Nespresso “deve” il successo a Sant’Eustachio il Caffè: la storia sconosciuta
Suona come una sentenza il lunghissimo pezzo scritto dal Guardian su Nespresso. Per l’azienda capace di inventare il caffè monodose facile da preparare, eppure buono come al bar, trasformato poi in un business colossale, l’età dell’oro è finita.
Nespresso è ormai un’azienda “scatola nera”, da anni seppellisce i dati su vendite o ricavi nei rapporti generali di Nestlé, la multinazionale che ne detiene la proprietà. Deve anche affrontare –continua il quotidiano inglese, critiche crescenti sull’impatto ambientale dei suoi prodotti. Non si sa quante capsule di alluminio finiscono in discarica invece di essere riciclate.
Il punto di saturazione è arrivato, la concorrenza serrata. Perfino George Clooney, storico testimonial dei tempi andati, 40 e passa milioni di dollari guadagnati per il suo ruolo, è sparito dal nuovo spot apparso sulla pagina YouTube di Nespresso, rimpiazzato da agronomi e anonimi contadini.
Ma il Guardian racconta anche la nascita del progetto Nespresso, inteso come sistema comprensivo di macchine e cialde monodose. La storia rivela un retroscena finora sconosciuto, che lega l’ispirazione per poderoso successo di Nespresso all’Italia, anzi a Roma. Per la precisione a Sant’Eustachio il Caffè, una delle caffetterie più note della capitale.
Nel 1975, un giovane ingegnere di nome Eric Favre viaggia verso Roma. Un viaggio che cambierà la storia del caffè per sempre. Favre ha da poco iniziato a lavorare nella sede Nestlé di Vevey, in Svizzera. Il suo primo progetti è lo sviluppo di una macchina che unisca la semplicità del caffè di casa alla qualità di un espresso italiano bevuto al bar, ottenuta grazie a baristi esperti e attrezzature grandi, quindi costose.
A quel tempo, nelle case, si bevevano due tipi di caffè. Il caffè macinato, gustoso ma laborioso, preparato di solito nella caffettiera. Oppure il caffè solubile, rapido e semplice da preparare ma dal sapore insipido. Per essere allettante nonostante il prezzo più elevato, la nuova macchina di Favre deve offrire un caffè di qualità elevata con la velocità e la semplicità del caffè istantaneo.
Girando per il centro di Roma, Favre nota una lunga fila snodarsi da un bar vicino al Pantheon. Molti altri bar nelle vicinanze usano le stesse macchine. Allora cos’ha questo posto, cosa lo rende così speciale? All’interno la macchina del caffè è a leva, la pressione esercitata dipende dal barista che spinge un pistone. Interrogato da Favre, il barista spiega che i suoi colleghi spingono il pistone una volta prima di rilasciare il caffè. Ma a Sant’Eustachio Il Caffè lui e i suoi colleghi lo spingono più volte. Ciò significa che, spingendo più aria e acqua tra i chicchi di caffè, ottiene un’ossidazione maggiore, riuscendo a estrarre dai chicchi più sapore e una crema molto densa.
Attenzione, perché nella storia del caffè come quello del bar ma preparato a casa, questo è una sorta di momento eureka. Favre torna in Svizzera e, insieme a un piccolo team, inizia a progettare una macchina in grado di replicare la procedura de Sant’Eustachio Il Caffè.
L’idea di un caffè monodose circola dagli anni Cinquanta, ma nessuno ci ha mai lavorato seriamente. L’obiettivo di Favre è di portare la qualità dell’espresso nelle case. Comprando la macchina, alle persone basta sistemare il caffè macinato confezionato in un contenitore, che essendo sigillato manterrà il caffè fresco. (Il caffè in chicchi resta fresco per settimane, il caffè macinato invece perde la sua freschezza dopo circa mezz’ora.)
Il design del contenitore, che possiamo già chiamare capsula, garantisce anche una maggiore aerazione, imitando le ripetute ossidazioni di Sant’Eustachio Il Caffè. L’anno seguente, nel 1976, Nestlé deposita il primo brevetto per un sistema di caffè monodose. “Favre era destinato a fare grandi cose”, dice oggi Marco Restelli, manager Nespresso che si occupa di sviluppo del prodotto a Losanna. “OK, non è Einstein, ma ciò che ha realizzato nel settore degli elettrodomestici da cucina resterà a lungo.”
Oggi si vendono circa 14 miliardi di capsule Nespresso ogni anno, sia online che nelle 810 boutique aperte in 84 paesi. Nel mondo si bevono oltre 400 caffè Nespresso al secondo. Nel frattempo sono emersi centinaia di rivali e imitatori, alcuni che producono capsule per macchine Nespresso, altri che promuovono i sistemi della concorrenza.
L’azienda dà lavoro a oltre 13.000 persone, la diffusione internazionale della rivista Nespresso è di oltre 2 milioni di copie. Nel 2013, l’anno più recente in cui sono stati pubblicati i dati, le entrate di Nespresso ammontavano a circa 12 miliardi di euro.
Negli hotel per i viaggiatori d’affari, la vista di una capsula Nespresso accanto al minibar è diventata familiare come la Bibbia. L’acquisto di una macchina garantisce l’appartenenza al Nespresso Club, letteralmente e metaforicamente – un gruppo internazionale di follower disposti a spendere per una capsula cinque volte l’equivalente del tradizionale caffè macinato, ma non a impiegare più di 30 secondi per prepararlo.
Nelle loro case, il classico ronzio di una macchina in azione è familiare come il rumore della lavastoviglie. Si dice che se Nespresso fosse stata una startup oggi sarebbe per tutti la Apple svizzera.
Trent’anni dopo i suoi primi successi, Nespresso ha dimensioni, esperienza e potere d’acquisto che nessun’altra azienda di caffè premium può eguagliare. Ma sempre più, conclude il Guardian, si ritrova pressata dal basso (capsule più economiche) e dall’alto (miscele di caffè più appaganti). Mentre il Covid-19 impone nuove ristrettezze.