Identità Golose. Visintin distrugge il mito dell’antropocena che non è un’apericena
Mitico, anzi, mitologico. Sempre lui, il guardiano mascherato delle buone pratiche della critica gastronomica (scusate ma lo sento un po’ parente). Critica che, come ha detto Davide Scabin dal palco di Identità Golose, il congresso enogastronomico più importante d’Italia (e anche un po’ kermesse), non sa più fare il proprio lavoro. Non riesce a capire cosa succede nel piatto, e finisce con il raccontare altro – e se ci sono tatuaggi e storie complesse e complicate, ci va a nozze.
L’abbina nemmeno fosse un vino con un piatto (e anche quello pare sia caduto in disgrazia). Io sto sempre aspettando di vedere una vestale della dea madre Cibele raccogliere un tubero in una notte di luna piena per trasformarlo nel piatto del viaggio, del ricordo.
Nel frattempo mi accontento, si fa per dire, del mitico (o del genio, fate voi) Valerio M. Visintin che accende i riflettori sull’antropocena sull’antropocene.
Che, diciamolo pure, a Milano sembra quasi un fatto preistorico, precedente il tempo delle apericene così in voga in epoca contemporanea, non perfettamente databile se non ricorrendo al metodo del carbone14 – no, non proprio quello finito in pane, mozzarella e pizze, quello è il carbonio attivo.
Scabin, quasi in un omaggio all’incidente stellare occorsogli per mano di franchi tiratori, ha aperto il consesso con una roba impegnativa.
L’Antropocene.
Che sarebbe il momento in cui l’uomo ha iniziato a impattare sul pianeta, cioè molto tempo fa. Forse, ipotizziamo, quando ha iniziato ad allevare e a trasformare mucche in bistecche smettendo di fare solo puzzette, cioè di mangiare legumi e frutti della terra.
Un termine nuovo di conio, anche se non quanto “petaloso” – risale agli anni ’80. A quel tempo – i magnifici anni Ottanta – chi andava al liceo descriveva quell’epoca come era antropozoica e ne faceva anche versetti per designare l’impegno sociale e politico alla Amici Miei, con lo scappellamento a sinistra.
Molti hanno deglutito. Visintin no. Da impavido mascherato non va a IG, luogo di lussuria e di ammiccamenti tra critica e chef che sono un abominio. Lui cerca resoconti.
E incappa nel blog dell’illustre columnist Luciano Pignataro, dove Giulia Cannada Bartoli, pecorella ritornata all’ovile dopo un po’ di astinenza (che era quasi una vessazione), confeziona la critica perfetta.
L’era diventa il pasto serale, pardon, i pasti serali.
Per cui Scabin ha detto una cosa fortissima per la tavola di tutti i giorni: “Ha cominciato da un termine sconosciuto ai più: l’era dell’antropocena vale a dire quando l’uomo è apparso sul pianeta ed ha approcciato le prime forme di cottura del cibo.”
La trasformazione è avvenuta: dall’impatto all’impiatto il passo è breve. Un niente.
Ok Scabin, hai ragione. Sei un mito, sei un genio e forse ti mancano solo i tatuaggi: la critica non ci capisce più niente.
E io, lo giuro, vorrei venire a fare un paio di puzzette con te. Ci mettiamo d’accordo se fagioli o ceci?