Notizie
31 Dicembre 2015 |Aggiornato il 22 Aprile 2021 alle ore 23:08
Bilanci. Il meglio e il peggio dei ristoranti del nostro 2015
Bilanci in 5 cose che porteremo nel 2016 e una che lasceremo tra le pieghe di un anno che ha confermato come cibo e vino siano importanti
Bilanci. Cosa vi è piaciuto di questo 2015 che finisce e cosa vi aspettate dall’anno nuovo?
Noi vi diciamo 5 cose che porteremo volentieri nel 2016 e una che lasceremo tra le pieghe di un anno che ha confermato come cibo e vino siano diventati importanti nella vita anche delle persone che pensavano al mangiare come un atto dovuto.
Ecco quindi le nostre Top Five e il la Black List dell’anno.
Bilanci: Giulia Nekorkina
- Il ristorante dove mi sono sentita più appagata è Le Petit Commerce a Bordeaux. Un locale semplice, al centro della città, con le tovaglie di carta sui tavolini stretti. Discreta carta dei vini, ma è il menù che conta: pesce, ma soprattutto frutti di mare, crudi, cotti, montagne di ostriche, i plateau a due piani pieni di ogni bendiddio. I costi molto democratici: da 38 euro una scorpacciata di frutti di mare.
- La cena più buona e divertente è stata da Christian e Manuel Costardi, al loro ristorante stellato di Vercelli. I due fratelli hanno trovato un equilibrio perfetto: uno si occupa di piatti salati, l’altro pensa ai dolci (che fortunatamente non sono troppo dolci). Molta attenzione ai risotti, ma anche ai piatti della tradizione e del territorio, elaborati ma non stravolti, seppur con un tocco di follia!
- Lo chef che mi ha entusiasmata di più è Andrea Ribaldone de I due Buoi, tra l’altro neostellato. L’ho incontrato come consulente di JSH, catena per cui ha firmato un innovativo modello di ristorazione e food concept. Stimolante il suo training che prevede l’elaborazione di un menù di base che va interpretato dagli executive chef dei vari ristoranti a seconda della regione e della stagione. Anche la sua cucina non è niente male, vale la pena di approfondire.
- Il piatto migliore? Il midollo di La Griglia di Varrone a Milano. Sì, niente ricette elaborate, ma un grande classico che non si trova da nessuna parte. Un osso dello stinco spaccato a metà e cotto sulla griglia, servito su un vassoio di legno, con un cucchiaino, e delle fettine di pane bruscato. Comunque, il ristorante merita anche per tutto il resto del menù: le carni migliori del mondo, cucinate con maestria, servite in un ambiente elegante e discreto.
- Il vino è, ovviamente, una bollicina, la mia ultima scoperta: Maso Nero Rosé Trentodoc 2009. Di bollicine rosa ultimamente ce ne sono tante, oramai è un must vinificare in rosé qualunque cosa, ma il grande classico rimane tale: Pinot Nero e Chardonnay in proporzioni variabili (60 e 40 i questo caso). Elegante, con sentori di fragole di bosco, ottima acidità. Cosa volere di più?
- Il mio peggio. Ci sono state anche le delusioni, ahimè. Una recente: all’aeroporto Charles de Gaulle, al Terminal 2F, non c’è un ristorante decente, ma solo una sorta di tavola calda! Mentre si fa uno scalo, a volte viene “voglia di qualcosa di buono”, magari una mezza dozzina di ostriche con un bicchiere di Chablis. Delusione. Ho girato tutto il terminal: le boutique di lusso, un duty free, un carretto con i macaron e un baretto al piano di sotto, ma neanche un accenno al luxury food. Che caduta di stile, cari francesi!
Bilanci: Emanuele Bonati
- La prima cosa che mi viene in mente è l’Expo2015. Un evento che ha portato Milano al centro del mondo, che l’ha modificata e migliorata sotto molti punti di vista. Che ci ha fatto conoscere paesi e gastronomie, culture e agricolture. Il mio Expo sono stati il fantastico alveare dell’Inghilterra, i padiglioni di Austria e Polonia, l’intensità del tempio del Nepal. L’hamburger di coccodrillo dello Zimbabwe, i croissant di Francia, i ristoranti di Eataly.
- Un portato dell’Expo sono state le nuove aperture in città: una miriade di locali di ogni tipo, idee promettenti e promesse, possiamo dirlo, realizzate. Spice di Misha Sukyas e Matteo Simonato, il Cafè Gorille, Mantra Raw Vegan, Il Chiostro di Andrea Alfieri, Essenza di Eugenio Boer, Marco Ambrosino coi suoi 28 Posti.
- Il mio preferito di quest’anno? Direi Trippa. Una cucina antica e moderna, negli ingredienti e nei procedimenti. Piatti impeccabili. Ai fornelli, Diego Rossi, baffo impertinente, tecnica sopraffina. In sala, Pietro Caroli, un perfetto oste 2.0. E una platea social che costituisce una base di clientela e un ottimo ufficio propaganda.
- La mia cena perfetta? Scelta difficile. Quella da Un posto a Milano, a quattro mani, quelle di Nicola Cavallaro e Cristiano Tomei? Il Manzo gourmet su corteccia di Tomei me lo ricorderò a lungo. L’Imperiale di Marco Loy? Izu in corso Lodi? Da Wicky Pryian? Una promessa di cena, da Kresios di Giuseppe Iannotti? Provato a Taste of Milano, incantato, non vedo l’ora. Ecco, forse quella da Spazio Milano, che Niko Romito ha affidato agli allievi della sua Scuola.
- L’ultimo top del mio 2015? La cucina “per bene”, le cene benefiche – su tutte, il Refettorio Ambrosiano voluto da Massimo Bottura e Davide Rampello con la Caritas ambrosiana e la Curia a Milano Greco. Le eccedenze di Expo trasformate in cibo per i poveri da un plotone di chef, italiani e non, più o meno stellati.
- Il mio peggio. Direi Yoji Tokuyoshi con il suo Tokuyoshi. Non proprio un peggio, certo, ma una delusione. Ci siamo stati appena aperto: a parte le comprensibili (ma non del tutto giustificabili) incertezze del servizio, è stato proprio il menù a non convincermi. Accanto a piatti pensati più o meno bene c’erano piatti che non dimostravano altrettanta convinzione; se c’era una linea riconoscibile che correva lungo tutto il menù degustazione, di tanto in tanto si interrompeva e cadeva in giù. Era più un esperimento, che un menù. E non valeva il conto. E nemmeno la stella Michelin.
Bilanci: Isa Scuderi
- Il Luogo di Aimo e Nadia, un racconto tra cibo e storia, un luogo popolato da tradizione, ricerca, avanguardia. Tante sono le tracce che mi sono rimaste di questa esperienza sensoriale: tutto l’insieme rende unico ogni singolo elemento, che si completa decisamente con l’utilizzo di sole eccellenze delle materie prime. È così, una certezza, il mio miglior ristorante dell’anno.
- Agosto. Sono seduta al Bar Américain del lussuosissimo Hotel de Paris, a Montecarlo. Ed eccomi a dialogare con uno degli chef più pluristellati di sempre: Alain Ducasse. Il fato mi ha premiata: quante volte ho cercato di incontrarlo, e non ho mai avuto fortuna? Ebbene sì, quando mi si presentano le opportunità non me le lascio sfuggire: mi sono presentata, e un attimo dopo ero intenta a dialogare con Ducasse. È lui il mio chef, il mio incontro speciale.
- Due parole mi piacciono tanto: stile e lusso. Lo so, suona pretenzioso, ma parlo del Portofino Gran Gala 2015 Yachting Azimut Benetti. Invitati illustri, un tripudio di finger food deliziosi, qualche sfiziosità: pesce spada e tonno affumicati con dressing al limone, riso nero spadellato con gamberi, verticale di scampi, bruschette all’astice – il paradiso del gusto. Fiumi di Champagne G.H. Mumm. Nella cornice dorata l’esposizione dei gioielli Damiani ci ha conquistato ulteriormente. Un Gala da ricordare, in tutti i sensi.
- Mi piacciono i profumi, quelli che sprigiona il cibo. I miei ingredienti? Spaghettoni, pesto di mandorle, tonnarelli, baccalà, pomodorini, cipolla fondente: dopo questo piatto mi sento completamente rigenerata, il palato si divide tra il fresco sapore del pesce e l’equilibrio che donano in dolcezza la mandorla e la cipolla. Quando metto insieme questi ingredienti mi voglio molto bene.
- Metà gourmet e metà arte: il Priceless Restaurant Milano, a cavallo di piazza Scala e dell’Expo, con le proposte culinarie di 35 Jeunes Restaurateurs d’Europe, uno alla settimana. Io ho trovato il giovane e creativo chef Francesco Sposito, della Taverna Estia a Brusciano, Napoli. Sette proposte, sette meraviglie, compresi gli amuse bouche. Sopra tutte, gli spaghetti di Gragnano con acqua di pomodoro, fiori di maggiorana e anguilla laccata alla fragola. Tutto mi sorprende, profumi, la tradizione del pomodoro che arriva in bocca con quella punta di acidità, come se fosse concentrato, l’abbinamento altrettanto stuzzicante con l’anguilla, che smorza di un tono la sapidità del piatto.
- Il mio peggio. “Mi aspettavo molto meglio”, un classico commento poco felice dopo una cena stellata. Naturalmente il Ristorante da Cracco gode di un’entusiastica reputazione da prima pagina. Elegante, servizio impeccabile. Ma questo non basta, l’avanguardia e la ricercatezza nel creare bocciano il piacere del cibo. Gusti troppo contrastanti, proporre al palato sapori meno convenzionali è un rischio che va calibrato al 50% col classico, e non oltre: vedi gli spaghetti ai ricci di mare con caffè. Una nota negativa va anche alle porzioni davvero troppo minimal. Sicuramente ci ritornerò, ho sempre sostenuto che Cracco è la cucina in persona, e mi darò un’altra possibilità.
Bilanci: Valentina Lupia
- Lorenzo Cogo. Cogo è venuto qui a Roma, da Settembrini. Ho adorato il suo risotto di genziana, peperone e prugne selvatiche, e ancora di più mi è piaciuta la pancia di maialino con yogurt caramellato e verdure in agrodolce. Ma ciò che ho apprezzato più della serata è stato lui. Sì, il fascino del più giovane chef stellato d’Italia e dei suoi occhi chiari e profondi. Semplicemente irresistibile, come la sua cucina. Tanto che una foto ricordo con lui l’ho dovuta fare per forza.
- La carbonara di Alba Esteve Ruiz. Da romana doc mi pecco di saper riconoscere una buona carbonara, che è in assoluto la mia pasta preferita. Poco mi importa la distinzione tra carbonare “chic” e “normali”: se il piatto è buono, è buono e basta. Quel che mi piace di più degli 80 grammi di porzione della chef di Marzapane è la consistenza dell’uovo, non “frittatina”, e il non essere stucchevole come accade in osterie o ristoranti vari. In più è facilmente replicabile a casa. Io l’ho fatto… col Tavernello. Provare per credere.
- Cucine di Strada. Un intero e storico quartiere di Roma dedicato ai mangiari e al cibo di strada. È avvenuto lo scorso ottobre e l’emozione è ancora molta: il meglio dello street food italiano ha preparato dal vivo arrosticini, bombette pugliesi, gnocchi fritti, panzerotti, peperoni cruschi, pani ca’ meusa e interpretazioni creative, ma sempre partendo dal cibo di strada storico, dal sapore casereccio. C’erano 18 food truck con birre, baccalà, burger, panini gourmet, wrap, ravioli, hot dog, polpette, tigelle, cartocci. E oltre 35 mangiari, che hanno proposto interi menu – inclusi veg e crudisti – in versione storic-street-food. Un evento epico.
- Cesare al Casaletto. Non lo dico perchè da casa mia ci arrivo a piedi: in questo sono stata fortunata. È una delle trattorie che preferisco a Roma, se non la mia preferita. Il motivo? Sì, sempre perché sono una romana doc, il principale merito di questo locale è la sua “romanità”. Ma è il valore aggiunto, quello di un po’ di golosa contemporaneità, a fare la differenza. Il mio “menu”? Gnocchi fritti cacio e pepe e rigatoni al sugo di coda. Se qualcuno mi asseconda, propongo di dividere la trippa alla romana, altrimenti passo al dolce.
- La cucina della Lettonia. Sono stata invitata all’ambasciata lettone per una cena con l’ambasciatore Artis Bertulis e rappresentanze del governo. Ai fornelli, per la promozione enogastronomica della nazione e in particolare di Riga (la regione sarà Capitale Enogastronomica Europea nel 2017) c’era il giovane Māris Astičs, uno degli chef più apprezzati dalla critica nazionale. Ho particolarmente apprezzato la capacità del menu (gli ingredienti provenivano tutti dalla Lettonia), sicuramente ben pensato, di saper raccontare una storia, una nazione. E poi, parliamoci chiaro: salmoni bio del mar Baltico, anguilla di lago della regione Latgale, caviale locale, tartare di alce… io un salto in Lettonia lo faccio di sicuro!
- Il mio peggio. L’inaugurazione di Pasticcio. Chiarisco subito: non parlo del locale in sé per sé, perchè l’idea di riproporre un piatto (il pasticcio, appunto, che tra l’altro ho anche apprezzato) “della nonna” in un ristorante al quinto piano di un palazzo fa molto “casa” e mi piace. La scelta di inaugurare il locale aprendo la serata a tutti e alla stessa ora, forse non è stata particolarmente azzeccata. Se non altro per gli avventori che si sono spazzolati via tutto in men che non si dica senza permettere a chi è del campo di valutare e scrivere dei piatti del ristorante. Buono il pasticcio, ma l’inaugurazione per me è stata un flop.
Bilanci: Anna Tortora
- Lo champagne. Quest’anno è stato il più votato alle bollicine francesi. L’occasione ideale, a ottobre, per la presentazione della guida Le 99 Migliori Maison di champagne 2016-2017 di Edizioni Estemporanee; vigneron entusiasti, grande partecipazione e la possibilità di degustare in contemporanea bottiglie fantastiche. Duquet, Perceval, Marat-Bresson, Val Frison, ma anche Bijotat e Cheminon, le maison che ricordo con sincera gratitudine.
- La crema fritta di Natale. Un classico della tradizione marchigiana, si serve tra gli antipasti, insieme ai fritti di verdura; nel mio caso però rappresenta qualcosa di più. La ricetta infatti è quella di Gralina, la contadina che ospitò mia nonna con la sua famiglia, sfollati nelle campagne di Macerata durante la II Guerra Mondiale. Prepararla ci avvicina ancora a quella famiglia. Le dosi: 5 uova intere, 5 tuorli, 1 litro di latte, 6/7 cucchiai di zucchero, 5 cucchiai di farina, la scorza di un limone non trattato. Io l’ho fatta col Bimby, mettendo tutto insieme, e dando prima 5/6 secondi a velocità 4, e poi 15 minuti impostando la temperatura a 90° a velocità 1.
- La Tana del Polpo ‘Artisti del pesce’. Un ristorante che se fosse un teatro si direbbe off-off-off-off-Brodway. È a via Boccea, a Roma, circondato da vegetazione e da concessionari di auto. Ma l’esperienza vale il viaggio. Il locale è molto fine e accogliente, senza essere formale, il personale si prende cura del cliente, e lo chef Carmine Salierno è sempre disponibile a spendere qualche parola con i suoi ospiti. La catalana di polpo è divina nella sua semplicità.
- Il Sottobosco. È il piatto creato dalla giovane chef stellata Caterina Ceraudo, del ristorante Dattilo di Strongoli (KR). Pochi ingredienti, ben dosati, che giocano con le diverse consistenze. Il fondo è dato da un cremoso di patate e topinambur, ricoperto da una ‘terra’ di porcini essiccati sabbiati con burro, in cui sono inserite lamine croccanti di champignon, galletti e finferli anch’essi essiccati. Una sorpresa continua.
- La girolle. Il tagliere in legno con lama rotante per creare i “fiori” di Tête de Moine (formaggio svizzero di latte crudo vaccino, antico e di complessa lavorazione). Conviviale, divertente, da provare almeno una volta nella vita, ma con prudenza perché dà dipendenza! Si compra su Amazon, le migliori costano 35-40€. Il Tête de Moine da 800gr costa intorno ai 25euro. A Roma si trova da Beppe e i suoi formaggi, a via di Santa Maria del Pianto.
- Il mio peggio. Chiamarlo flop è esagerato. Poteva venire meglio, ecco. A costo di ripetermi, penso all’evento di Le Carré Français, a base di pane (buono, va detto) e vino (era meglio il pane); per un locale che si propone come tempio dell’eccellenza francese era proprio pochino. E poi, lo sanno tutti che i giornalisti partecipano agli eventi solo se sull’invito c’è scritto “seguirà buffet”.
Bilanci: Giulia Ubaldi
- Tra i ristoranti scoperti quest’anno, ci ha conquistati la Locanda delle Tre Sorelle in Cilento, a Casal Velino: un pescato d’eccezione quello della sommelier Franca Feola, abbinamenti mai banali in una splendida location, ideale anche per lunghi soggiorni, con mare, piscina e tanti ulivi. A far da padrona è una carta dei vini eccezionale, che la proprietaria sposa con eleganza e saggezza a ogni piatto: impossibile restare delusi.
- Scendiamo fino alla Trinacria, nell’arcipelago delle Egadi, a Il Veliero di Marettimo, per lo spaghetto chi sarde di Anna, da dieci e lode: uva passa, pinoli, finocchietto, sarde fresche, passata, cipolla, alloro, cannella e, ovviamente, mollica di pane.
- La storica Trattoria Masuelli, un punto di riferimento da anni per chi desidera viaggiare in una Milano d’altri tempi e provare la cucina milanese (e piemontese) accompagnata dal calore, dal senso di accoglienza e dalla simpatia dei proprietari.
- Il ristopub abruzzese Sette Fonti di Prata d’Ansidonia, delizioso borgo immerso nella Piana di Navelli dove si coltiva lo zafferano abruzzese dop, ingrediente centrale nel menu, soprattutto nel piatto tipico del posto: penne con broccoli, salsiccia, e zafferano. Non sono da meno anche le bruschette d’entrata con ingredienti del posto: tartufo, salumi e formaggi. E se siete fortunati, anche un po’ di musica dal vivo con gruppi locali di vario genere: dal rock al folklore.
- Vi lascerà a bocca aperta Kalamaro Piadinaro a Riccione: un’attentissima scelta agli ingredienti è stato il percorso seguito da questo nuovo locale, arredato con uno stile caldo e moderno, semplice e divertente. Un’atmosfera giovane, quasi goliardica. Un’infinità di piadine, ma non solo: da Kalamaro sono presenti anche piatti caldi del giorno, birre artigianali, panini, vini.. Insomma, una vera e propria scoperta. Buon viaggio!
- Il mio peggio. Il Savoy Beach Hotel di Paestum: grandi facciate, immense scenografie e spazi freddi per un contenuto scarso, una storia vuota e una mancanza di carattere. E così i piatti del menù: una serie di nomi e di abbinamenti per nascondere la poca sostanza che soggiace alle portate.
Bilanci: Manuela Di
- Miglior pranzo: è stato quello a Expo, nello spazio di Identità Golose, nelle giornate di Niko Romito. Credo che Romito sia un po’ lo chef dell’anno, in ogni caso mi ha entusiasmata per avermi trasmesso l’idea che si può davvero fare una cucina “etica” e ottenere grandi risultati.
- Migliore evento: Expo. Era un Parco tematico con tante cose da fare. Il fatto che il tema fosse il cibo lo ha reso ancor più interessante e le occasioni di incontro e conoscenza erano tantissime, ma la cosa migliore di questa esperienza è il fatto che mi sia divertita molto, così come ci si aspetta da un parco di divertimenti. Quindi pollice in su per Expo – e zero polemiche.
- Migliore location: Relais Blu (Massa Lubrense). Al Relais Blue ho vissuto una favola a due passi da casa. In quell’incredibile cornice naturale che è la Penisola Sorrentina, lì dove si congiungono la costa amalfitana e quella sorrentina, sorge questa bellissima villa con contributi hi-tech che regalano atmosfere viste solo in alcune architetture americane o giapponesi. Volete provare l’ebbrezza di fare il bagno in una piscina a strapiombo sul mare del Golfo di Napoli? La piscina del Relais è stata pensata per regalare un’emozione e un’esperienza indimenticabili.
- Miglior pizza: Enzo Coccia (Napoli). Ce ne sono ormai abbastanza di pizzaioli che si sono lanciati all’esplorazione di farine, grani antichi, impasti e lievitazioni. Molti di questi hanno raggiunto ottimi risultati in fatto di digeribilità, ma ancora nessuno, secondo me, è riuscito a raggiungere quel sapore “di casa”, quell’apporto in fatto di “calore” che la Margherita di Enzo Coccia regala.
- Il meglio del meglio. Tutte quelle realtà che con grande sforzo, soprattutto nel Mezzogiorno e lontano dalla visibilità delle grandi città, lavorano per dare continuamente linfa alla tradizione, tanto che ne sono divenute un po’ le custodi. Parlo di cuochi e di vignaioli, ma anche di produttori, commercianti e tanta “gente comune” che in un modo o nell’altro sono portatori sani di sapori originali e autentici e di tradizioni, in ogni parte d’Italia.
- Il mio peggio. Tutte le mode e tutto ciò che è moda, tendenza fine a se stessa. A simbolo di tutto ciò nomino il carbone vegetale, che francamente ci ha stancato e che non vediamo l’ora si eclissi dalle nostre cucine.
Bilanci: Manuela Vanni
- Osteria Arbustico. Cristian Torsiello, nuova stella Michelin e fiore all’occhiello di Niko Romito. Il coraggio di andare contro corrente in un paesino di montagna realizzando un progetto che aveva in mente da qualche tempo. Un laboratorio dove produce prodotti tipici (come il tarallo schietto) e un ristorante che propone una cucina della tradizione ma con tecniche nuove.
- Silvio Salmoiraghi. Silvio è lo chef patron del ristorante Acquerello a Fagnano Olona. Anche lui nuova stella nel firmamento Michelin, pur non essendo chef di primo pelo. Una persona schiva, che fugge le luci della ribalta, profondamente innamorata del suo lavoro. Chef d’indiscutibile talento anche grazie a una brigata invidiabile, tra cui spicca il sous chef coreano Choi. Il suo piccione in vescica è l’apoteosi della gioia della tavola.
- La pizza. Tutti si cimentano nella pizza gourmet, nel recuperare la “tradizione”, nella lunga lievitazione… alla fine diventa pure patrimonio UNESCO. Credo sia la preparazione dell’anno!
- Il sake. Da gennaio lo hanno proposto in tutte le versioni, complice l’Expo. Bevanda eclettica e flessibile, fa bella mostra di sé sul tavolo di un ramen bar così come non sfigura se accompagna piatti gourmand di tradizione italiana.
- Per finire… EXPO. L’amato-odiato evento globale con i suoi panini al coccodrillo e zebra, gli insetti mancati, le interminabili code, i padiglioni terminati in fretta e quelli “fuffa”. Tirando le somme penso che il bilancio sia stato positivo: bene o male ha offerto nuovi posti di lavoro, la possibilità di far conoscere l’Italia e le sue eccellenze e di entrare in contatto con culture “altre”. Certo tutto a livello superficiale ma non credo si potesse pretendere di più. Ora sta agli animi sensibili approfondire… Tastando il polso dei vari utenti e dei ristoratori, in molti oggi si sentono un po’ orfani (parecchi speravano che la data di chiusura fosse procrastinata).
- Il mio peggio. La pecora nera va alla stampante 3D per il cibo. Siamo all’alba di un nuovo modo di fare ristorazione? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto ecco comparire i primi giocattolini che propongono alimenti “commestibili” stampati in fogge svariate. Appetitosi e golosi? Non saprei, però incuriosiscono. Questa è una pecora nera con riserva perché, in futuro, potrebbero diventare uno strumento in più per gli chef creativi… o sostituire felicemente le mani di pessimi imbrattapadelle. Niente ferie da pagare, niente problemi a lavorare sotto le feste, il cliente ordina e il robot esegue. Nessun estro creativo, ma cibo basic. I patron di molti locali ci stanno già pensando…
Bilanci: Daniela Ferrando
- Migliore cena: Ristorante Crocifisso, Noto. La cena al Crocifisso è stata la vetta indimenticabile di una vacanza siciliana di fine agosto (Polpo al carbone, spuma di patate al rosmarino e muddica atturrata). E forse un segno del destino, visto che mi è capitato di riparlarne in occasione del ritorno ai fornelli dello chef Marco Baglieri.
- Migliore pranzo: Cinzia Mancini per Bottega Culinaria Biologica di San Vito Chietino (CH). Questo pranzo è stato cucinato in esterna, presso la casa di Germaine Bombampete, imprenditrice e produttrice in Ortona di olio EVO e di cosmetici a base di prodotti naturali locali (del pranzo celebrerei in particolare la “panna cotta al latte di mandorle, crema di tre zucche, fiori di borragine, insalatine, patatina di mais”).
- Migliore previsione: Trippa, Milano. Una previsione interiore, seguita da una prova appagante, scintillante pure per me che non cerco piatti di carne. Mi coccolo il ricordo del cardo gratinato con patate e taleggio di Diego Rossi. Non vedo l’ora di tornare per un risotto.
- Migliore post: quello dedicato qui su Scatti alla Passeggiata Veronelli, intitolata al grande enogastronomo lombardo.
- Migliore street food: un vero e proprio luogo “street”, nel senso che è un locale da camionisti, su una strada di grande passaggio. Un postaccio sicilian-pop di fascino camilleresco, che sforna in continuazione bontà pantagrueliche (scacce, arancine) con ripieni da svenimento. Io avevo con me chi ne ha fatto la prova. Sulla strada di Rosolini: il Bar Pane Condito.
- Il mio peggio. Peggio non nel senso di tragedia, ma di delusione per l’approssimazione. Nel centro storico di Cremona, presso l’Antica Locanda il Bissone. Mi aspettavo autenticità cremonese. Invece, a parte un buonissimo profumo di brodo che aleggiava nel locale, la tipicità non era all’altezza. A cominciare dai sottaceti dell’antipasto.
Bilanci: Guido Ferraro
- Il piatto più intrigante del 2015 è stata la triglia in carpione con riduzione alla soia, cuscus di cavolo romano, papaccelle ed olive nere di Lino Scarallo. Vi consiglio di andare ad assaggiarlo prima che il ristorante si trasferisca nella nuova (e fighissima) sede sul mare di Posillipo.
- La sorpresa è il tortello di ricotta alla genovese di bufala (con carni di animali femmine) di Agostino Malapena del ristorante Costanzo. Sì, il ristorante del caseificio di Aversa.
- Un grande e irrinunciabile classico come lo spaghetto alla Nerano di Roberto Allocca del Relais Blu con il bonus di un panorama stratosferico. Al solito si aspetta la bella stagione per andare a inforchettarlo nuovamente.
- La scoperta più dolce è sempre la stessa: il babà di Salvatore Capparelli che coinvolge chiunque a qualsiasi latitudine.
- Il piatto più sconvolgente e buonissimo: la zampa d’orso preparata da Thomaz Kavcic in abbinamento con una grande bollicina Jaquesson 738.
- Il mio peggio. Il flop 2015 che diventerà un top 2016 è il mancato rinnovo del contratto a Palazzo Petrucci da parte del Presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis (che comunque ha concesso in zona Cesarini una proroga fino al 10 gennaio). Ma come si dice a Napoli, chiusa una porta si apre un portone.
Bilanci: Vincenzo Pagano
- La cena dell’anno. Al Don Alfonso 1890 in estate, ristorante pieno come un uovo. Una performance di alto livello che ti fa chiedere se non sia tempo di rivedere brillare un’altra stella sulla giacca di Ernesto Iaccarino. Il tempo ci dirà.
- Il pranzo dell’anno. Un performante Andrea Berton convince con una sequenza di piatti e un servizio in sala che rasenta la perfezione.
- L’evento dell’anno. Il top e il pop insieme in una manifestazione come il Napoli Pizza Village. Numeri stratosferici, una gara mondiale con pizzaioli che arrivano da ogni dove, la prima volta di una donna che sbaraglia il campo, tante pizze tra cui scegliere, lezioni per imparare a fare la pizza, ospiti italiani e stranieri, la partecipazione di una città che in teoria dovrebbe snobbare un evento con tutte le pizzerie che ha a disposizione (ma qui è bene ricordare che a Napoli esistono negozi di souvenir per gli stessi Napoletani), un clima di casino e un panorama fantastico.
- La previsione migliore. Il Don Geppi che prende la stella Michelin. Mario Affinita&Co si divertono e fanno divertire in un ristorante che è una bomboniera. L’aperitivo in piscina è relax allo stato puro, il pane-burro-marmellata vi fornisce l’esatto indicatore della gioia di fare cucina. Ma lo vedrete da voi alla riapertura di primavera.
- Lo chef dell’anno. Massimo Bottura che punta una fiche sull’Expo e stravince all’apertura con il pranzo cui partecipa il Presidente del Consiglio e il taglio del nastro con il Presidente della Repubblica. Bissa con la seconda posizione alla 50 Best. Cala il tris con il Refettorio Ambrosiano. Fa poker con il 20/20 sull’Espresso. Ma non perde la voglia di essere Pop. Scala Reale.
- Il mio peggio. Il maestro del cattivo gusto è sempre lui: Luciano Pignataro, ras della Campania con il suo manipolo di scherani. Ricordargli che minacciare e rubare non è roba da gentiluomini è un atto dovuto, ma devo chiedere scusa per qualche mia intemperanza ai lettori che seguono con affetto Scatti di Gusto.
Buon Anno a tutti voi da tutti noi. E che il 2016 ci porti tanta soddisfazione.
Argomenti:
Capodanno