Roma. Arrivano nuovi cocktail da CO.SO, bar a 5 stelle del Pigneto
I grandi barman, i mixologist, i maestri miscelatori, sono una casta, un clan: hanno le loro regole, i loro codici di riconoscimento, il loro gergo. Si conoscono più o meno tutti, sono in contatto tra di loro in un modo quasi esoterico. Se li vuoi avvicinare devi trovarli nei loro bar a 5 stelle, sussurrare i loro nomi, parlare a bassa voce – speak easy – chinare il capo al loro assoluto predomino. Un barman dietro a suo bancone è come un capitano sulla sua nave, non si discute.
I veri mixologist parlano poco e malvolentieri della loro arte, specie se capiscono che sei un novizio, che non distingui un Negroni da un Americano, un Bronx da un Duplex. Se vuoi davvero frequentarli e imparare qualcosa devi sopportare l’iniziale diffidenza e il permanete sussiego che sprigiona dalle loro prodezze.
Poi come sempre il mercato riempie gli spazi, colma gli interstizi tra domanda e offerta e oggi se uno vuole bere a 5 stelle (Grillo non c’entra) e sentirsi un po più a casa sua e un po’ meno un cavia la cosa è diventata possibile. Specie in Italia dove la cultura del bere ha un versante conviviale più accentuato e la storica prevalenza del vino su ogni altro alcolico ha segnato abitudini meno introspettive e più sbarazzine.
Così mentre i migliori bar del mondo hanno barman italiani ma non sono in Italia, qualcuno prova a cambiare le cose e a portare il buon bere, l’arte della miscela in un contesto più amichevole e più casalingo senza rinunciare all’eccellenza ma con uno spruzzo di ironia e una scorza di buon umore. Gi aficionados avranno già capito che parliamo di Co.So., un baretto pignetino, fuori dalla pazza folla dell’isola pedonale, ma in perfetta sintonia con quella “Enclave of cool” di cui parlava recentemente il New York Times.
Massimo D’Addezio, che con Valerio Albrizio, ha fondato il Co.So lo scorso dicembre, il bere a 5 stelle lo conosce bene: era il barman dello Stravinskij, il bar dell’Hotel De Russie, quintessenza del bere bene in un posto come si deve. Passi felpati, sussurri, jet set, bionde platinate e doppi petti stanchi erano il contesto di partenza. In quest’angolino del Pigneto la musica è tutt’altra: spazi stretti dove fare comunella con i tavoli accanto, puff in cui sprofondare senza ritegno, giovani hipster in fuga dalla birretta e yuppies con qualche capello grigio in più e la nausea da caipirinha, amici e amici degli amici.
Massimo, Valerio e Giorgia Crea, portata qui direttamente da Londra, fanno gli onori di casa divertendosi come pazzi. “Abbiamo cominciato con un ritiro di tre giorni tappati in casa a provare miscele e a inventare nomi” dice Massimo raccontando gli esordi. E anche lì si devono essere divertiti parecchio se sono usciti cocktail come “Nove il Bove”, Vodka, consommè di manzo, Worcestershire sauce, salsa di rafano, pepe di Sichuan, sale di Maldon, o il “Carbonara Sour” fatto con una Vodka aromatizzata al guanciale con la tecnica del “fat wash” – un gioco di temperature e separazioni – bianco d’uovo, pepe nero, succo fresco di limone. O ancora l’ottimo “Pigneto Colada” con rum speziato, cramberry juice, succo di limone polpa di ananas.
Ma altri sono arrivo con la bella stagione e Scatti di Gusto li può svelare in anteprima: “Una vita da signori”, Mezcal, Martini Gran Lusso, China Clementi, Petrus Bonekamp, o un bloody mary all’italiana fatto con spirito di grano italiano Sernova, Martini Extra Dry, salsa di rafano, Worcestershire sauce, pomodoro pera d’Abruzzo, sale di Maldon e succo di limone, ed ecco il “Bladi Mario”, e molti altri ancora.
L’italianità, il recupero e il rilancio di prodotti italiani, in particolare i vermouth, gli amari, i distillati, certi vini assenziati, sono una caratteristica di Co.So. “Ma è un fenomeno che sta affermandosi nel mondo – dice Massimo – la liquoristica italiana è al centro di un successo planetario: in America i nostri amari sono in prima fila in tutti i migliori bar, in Argentina la Branca ha dovuto aprire un nuovo stabilimento per il successo del Fernet e del Fernandito, Fernet e Cola. Non parliamo del Bitter Campari, vero simbolo dell’Italia nel mondo.
Alla fine si tratta di bere e quelli del Co.So. sono tutti cocktail riusciti, complessi e godibili insieme, sorprendenti senza fanfaronate, moderni e ancora eleganti. Il segreto non sta solo nella lunga esperienza di Massimo, o nell’aver avuto un maestro assoluto Mauro Lotti, ma in gran parte, credo, nell’avere una solida preparazione da sommelier. Solo un palato molto ben educato, una conoscenza dei sapori e dei profumi, la capacità di degustare e distinguere, qualche utile nozione di chimica di base, permettono di far irrompere nella tradizione del bere un po’ divertimento senza far ridere. “Le bottiglie, gli ingredienti, sono come le note dello spartito – dice Massimo – non sono molte, solo sette, ma pensa alla musica e alle loro infinite combinazioni”.
“Non è facile portare questo tipo di buon bere in Italia – dice Valerio – c’è forse anche un certo bigottismo, che associa i superalcolici all’ubriachezza, eppoi c’è la prevalenza del vino: nel mondo anglosassone, in certi ambienti, non ci si siede a tavola senza avere un cocktail in mano, mio padre, mio nonno ci arrivavano con un bicchiere di vino e perlopiù è ancora così”
Eppure il locale funziona, ha già la sua schiera di assidui e altri se ne aggiungono ogni sera: “forse abbiamo trovato l’algoritmo giusto – dice Massimo – quella formula ineffabile che fa o disfa il successo di un locale: c’è dentro la qualità di quello che offri, il rapporto che costruisci con i clienti, la sensazione che ti da la sala e tanto altro…”
Quando ci salutiamo, a fine serata, Massimo tracanna un Gin Tonic, dico “come, un Gin Tonic, tutto qui quello che bevi?” e lui, “non conosci il detto: in casa del ciabattino si va scalzi”.
CO.SO. Via Braccio da Montone, 80. Roma