Morto Loreno Tetti, il paninaro di Milano testimone contro la ‘ndrangheta
È scomparso Lorenzo Tetti. In molti, a Milano ma anche nel resto d’Italia, studenti del Politecnico, riconosceranno il suo nome. Vendeva panini, col suo camioncino, in via Celoria, a Città Studi. Il suo furgone fu dato alle fiamme dalla ‘ndrangheta nella notte fra il 17 e il 18 luglio del 2012, giusto 8 anni fa.
“Il paninaro loco”, come si definiva sul suo profilo LinkedIn, da sempre nel campo della ristorazione, aveva aperto e gestito diversi ristoranti. Era partito dalla gestione del Garfagnino, durata 25 anni. Aveva poi aperto e gestito locali come il 104 in via Ripamonti, il Mambo, in società con il calciatore interista Leonardo Occhipinti, il Roncaglia con il milanista Gabriello Carotti.
In seguito si era dato al catering e al suo camioncino ambulante. Quest’ultima attività lo aveva portato a scontrarsi con la criminalità organizzata: aveva infatti testimoniato al processo contro la cosca Flachi.
Tutto partì dalle dichiarazioni in tribunale, nella primavera del 2012, di Giuseppe “Pinone” Amato, braccio armato della cosca Flachi. Giuseppe Flachi e suo fratello Emanuele controllavano discoteche e locali notturni, ma anche parcheggi e chioschi dei panini in città.
“Sulla piazza di Milano ci siamo noi a controllare i camion, ognuno ha la sua zona: abbiamo Città Studi, corso Como, piazzale Lagosta e via Carlo Farini. Lavoriamo con i calabresi, gente che sta scontando l’ergastolo, siamo in Comasina, comandiamo a Quarto Oggiaro. Il mio socio è Emanuele Flachi.”
Letti, unico fra i “paninari” (i colleghi, intimoriti, fecero solo ammissioni parziali e contraddittorie), denunciò al processo le estorsioni e le minacce ricevute. Processo che si concluse con una serie di condanne per Giuseppe Flachi e altri esponenti della sua cosca. 16 condanne per associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione e smaltimento illegale di rifiuti tossici.
Dopo la sua testimonianza (“era quello che avrebbero fatto tutti”, diceva: ma non lo aveva fatto nessuno), nel luglio 2012, l’incendio. Sarebbe diventato un eroe dell’antimafia cittadina, i ragazzi di Libera lo portarono a raccontare la sua esperienza nelle scuole. Eppure, non riuscì a ottenere nessun risarcimento.
“Non mi sono pentito ma mi aspettavo un sostegno morale ed economico da parte del Comune che invece non c’è stato. Le forze dell’ordine e il pm che ha condotto le indagini mi hanno aiutato molto, ho ricevuto tanta solidarietà.” Così Letti a settembre 2012, inaugurando il suo camion nuovo, di fianco a quello bruciato.
Inaugurazione accolta da uno striscione degli studenti del Politecnico: “Bentornato Loreno”.
Così lo ha ricordato il presidente della Commissione antimafia del Comune di Milano, Davide Gentili:
“Gli bruciarono l’autonegozio. Non riuscì a ottenere alcun risarcimento. Proseguì ugualmente nella sua battaglia di legalità riconosciuta e sostenuta dagli studenti di via Celoria. Raccontò con un sorriso, con il suo accento toscano e con grande umiltà, in molti eventi, quella scelta coraggiosa. Condivisa con la sua famiglia. Lo ringrazio. Ringrazio la sua famiglia perché lo ha sostenuto e ha condiviso i rischi di quella scelta,”
La presenza della malavita nella ristorazione milanese è un problema annoso, e di difficile soluzione, come dichiarava l’allora procuratore Ilda Boccassini ai tempi del processo. E lo è tuttora – vi abbiamo riferito anche noi alcuni recenti casi di cronaca. Quello riguardante il ristorante Unico, chiuso, riaperto, e di nuovo chiuso, che comunque ora ha una nuova gestione e un altro nome, MyView. O le pizzerie Frienno Magnanno e Donna Sophia dal 1931 (al suo posto ora c’è Berberè).
[Link: FanPage, MilanoToday; le immagini del camioncino sono di Massimiliano Mariani/Wikinotizie/CC; la foto di Loreno Tetti è di Gerace/Fotogramma].