La pasta italiana al 100% è per forza migliore? Facciamo chiarezza
Cresce vertiginosamente il numero di pastifici, piccoli, medi e grandi, che si attrezzano per produrre solo pasta italiana al 100%.
Questo perché la percezione che hanno i consumatori del grano importato, è di un prodotto meno salutare rispetto a quello nostrano.
Colpisce allora la mossa controcorrente di De Cecco, uno dei più noti marchi di pasta italiana. Lo spot pubblicitario trasmesso in questi giorni, spiega come mai il pastificio di Fara San Martino (Ch) realizza la sua pasta mescolando al grano duro italiano quelli provenienti da Arizona e California.
“Selezioniamo il grano italiano per il sapore, i grani californiani e dell’Arizona per la quantità e la qualità delle proteine che rendono la pasta al dente, tenace ed elastica”.
Il punto è che De Cecco dice di scegliere grani stranieri sia per la quantità che per la qualità.
La pasta italiana migliore: Quantità
Non è un mistero, in effetti, che il grano prodotto in Italia non basti a coprire il fabbisogno nazionale. L’importazione di grani stranieri è necessaria per ovviare a un deficit che, negli ultimi 15 anni, è stato in media di 2 milioni di tonnellate.
Se così non si facesse, l’Italia rischierebbe di perdere il ruolo di primatista mondiale di produzione della pasta. Per non parlare delle esportazioni. La pasta infatti vale da sola un quinto delle esportazioni, per una cifra che si avvicina ai 20 miliardi di euro annui.
Ma la mossa di De Cecco, per quanto anticonformista, era praticamente obbligata. Soltanto qualche mese fa, l’Agcm, Autorità garante della concorrenza e del mercato, aveva accusato il pastificio abruzzese di presentare le caratteristiche del suo prodotto “in modo ingannevole”.
Il problema era l’enfasi messa sul concetto di italianità, abbinato a una mancanza di informazioni sull’origine anche straniera del grano impiegato.
Il garante aveva indirizzato il suo monito anche ad altri marchi: Cocco, Auchan e Divella (mentre Lidl Italia era stata multata). Tutte insieme queste aziende si sono impegnate con l’autorità ad assumere comportamenti più trasparenti. Anche in ragione del fatto che, da febbraio 2018, specificare in etichetta la provenienza degli ingredienti, oltre al luogo di lavorazione, è un obbligo.
Qualità
Ma a rilevare, negli attuali spot pubblicitari, è soprattutto l’affermazione di De Cecco secondo cui il grano arriva da Arizona e California perché la qualità delle proteine rende la pasta migliore.
Una teoria molto accreditata fino a pochi anni fa. Con questa spiegazione: il grano importato dagli Stati Uniti, ma anche da Canada e Ucraina, è più ricco di glutine rispetto a quello italiano. Di conseguenza, parlando di sapore, la pasta risulta migliore per la percentuale maggiore di amido trattenuto e per la garanzia di una migliore tenuta in cottura.
Nonostante ciò, la nuova sensibilità verso il grano nazionale dimostrata dagli italiani in anni recenti, ha indirizzato le scelte di molti pastifici verso una pasta italiana al 100%. Sono fioccate le conversioni della filiera verso un prodotto interamente italiano, nonostante il processo non sia immediato e anzi, richieda tempo.
Come per esempio Voiello, Rummo e Barilla che, nei mesi scorsi, per allinearsi ai gusti del consumatore italiano, hanno riconvertito la produzione usando grano al 100% italiano, diversamente da prima, quando utilizzavano una miscela composta in parte anche da grani esteri.
Un processo cha avrebbe dimostrato, in particolare grazie alla consulenza tecnica del Consorzio Agroalimentare Sannita per il pastificio Rummo, che anche nei terreni italiani è possibile produrre grani con oltre il 15% di proteine.
Ma non si era detto che alcuni grani stranieri garantiscono maggiore qualità alla pasta perché più ricchi di proteine?