Nonno Cappelletto. I ricordi del piatto che sono più di una ricetta per Natale
Ed eccolo che sta per arrivare, già mi sembra di scorgerle, infiocchettate, dorate ed ornate di stelle luminose le strade di tutto il mondo pronte ad ospitare quel generoso uomo barbuto. Non vedevo l’ora, non desideravo nessun regalo, solo rimane in cucina fino a che i vassoi non fossero tutti pieni di quei perfetti cappelletti ognuno gemello di quello accanto.
Aspettavo la sera della preparazione di quella delizia da undici mesi, ma finalmente eravamo giunti al 23 dicembre, li facevamo due giorni prima del grande pranzo perché secondo la mamma la pasta doveva riposare prima di risvegliarsi il giorno di Natale in un brodo di gallina e manzo e rivivere nei nostri piatti.
L’addetta all’impasto non c’è bisogno che vi dica chi era, visto che io neanche arrivavo alla spianatoia.
Si iniziava con un chilo di farina e 6 erano le uova che bisognava amalgamarvi affinché la sfoglia avesse la giusta consistenza. Era un’orchestra di sapori ben tre tipi di carne diversa, maiale, vitella e pollo si mettevano a nostro servizio affinché noi forgiassimo con l’aiuto del formaggio, rigorosamente il primo sale, parmigiano, due uova e l’odore di noce moscata il ripieno che i Riminesi esigevano per quelle leccornie.
Ogni anno rinnovavamo la scelta del bicchiere da utilizzare per formare i dischi che generassero degli odorabili “copricapi” mangerecci. Solo da qualche anno mi è concesso unire i lembi di quelle mezzelune ripiene di ogni bontà. I primi cappelletti che componevo ogni Natale non andavano mai bene e la mamma doveva sempre disfare e rifare le mie creazioni, che a mio dire erano esattamente come i suoi, ma secondo me in questo modo lei si sentiva ancora l’unica detentrice di quel segreto manuale.
Dopo una decina di produzioni si tranquillizzava e capiva che anch’io ormai avevo interiorizzato quel gesto, tanto da affidare a me l’intero confezionamento di quei saporiti e a noi cari cappelletti.
Dopo tutta la lavorazione contavamo quelle piccole meraviglie, riuscivamo sempre a superare i trecento, due dozzine secondo la mamma era la porzione giusta per ogni invitato discreto.
La mattina di Natale ci svegliavamo, il brodo ormai era pronto ad accogliere i nostri cappelletti. Come tradizione si andava tutti dalla nonna, la mamma portava con se quel pentolone. Il consommé era desideroso di ospitare le nostre miniature, le donne della famiglia li volevano servire rigorosamente bollenti con una spolverata di parmigiano.
Ed ecco che si iniziava, erano lì in quella scodella, galleggianti talmente invitanti che sembrava balzassero in bocca da soli. Simili ai miei nonni, pieni di grinze, pieghe e tenere rughe all’esterno, ma ardenti all’interno, vivi speranzosi che qualcuno desse rilievo alla loro storia. Inizio ad immaginare una diatriba a cui io non avrei mai potuto assistere tra le mie due nonne sulle tradizionali fattezze dei cappelletti.
Secondo una, quella di Carpi, la carne era una contaminazione del cugino tortellino; secondo l’altra, quella di Rimini, la carne era d’obbligo.
Ma al primo assaggio cadeva il silenzio, come se tutti i presenti ripercorressero con calma le lavorazioni effettuate da me e mia madre. Oggi mi ritrovo ogni dicembre nella stessa cucina pronta a metterle a disposizione la sua manualità ereditata.
La ricetta dei cappelletti come tradizione comanda
Ingredienti per circa 300 cappelletti:
Per la sfoglia, 1 kg di farina e 6 uova
Per il ripieno:
400 g di carne di vitella
400 g di carne di maiale
400 g di petto di pollo
150 g di prosciutto cotto
100 g di parmigiano reggiano
200 g di formaggio primo sale
2 uova
Noce moscata
[Chiara Valzania. Immagine: Columbia]