati e finocchio selvatico. Qui l’ermetismo fa l’amore con il comfort food, ci sono idee e tecnica di alto livello addizionate di uno sforzo poderoso per far sembrare semplici le cose difficili, tratto distintivo dei grandi (musicisti, calciatori, chef: non fa differenza). Dio è nei dettagli (Mies van der Rohe).

tortello cacio e pepe tortello di pere cotogne

Tortello di pere cotogne, cacio e pepe verde sul ramo. Andiamo in iperspazio con questa variazione su un tema classico, la fortissima nota del pepe verde a far la parte del leone. La potenza e la spinta di un piatto così richiedono controllo assoluto, ma il risultato è vincente, ribadendo una visione ludica e al tempo stesso ricercata della cucina.

Maialino da latte di mora romagnola, macis, mandarino piccante. Piatto notevole per complessità e varietà, con un’enorme carica aromatica cui però fa seguito la giusta sostanza data dalla base del maialino. Tra Fulvio Pierangelini e l’Inghilterra.

piccione e cassis

Petto di piccione, il suo cuore e fegatino, salsa di ginepro e cassis. Un piccione ematico e ferroso, china e note balsamiche, pulsante e cupo. Un piatto dubstep, che riassume la dicotomia dell’essere carne e sangue e vivere in un mondo di acciaio e silicio. Ad alcuni anni luce di distanza dai piccioni piacioni che infestano i menu di mezzo mondo, serviti con ingredienti classici e costosi, dal foie gras al tartufo, monumento alla nuova staticità di una cucina che troppo spesso si crede d’avanguardia non accorgendosi d’essere reazionaria.

Castagnaccio

Castagnaccio, crema montata alla castagna, mandarino e sorbetto di agrumi. Un riassunto della stagione che va e di quella che viene, ben eseguito.

Fucsia. Rabarbaro, gin, sorbetto al lampone e mandorla amara. Eccolo, l’amaro nel dolce! Provocatorio, amaro, pulsante e complesso, un esempio dei dolci che riescono meglio agli chef italiani (ne ricordo uno simile di Cracco costruito però sulle declinazioni del giallo e del verde).

Zuppa inglese. Classico istantaneo, mirabile per la ricchezza e l’esecuzione: chiusa retrò di un viaggio che più contemporaneo non si potrebbe.

Le Giare. Via Al Castello, 368. Montiano (Forlì-Cesena). Tel. +39 0547 51430

[Fabio Cagnetti]

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