Coronavirus. Lockdown dei ristoranti alle 23: sbagliato protestare
Un nuovo parziale, ma egualmente temuto, lockdown. Il nuovo Dpcm del 7 ottobre che allungherà lo stato di emergenza al gennaio del 2021 conferma che è iniziata la seconda ondata del coronavirus.
L’obbligo delle mascherine all’aperto, insieme alle consuete misure – disinfezione delle mani e distanza interpersonale – dovrebbe essere accompagnato da misure più stringenti.
E alcune riguardano bar, ristoranti e pizzerie obbligati a chiudere alle ore 23 se non alle 22.
Mutuando la considerazione del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, stiamo compiendo il cammino che ci ha portato alla libertà estiva a ritroso. Come un gambero.
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nell’annunciare da Assisi il varo del nuovo Dpcm del 7 ottobre, ha parlato di misure ispirate alla “cautela”. Non possiamo permetterci di mandare sotto pressione le strutture sanitarie e di riempire i reparti di terapia intensiva come è accaduto durante il lockdown.
Tra le misure della nuova stagione di “cautela” – quella non adottata da Trump, Johnson e Bolsonaro – figura la possibilità di chiusura serale anticipata delle attività della ristorazione. Il camminare all’indietro del gambero è questo. Verificare con severità l’adozione delle misure in vigore nei ristoranti e passare dagli orari normali a quelli contingentati. La stagione della libertà estiva, con molte – troppe – disattenzioni e misure disattese, insomma, è tramontata definitivamente.
Piedi per terra, quindi, e necessità di ragionare.
Perché il “lockdown orario” è un falso problema
La storia recentissima del coronavirus e del lockdown, però, sembra non averci insegnato niente.
La prima reazione del mondo della ristorazione è stata di preoccupazione, ovviamente. Da Nord a Sud, passando per ristoratori, pizzaioli e chef stellati, la risposta univoca è “così si ammazza l’intero settore”.
Chiudere alle 23 o alle 22, significa dare il colpo di grazia a un settore che ha subito in maniera violenta gli effetti del lockdown. Una crisi acuita dallo smart working, dal lavorare da casa, che ha falcidiato la voce pausa pranzo e pranzi di lavoro. Oltre alla mancanza di turisti stranieri che ha privato di una voce importante molti ristoranti, da quelli mordi e fuggi delle città d’arte agli stellati destinazione del viaggio.
Abbiamo assistito alla speranza invocata di più parti, di ripopolare gli uffici a beneficio delle pause pranzo e dei pranzi di lavoro.
Poi è stata la volta del “meno male le mascherine anche all’aperto”. Pronunciato da parte di ristoratori e rappresentanti di categoria che le avevano demonizzate durante l’estate. Un passo indietro all’annusare di nuove possibili strette. Proprio come questa della chiusura anticipata.
Opporsi a un provvedimento ammazza-ristoranti è giusto. È la prima impressione.
Ma si rischia di ripetere l’errore delle distanze tra tavoli e commensali non conviventi che ha dominato le discussioni durante il lockdown.
Perdere meno posti nelle sale era l’imperativo nei giorni di attesa per la riapertura di maggio.
Dare sicurezza ai clienti è l’obiettivo
Peccato che il vero obiettivo, come si è capito con le riaperture, fosse infondere sicurezza nei clienti. E una maggiore vicinanza tra tavoli e sedie otteneva l’effetto contrario. Il superamento della paura è stato raggiunto – per fortuna – con l’arrivo dell’estate. E la conseguente caduta dei freni benedetta dall’aria di mare e dai raggi ultravioletti. Verità scientifiche e panzane social si sono mischiate, ma i ristoranti – soprattutto stagionali – hanno segnato score impensabili. Guadagni superiori rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente. Da non credere.
Il like for like del lockdown, cioè il confrontare i risultati dei mesi precedenti, ha saldi che sballano la visione del futuro. Chiudere alle 22 significa ridurre i posti e guadagnare di meno. Ma confrontando la fase delle riaperture, il vero obiettivo è evitare che i clienti diventino preda della paura di andare al ristorante o in pizzeria. Adottando contromosse significative come quella di Viviana Varese a Milano.
Lanciare il messaggio che chiudere prima significa limitare il contagio ha un effetto contrario, purtroppo. Ma protestare con la motivazione che così i ristoranti chiudono per sempre fa ancora peggio.
La ratio della misura è evitare assembramenti e movida. La risposta della ristorazione deve trasformare questa paura in opportunità. Significa migliore gestione dei turni che vanno fatti. Significa avere durante tutta la settimana gli stessi risultati del venerdì e del sabato.
Senza questa presa di coscienza, ristoranti e pizzerie diventeranno focolai di paura. Che è uguale, anzi, peggio di essere focolai di Covid-19. Situazioni che non si sono verificate. Per questo è meglio lavorare per evitare il rischio orario di chiusura anticipato in maniera silenziosa.